10 ottobre 2007

Andrea Tornielli: Ratzinger è un Papa pastore, che tende la mano in molte direzioni avendo a cuore soltanto l’essenziale (da Tracce)


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Benedetto XVI

Quel desiderio ardente di ritrovare l'unità

Andrea Tornielli

Dalla Lettera ai cattolici cinesi al documento sul Conclave, passando per il messale tridentino e la nota sulle confessioni cristiane, c’è un filo rosso che lega i recenti passi del Pontefice. E si prepara a segnarne i prossimi

Tre documenti che portano la sua firma, più uno da lui approvato. Per Benedetto XVI le settimane che hanno preceduto l’estate sono state segnate da un’accelerazione di decisioni importanti, come la bellissima Lettera ai cattolici cinesi, il documento che liberalizza il messale tridentino nell’edizione del 1962, il Motu proprio che ripristina la necessità della maggioranza dei due terzi dei voti per l’elezione del Papa e la nota della Congregazione per la dottrina della fede sulla Chiesa cattolica in rapporto alle altre confessioni cristiane.
Questi testi, destinati a segnare profondamente il pontificato di papa Ratzinger, in verità, hanno avuto storie diverse e la loro pubblicazione a pochi giorni l’uno dall’altro è una circostanza fortuita. Ma è possibile rintracciare un filo comune che li attraversa e che, prevedibilmente, sarà ripreso anche nei prossimi mesi: è la volontà di riconciliazione e di dialogo che già in tante occasioni Benedetto XVI ha manifestato. Volontà di riconciliazione, cioè non lasciare nulla di intentato per ricucire alcuni strappi del passato e favorire l’unità della Chiesa.

Ratzinger è un Papa pastore, che tende la mano in molte direzioni avendo a cuore soltanto l’essenziale.

«Il mio vero programma di governo - aveva detto durante la messa per l’inizio del suo servizio come vescovo di Roma - è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia».

Nella lettera di presentazione del Motu proprio che liberalizza l’antico messale, inviata tutti i Vescovi, è contenuta proprio questa chiave di lettura, che va oltre il documento stesso e che permette di cogliere anche l’indicazione di una prospettiva per il futuro del pontificato: «Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente».

Litterae communionis alla Cina

L’attesa lettera di Benedetto XVI alla Chiesa cattolica in Cina è stata pubblicata il 30 giugno. Rappresenta un invito all’unità della Chiesa cinese, che è una sola e non è divisa, come continuano a credere e ad affermare molti media occidentali. Ma è anche una mano tesa alle autorità di Pechino, insieme all’offerta di indicazioni concrete per risolvere alcuni dei problemi senza creare nuove tensioni. Il Papa ha dichiarato decadute le “facoltà speciali” concesse vent’anni fa dalla Santa Sede che permettevano l’ordinazione di nuovi Vescovi “clandestini” e ha invitato le due comunità - quella cosiddetta “ufficiale” e quella “sotterranea” - alla piena riconciliazione. Ha spiegato che le finalità dell’Associazione patriottica, l’organismo governativo che pretende di controllare la Chiesa rendendola autonoma, autogestita e indipendente, «è inconciliabile con la dottrina cattolica»; ha invitato i Vescovi “ufficiali” (quasi tutti riconosciuti da Roma anche se inizialmente consacrati senza l’approvazione papale) a rendere pubblico l’avvenuto riconoscimento del Pontefice; ha spiegato ai cosiddetti “clandestini” che la Chiesa non è fatta per la clandestinità. Ha anche precisato che la Chiesa «non è legata a nessun sistema politico» e dunque anche in Cina «ha la missione non di cambiare la struttura o l’amministrazione dello Stato» ma di annunciare Gesù. Un passaggio chiave, quest’ultimo, per rassicurare il governo di Pechino del fatto che i cattolici in quanto tali chiedono il rispetto per la libertà religiosa e non lavorano per abbattere il regime sotto impulso del Vaticano. Infatti, «la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile» anche se «non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia». Ed è chiaro che la Chiesa «chiede allo Stato di garantire ai cittadini cattolici il pieno esercizio della loro fede, nel rispetto dell’autentica libertà religiosa».

