6 ottobre 2008

Sinodo 2008, Mons. Ravasi: "L'impegno a riappropriarci della Bibbia"


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L’IMPEGNO A «RIAPPROPRIARCI» DELLA BIBBIA

INQUIETARE E CONSOLARE IL CUORE DEI MODERNI

GIANFRANCO RAVASI

C’è chi le ha pazientemente contate: sono 305.441 le parole originarie ebraiche (e in piccola parte aramaiche) dell’An­tico Testamento, più di 421.000 se si contano anche le particelle ag­giunte a quelle parole, mentre 138.013 sono i vocaboli greci che compongono il Nuovo Testa­mento. Attorno a questo piccolo mare testuale detto Bibbia, cioè i Libri per eccellenza, si è allargato uno sconfinato oceano di com­menti, di omelie, di meditazioni, persino di deformazioni e di cri­tiche sarcastiche. Eppure quelle parole continuano «a inquietare e a consolare tutte le situazioni u­mane », come diceva quel grande credente e genio che era Pascal.
Ora tornano ancora a risuonare e persino a provocare, e non solo perché una folla di quasi 1.300 persone, le più disparate, a parti­re da stasera le proclameranno in­tegralmente nel cuore di Roma e dagli schermi televisivi per un’in­tera settimana, giorno e notte, quasi fossero pungoli o picchetti da piantare nel liquame delle chiacchiere (l’immagine è di uno sconcertante sapiente biblico, il Qohelet). Torneranno quelle pa­role ad animare soprattutto il Si­nodo dei Vescovi, nella consape­volezza che è giunto il tempo di scuotere l’intorpidimento che, co­me una nebbia, scolora la forza di quelle Scritture che custodiscono al loro interno una Parola tra­scendente, la voce stessa di Dio.
Mosè ricordava agli Israeliti che sul Sinai non avevano contem­plato una statua sacra, ma ascol­tato una qol devarîm, una 'voce di parole' che risuonava in mezzo al fuoco (Deuteronomio 4,12). Dif­ficile è dire ora quali saranno le strade che i Padri sinodali sugge­riranno alla Chiesa per una riap­propriazione rinnovata, intensa e appassionata della Bibbia. Certo, sullo sfondo rimarranno le gran­di questioni teologiche del rap­porto tra Rivelazione, Scrittura e Tradizione. Ma saranno soprat­tutto gli interrogativi sulla comu­nicazione e sull’interpretazione ad avanzare, tenendo conto dei mutamenti radicali di linguaggio avvenuti in questi ultimi decen­ni, dopo la potente impronta la­sciata dal Concilio Vaticano II col suo appello all’amore per la Paro­la di Dio. Sarà, come dice il titolo stesso che Benedetto XVI ha imposto al Si­nodo, la «vita della Chiesa» ad es­sere coinvolta così da riaccende­re il fervore per la Parola di Dio annunziata e spiegata nella litur­gia (che è la prima casa della Bib­bia), meditata nella lectio divina, studiata nella catechesi, vissuta come «lampada per i passi nel cammino della vita» morale. Ma quel titolo aggiunge anche che la Bibbia governa e illumina «la mis­sione della Chiesa», cioè il suo af­facciarsi oltre i propri confini. Pensiamo al dialogo con l’ebrai­smo che con noi condivide una vasta porzione di quelle parole sa­cre, allo stesso islam che nel Co­rano ha una filigrana di rimandi biblici, all’incontro ecumenico con le altre Chiese e comunità or­todosse e protestanti che testi­moniano un antico e appassio­nato amore per le Scritture. Ma pensiamo anche alla cultura 'lai­ca' che deve ritornare a leggere e comprendere quei testi perché es­si sono «la lingua materna del­l’Occidente », come suggeriva Goethe, «l’alfabeto colorato in cui per secoli i pittori (ma non solo) hanno intinto il loro pennello», per usare una famosa frase di Chagall.
Una certezza reggerà, al di là de­gli esiti, noi Padri sinodali, gli e­sperti, gli invitati e soprattutto l’in­tera comunità ecclesiale. È quel­la che san Paolo esprimeva, men­tre il suo corpo era in catene, scri­vendo al discepolo Timoteo che «la Parola di Dio non può essere incatenata» (II, 2, 9). Essa, infatti, è – come confessavano i profeti – un fuoco inestinguibile che arde e illumina, è una pioggia che dal­l’alto feconda e rigenera il terreno arido della storia.

© Copyright Avvenire, 5 ottobre 2008

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