5 novembre 2007

Casavola: il difficile equilibrio fra sicurezza e accoglienza


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IL DIFFICILE EQUILIBRIO DA COSTRUIRE TRA SICUREZZA E ACCOGLIENZA

di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

LA tragedia di Giovanna Reggiani e la vendetta razzista contro tre ragazzi rumeni hanno suscitato profonda emozione nell’intero Paese, che non contiene ormai soltanto italiani, ma insieme cittadini di altre nazioni europee e immigrati da Stati che non fanno parte dell’Unione europea o che sono in altri continenti. L’Italia si sta scoprendo a poco a poco, e sotto la sollecitazione emotiva di casi di particolare gravità, una società multietnica e multiculturale.
Finora questa mutazione, dovuta a processi storici inarrestabili, è stata tema accademico, con ipotesi combinatorie di integrazione, assimilazione, coesistenza di gruppi dalle identità collettive distinte. Oggi siamo all’impatto con la realtà della vita, che è sempre materiata di vicende individuali. Di fronte ad atti che lacerano l’ordine della convivenza, dividendone gli attori in criminali e loro vittime, la prima reazione è quella della paura dello straniero, la seconda della vendetta generalizzata contro gli stranieri.
Se si lascia attecchire questo duplice stato d’animo, il contenitore multinazionale, non più omogeneo etnicamente e culturalmente, rischia di esplodere. Da qui l’esigenza che il potere pubblico si carichi di tutto il suo compito primordiale, la ragione d’essere dello Stato, che è la sicurezza dei cittadini e anche di quelli che cittadini non sono. Allo Stato spetta il dovere di garantire alla intera popolazione, entro il territorio in cui esercita la sovranità, la vita e i beni.
Ma sono due le modalità primarie per garantire sicurezza. La prima è la tutela della legalità, perseguendo i responsabili dei crimini con gli strumenti di polizia e di giustizia, e conservando la certezza delle pene comminate e irrogate. Questa è legalità per tutti, cittadini e non cittadini, italiani e stranieri, cadendo sotto l’esperienza comune che criminali possono essere e sono, indipendentemente dalla cittadinanza e dalla nazionalità, quanti si pongono contro l’ordine e la pace sociale per comportamenti di cui rispondono a titolo personale.
Altra modalità è quella di prevenire i più gravi attentati alla sicurezza della società, monitorando i flussi immigratori, programmandone gli insediamenti territoriali e urbanistici, regolandone l’avviamento al lavoro, disincentivandone le occasioni di reddito illecito. Questo secondo ordine di interventi non va disgiunto da accordi con i governi dei paesi di provenienza, per non lasciare del tutto soli i rispettivi cittadini nella scelta della emigrazione, che potrebbe avere motivazioni in scopi illeciti. Ma occorre che i privati facciano la loro parte. Una società, come quella italiana, che registra ogni giorno di più il bisogno del lavoro di immigrati, per i compiti più diversi, dalla collaborazione domestica all’assistenza agli anziani e disabili, alle attività stagionali agricole a quelle anche marginali in piccole imprese, non può non ispirarsi ad una cultura dell’accoglienza.

Il Papa, Benedetto XVI, ha ieri raccomandato accoglienza e sicurezza, una endiadi che in questi giorni sembra irrealistica, tanto accesi sono gli animi a contrastarsi sull’uno o sull’altro dei due termini. Se però si rifletta che la sicurezza reclamata da tutti è compito dello Stato, mentre l’accoglienza spetta alla società, ed è la realizzazione nei comportamenti dei privati di una educazione preparata dalla scuola, dalle istituzioni culturali, dalle Chiese, dai media, allora l’endiadi sembrerà non solo possibile concettualmente, ma pragmaticamente indispensabile.

Gli strumenti repressivi, come l’espulsione, quando necessari, non possono che riguardare individui singoli, non grandi numeri, mai intere popolazioni di immigrati. La cultura di accoglienza va oltre l’emergenza di vicende particolari, si muove nella prospettiva di lungo periodo. È ora di comprendere che la storia contemporanea sta varcando un confine, oltre il quale non ci sono più soltanto popoli e Stati, ma l’intero genere umano, cioè le persone di uomini e donne, di bambini e di vecchi, senza più lo stigma indelebile di una razza o di una cultura.
Al di là, tutti siamo responsabili di tutti, come se vivessimo in una sola casa. A questo ci richiama anche il Presidente Napolitano, quando indica come ineludibile il compito dell’Italia all’estero per le ragioni della pace e dell’ordine internazionale. È l’altra faccia della sicurezza: non dimentichiamola.

© Copyright Il Messaggero, 5 novembre 2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non credo sia così impossibile per il governo italiano qualunque esso sia, accogliere chi lo merita e soprattutto, dare più sicurezza ai cittadini i mezzi ci sarebbero e la volontà, gli intressi nascosti e l'ideologia a rendere tutto impossibile..........