Il messale tridentino

Una settimana dopo, sabato 7 luglio, è stato pubblicato il Motu proprio Summorum Pontificum, con il quale Benedetto XVI liberalizza il messale preconciliare in latino, mai ufficialmente abolito o proibito, rendendo effettiva una volontà che era già stata espressa da Giovanni Paolo II, il quale aveva concesso uno speciale indulto per i fedeli legati al vecchio rito.

Il documento, che entra in vigore a partire dal 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, stabilisce che i «fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica» si rivolgano direttamente al parroco per chiedere la messa tridentina e che possano essere celebrati, oltre alla liturgia domenicale, anche i Sacramenti.

Il Motu proprio è stato accompagnato da una lettera del Papa ai Vescovi: Benedetto XVI spiega che la messa della riforma liturgica «è e rimane la forma normale» del rito romano, mentre quella tridentina rappresenta la sua forma «straordinaria». E ricorda pure che alcuni fedeli si sono avvicinati all’antica liturgia «perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della liturgia al limite del sopportabile». Parlando per «esperienza diretta», Ratzinger ricorda di «aver visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa». Questo documento papale, della cui preparazione si sapeva già da tempo, ha provocato molte reazioni e polemiche. In realtà non significa affatto tornare indietro, né tantomeno rappresenta “uno schiaffo” al Concilio.

Da sempre l’unità della Chiesa cattolica si è espressa in una pluralità di riti e la decisione papale è un’altra mano tesa per la riconciliazione con il mondo tradizionalista. Un gesto di liberalità nel solco della giusta interpretazione dello stesso evento conciliare, che non va considerato come una rottura con la tradizione.

La riforma del Conclave

Il Papa ha varato anche una mini-riforma elettorale, cancellando uno dei punti più innovativi (e contestati) della legge sul Conclave promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996 con la Costituzione apostolica Universi Dominici gregis: nella futura elezione papale non sarà infatti più possibile designare un Pontefice a maggioranza assoluta, con la metà più uno dei suffragi degli elettori, ma sarà necessaria la maggioranza dei due terzi dei consensi, così com’è sempre avvenuto da quando esiste l’istituto del Conclave. Benedetto XVI non ha voluto riscrivere ex novo le norme dell’elezione, si è limitato a modificare il paragrafo 75 del testo del predecessore, nel quale era previsto che dopo un certo numero di scrutini (33 o 34) e 10-13 giorni di votazioni andate a vuoto, i porporati potessero abbandonare la maggioranza dei due terzi e passare a quella assoluta. Anche se può apparire remota l’ipotesi di un Conclave che si protragga per oltre dieci giorni (non è mai accaduto negli ultimi 150 anni), la possibilità che scattasse la maggioranza assoluta toccava una regola che sempre aveva accompagnato l’elezione: il nuovo Papa doveva essere espressione di un’ampia maggioranza. Con il 50 per cento più uno si sarebbe rischiato eventualmente di arrivare a un’elezione risicata, con contestazione di voti, e soprattutto con l’immagine di un corpo elettorale spaccato. Ratzinger ha quindi abolito la novità del 1996, introducendo l’obbligo, dopo i 33-34 scrutini, del ballottaggio fra i due porporati più votati: anche qui, perché l’elezione sia valida, servono i due terzi dei voti. Un modo per assicurare che sempre il Papa sia espressione di una larghissima maggioranza.

Dove «sussiste» la Chiesa di Cristo?

