13 ottobre 2008

Il cardinale Tauran al VI congresso internazionale di dialogo islamo-cristiano: "Un incontro possibile" (Osservatore Romano)


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Il cardinale Tauran al VI congresso internazionale di dialogo islamo-cristiano

Un incontro possibile

C'è un mutamento culturale nell'approccio al dialogo tra religioni. Non si tratta di stabilire, con criterio riduttivo e sincretistico, una comune base minimalistica di verità religiose, oppure di dire "tutte le religioni sono più o meno uguali". Si tratta piuttosto di riconoscere che tutti quelli che vanno alla ricerca di Dio o dell'Assoluto, hanno la stessa dignità. Non ci sono primi della classe.
"Solo se entriamo in questa ottica allora possiamo, con grande libertà, guardare oltre i confini della propria religione e come ha affermato Benedetto XVI "scrutare il mistero di Dio alla luce delle nostre tradizioni religiose per discernere i valori atti a illuminare gli uomini e le donne di tutti i popoli della terra, qualunque sia la loro cultura e la loro religione"". L'intervento del cardinale Jean-Louis Tauran al vi congresso internazionale di dialogo islamo-cristiano promosso dai Focolarini in questi giorni a Castel Gandolfo ha così evidenziato il nuovo stile.
"Fraternità e dialogo possibili tra cristiani e musulmani" il tema dell' incontro al quale proprio l'intervento del cardinale Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha dato una dimensione che va oltre la semplice iniziativa.
Non fosse altro perché tra poco meno di un mese il Papa incontrerà i 138 saggi musulmani, firmatari della lettera indirizzata lo scorso anno a tutti i capi religiosi, nella quale veniva sottolineato soprattutto che cristiani e musulmani rappresentano ormai il 55% della popolazione mondiale e, dunque, "se sono fedeli alla propria religione - si legge nella lettera - possono fare molto per la stabilità e per la pace delle società di cui sono membri".
Il cardinale Tauran ha focalizzato il suo intervento proprio su questo aspetto, cioè sulla forza delle religioni e sulla capacità di riconoscersi e di rispettarsi, a partire dall'identificazione di tutto ciò che, nelle rispettive culture, è conforme alla sapienza di Dio e contribuisce alla dignità dell'uomo. "Più le controparti sono impegnate nella ricerca di Dio e nella preghiera - ha precisato - più sono vicine le une alle altre. L'ignoranza genera la paura e non si dialoga nell'ambiguità".
La domanda che il congresso aveva posto al cardinale era tesa a capire se il dialogo tra religioni fosse una grazia o un rischio. Nel dare la sua risposta il porporato ha voluto innanzitutto sottolineare l'evoluzione che ha avuto in questi ultimi anni il concetto del ruolo della religione nel mondo. Si è cominciato per esempio a considerare il ritorno della religione sulla scena del mondo - "grazie soprattutto ai musulmani" ha notato Tauran - come contributo essenziale per strutturare la società internazionale del xxi secolo, e "forse molto più delle ideologie del xx secolo", come aveva ipotizzato Nikolas Sarkozy, il presidente di una società laica per definizione, quella francese. "Non si può capire il mondo di oggi - ha ripetuto Tauran - senza le religioni". "Proprio questa certezza, espressa da diversi punti di vista dunque, comporta l'esigenza che le religioni non diventino mai fonte di paura. Cosa che oggi purtroppo accade sempre più di frequente per colpa di esasperati fondamentalismi". "È un fatto - ha detto il cardinale - che oggi si uccide per motivi religiosi. Ma non sono le religioni che fanno la guerra. Sono i loro seguaci. Ecco dove nasce la necessità di mettere i messaggi delle religioni al servizio di un progetto di santità e non di alienazione", facendo chiaramente capire che "nessuna religione può giustificare la violenza, e ancor meno il terrorismo. Che nessuna circostanza vitale vale a giustificare tale attività criminosa, che copre d'infamia chi la compie e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale" (Benedetto XVI, discorso al Corpo Diplomatico, gennaio 2006).
Ora l'unico mezzo per far sì che questo messaggio percorra l'umanità intera, senza distinzione di razze, culture, religioni o ideologie politiche è necessario che le religioni pervengano al dialogo. Sembra dunque che i credenti "siano condannati al dialogo". Ma quale tipo di dialogo e su quali basi?
Il cardinale Tauran - dopo aver ricordato che alla base del dialogo tra religioni deve innanzitutto esserci il rispetto reciproco - ha dato la sua interpretazione, identificando due aspetti, l'uno positivo e l'altro negativo. Il dialogo tre religioni, ha detto, deve essere considerato quasi come "un pellegrinaggio" nel senso che quando si dialoga con il seguace di un'altra religione ci si deve porre nell'atteggiamento di chi si mette in cammino con lui e prendere in considerazione convinzioni diverse dalle proprie sui grandi interrogativi che assalgono ogni essere umano. L'aspetto da considerare con più prudenza è costituito dal fatto che in un contesto simile bisogna accettare anche di mettere in questione, non certo la propria fede, ma il modo di viverla nel concreto dell'esistenza.
"Noi cristiani - ha spiegato il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso - proclamiamo che Gesù è la nostra luce, la luce vera, quella che illumina ogni uomo. In ogni essere umano c'è la luce di Cristo e quindi tutto il positivo che possiamo incontrare nelle altre religioni partecipa alla grande Luce che risplende su tutte le luci. In questo modo possiamo capire meglio quanto leggiamo nella "Nostra aetate": "nulla rigettando di quanto è vero e santo nella altre religioni, la Chiesa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscono da quanto essa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini". E questa è la via da seguire. E non riguarda certo solo il dialogo con i musulmani. Tauran lo ha ricordato proprio citando la Nostra aetate laddove si accenna ai legami speciali che uniscono cristiani ed ebrei.
Si tratta di cercare, dunque, le condizioni necessarie da realizzare perché questo dialogo "sia autentico e renda gloria a Dio". Tre quelle indicate dal porporato: "mostrare che le religioni sono foriere di pace"; "approfondire la propria fede" per rafforzare "la propria identità religiosa"; "considerare l'altro credente non come avversario ma come un fratello".
Ma allora il dialogo religioso è una grazia o un rischio? "È ambedue - risponde il cardinale -. È una grazia perché permette a tutti assieme i credenti di ricordare al mondo d'oggi che "non di solo pane vive l'uomo". È un rischio perché possiamo essere noi personalmente un ostacolo a questo messaggio, a causa dell'incoerenza della nostra vita di ogni giorno. Io credo che il dialogo religioso debba essere interpretato soprattutto come un costante appello alla conversione personale".
Il dialogo, dunque, appartiene alla sostanza della nostra fede, qualunque essa sia; è l'unico mezzo per riportare la pace di Cristo tra i fedeli. Questa è la sfida che devono raccogliere oggi le religioni.
In un mondo effimero, ingombrato dai tanti dei avidi di idolatria - lo aveva denunciato Benedetto XVI rivolgendosi ai giovani francesi a Parigi - i credenti possono aiutare tutti i fratelli a riscoprire "le due risorse che Dio ha messo a disposizione dell'umanità: un'intelligenza e un cuore" con i quali cambiare "la traiettoria degli avvenimenti del mondo".
In un telegramma a firma del segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, Benedetto XVI ha espresso ai partecipanti all'incontro l'auspicio che "il convegno susciti rinnovati propositi di cordiale fraternità e di sincero impegno nel favorire reciproco dialogo nel rispetto della dignità di ogni persona umana". (mario ponzi)

(©L'Osservatore Romano - 12 ottobre 2008)

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