13 novembre 2007

Padre Camisasca: Rosmini e Newman occupano un posto particolare nel programma di Pontificato di Benedetto XVI


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Rosmini e Newman beati della Chiesa di Ratzinger. Ne parla Massimo Camisasca

di Paolo Rodari

«Rosmini e Newman. Non è un caso che i loro processi di beatificazione si siano conclusi, per il primo (verrà beatificato a Novara il 18 novembre, ndr), o stiano per concludersi, per il secondo, proprio ora. Le loro figure, pur così diverse per tante ragioni, possono essere accomunate e trovare un posto particolare nel programma di pontificato di Benedetto XVI».
Così Massimo Camisasca, superiore generale di un gruppo di sacerdoti missionari legati a Cl - la Fraternità San Carlo - riflette sulle prossime beatificazioni dei due grandi pensatori e riformatori della Chiesa.
Due beatificazioni che non a caso arrivano sotto il pontificato di papa Ratzinger: «Se uno dei fuochi di questo pontificato riguarda la grandezza e i limiti della ragione - dice Camisasca -, lo stesso tema ha occupato la riflessione e la vita dei due grandi pensatori».
Rosmini fu definitivamente “sdoganato” da Giovanni Paolo II che lo citò nella Fides et ratio tra i più grandi pensatori cristiani. La sua beatificazione, richiesta più volte dai superiori generali dell’Istituto da lui fondato, pareva definitivamente accantonata a causa delle sue tesi filosofiche condannate dall’ex Sant’Uffizio. Soltanto di recente, nel 1994, la stessa congregazione ha dichiarato che nulla impediva l’inizio della causa di beatificazione. Dal ’97 comincia il vero e proprio processo che si concluderà rapidamente in meno di dieci anni. Intanto nel 2001 la congregazione per la dottrina della fede, con un documento a firma Joseph Ratzinger, dichiara superati i motivi di difficoltà dottrinale che avevano portato ai continui rinvii del processo canonico.
«Rosmini - commenta Camisasca - è stato a mio parere il più grande genio speculativo all’interno della Chiesa nel 1800. Ciò che Tommaso ha cercato di fare nei confronti di Aristotele, Rosmini ha voluto compiere nei confronti di Kant e del soggettivismo moderno. Accogliendo alcune istanze positive ha mostrato che il pensiero dei cristiani non si fermava in una sterile opposizione ma sapeva discernere il positivo e il negativo all’interno della stessa modernità. Ugualmente fecondo è stato il pensiero politico di Rosmini che ha indicato alla Chiesa le strade della libertà religiosa all’interno delle nuove realtà dello stato post-risorgimentale. Forse è iniziato il tempo in cui non solo si possa scoprire la profondità del pensiero rosminiano ma se ne possa sperimentare la fecondità. In un certo senso la beatificazione ci fa scoprire Rosmini come un tesoro nuovo per la Chiesa. La sua santità comunque non trova le sue radici nel suo genio filosofico e giuridico. Essa si è espressa nella sua fedeltà alla Chiesa, nella sua pazienza di fronte alla persecuzione, nel suo amore al corpo di Cristo per cui ha tanto lottato, nei suoi scritti spirituali e pastorali più profondi come le Massime di perfezione e le Cinque piaghe della Santa Chiesa».
Santo perché fedele alla Chiesa, dunque, non per il suo genio. Eppure il suo genio è stato fondamentale per la Chiesa: «Rosmini - dice Camisasca - sapeva benissimo che non ci si può improvvisare riformatori, ma sapeva anche che meditare sui mali della Chiesa era cosa buona quando si è mossi dal desiderio del suo bene. Le sue riflessioni sulla riforma della Chiesa sono di straordinaria attualità. Egli desidera che i pastori tornino a vivere in mezzo al popolo. Anche oggi c’è questa necessità. I pastori sono spesso assorbiti da riunioni, incontri, convegni, spesso sono occupati dalla stesura di documenti, quando non attratti dai mezzi di comunicazione sociale. Rosmini, poi, accusava l’insufficiente educazione del clero.
Oggi, dopo la crisi dei manuali e trattati di teologia su cui si formavano i sacerdoti fino al Vaticano II, i giovani seminaristi sono sommersi dalle dispense scritte dai docenti, ma hanno poco accesso ai classici, ai libri che restano, sono spesso riempiti più di problemi che di chiarezze. E poi spesso mancano grandi educatori che sappiano trarre dai candidati al sacerdozio il meglio della loro umanità formando personalità sicure dal punto di vista affettivo e psicologico. Rosmini inoltre lamentava la nomina dei vescovi abbandonata al potere laicale. Più volte sono tornato in questi anni su questo tema, non certo perché oggi ancora si ripresenti lo stesso tipo di problema, quanto piuttosto lo stesso rischio di sottomissione ai criteri mondani. Si cercano talvolta piuttosto degli amministratori che dei profeti o dei pastori».
Cosa accomuna Rosmini e Newman? «Il loro programma può essere riassunto così: ho cercato Dio e me stesso. Conoscere Dio e conoscere l’io. I diritti di Dio di fronte all’ateismo illuminista e positivista e i diritti della persona di fronte a ogni collettivismo sono stati al centro della loro vita e della loro opera. Newman è stato un appassionato studioso della storia della Chiesa delle origini. Nelle lotte del IV e V secolo interne alla Chiesa, combattute per la ricerca della verità, per il dogma, scopre la forma permanente di ogni epoca della Chiesa. Sempre essa è segnata da lotte tra estremismi e un centro da recuperare continuamente. Quel centro che Newman chiama dogma, inteso da lui però in senso anti-intellettualistico come Tradizione vivente, è ciò che l’ha spinto a lasciare la Chiesa anglicana per quella cattolica. Anche Newman, come Rosmini, può diventare un tesoro attuale che permetta di dare contenuto autentico alla realizzazione del Vaticano II».

© Copyright Il Riformista, 12 novembre 2007

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