L’ultimo dei testi, pubblicato il 10 luglio, non è un documento papale, ma una nota dell’ex Sant’Uffizio, approvata da Benedetto XVI, che torna su un argomento già più volte studiato e sviscerato. L’unica Chiesa di Cristo, vi è spiegato, «comunità visibile e spirituale», «sussiste», cioè continua e permane nella Chiesa cattolica. Proprio l’interpretazione di quel «sussiste», che nella Costituzione conciliare Lumen gentium ha sostituito il precedente «è» utilizzato da Pio XII, ha dato origine a molte interpretazioni, ciclicamente riproposte nonostante le autorevoli precisazioni contenute nei testi pontifici. Alcune di queste interpretazioni considerano la Chiesa di Cristo come un qualcosa che ancora non c’è, e che sarebbe dato dalla riunificazione delle Chiese cristiane, come un obiettivo ecumenico da raggiungere da parte delle comunità che si sono separate.
Invece quella «sussistenza», spiega nuovamente la Congregazione per la Dottrina della Fede, rappresenta la «perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra». Perché, allora, il Concilio ha usato quel verbo «sussiste»? Si è trattato di un’espressione utilizzata per sottolineare maggiormente come «numerosi elementi di santificazione e di verità» si trovino anche al di fuori della Chiesa cattolica, nelle altre confessioni cristiane, le quali però non hanno la completezza degli elementi della Chiesa di Cristo. Pur non essendoci alcuna novità dottrinale, la precisazione dell’ex Sant’Uffizio, che rispondeva ad alcuni quesiti presentati in questi ultimi anni, è stata accolta tra molte polemiche. Anche in questo caso, però, c’è un’indicazione precisa dell’atteggiamento di Benedetto XVI: il dialogo ecumenico non può avvenire dimenticando le differenze o mettendole tra parentesi, ma affrontandole. Si dialoga a partire da ciò che si è e la Chiesa cattolica non può non partire da ciò che è stato definito dal Concilio Vaticano II.

© Copyright Tracce, settembre 2007

3 commenti:

euge ha detto...

In questo artico Tornielli, credo che abbia centrato l'argomento del Pontificato di Benedetto XVI, cosa che purtroppo, alcuni ancora non vogliono capire cioè l'unità della chiesa. In più di una occasioneil Santo Padre ha puntato su questo risultato sia per quanto riguarda il Summorum Pontificum sia la lettera ai vescovi Cinesi sia l'incontro con Alessio II e non ultimo il tanto criticato ed osteggiato viaggio in Turchia, sono tutti passi di Benedetto XVI verso un unico centro l'unità della chiesa e quindi dei cristiani. Peccato ripeto che sia all'interno della chiesa stessa che all'esterno di essa, questo sforzo e questa voglia di unità non venga percepita anzi quando e dove è possibile viene boicottata con l'intento, di creare intorno a Benedetto XVI ostacoli a questo progetto mentre, proprio in questo momento, la chiesa dovrebbe non solo apparire ma, concretamente maniofestare non solo la sua unità ma, anche, l'obbedienza al Suo Pastore ( tasto dolente questo dell'obbedienza purtroppo.)!!!!!!!!!
SEMPRE CON BENEDETTO XVI- Eugenia

paola ha detto...

Che dono grande avere un papa come questo,oggi parlando di S.Ilario forte nella fede e mansueto nel tratto umano,sembrava parlare di se stesso,suavis in modis sed fortis in rebus e che peccato che di tutta la ricchezza dottrinale,pastorale ed umana delle sue catechesi,omelie,discorsi i giornalisti salvo alcuni come appunto Tornielli o DeMagistris sappiano riportare solo stupidaggini.il Papa col pallone,il gatto del Papa.Come mai nessuno ha parlato dell'incontro col monaco buddista? dove sono i politici,i pacifisti mentre la Birmania da anni viene massacrata? Paola Ps vi segnalo un ottimo articolo di Socci su Libero di oggi sull'aborto e la morte degli orsi in Abruzzo

Anonimo ha detto...

Grazie Paola :-)
Sottoscrivo in pieno cio' che hai scritto.