12 novembre 2007

Ateologia, la nuova scienza del bestseller. Opere che fanno mercato ma non convertono nessuno (di Alberto Melloni)


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TENDENZE Da Onfray a Odifreddi, da Hitchens a Dawkins: opere che fanno mercato ma non convertono nessuno

Ateologia, la nuova scienza del bestseller

I libri antireligiosi: un fenomeno commerciale che confonde fede e integralismo

di ALBERTO MELLONI

È ormai un'abitudine: non solo italiana, ma in Italia fortissima. Ogni sei mesi una casa editrice, dalle più prestigiose alle più piccole, pubblica un libro (gli autori hanno curricula
assai vari), che con linguaggio più o meno paludato, con pretese più o meno universali, con toni più o meno grezzi, se la prende con Dio (anzi, con dio) e con chi gli crede
. La tendenza, nella sua versione pensosa, è tutt'altro che nuova. Giacché è da secoli che posizioni scettiche o di ateismo dottrinale circolano nella cultura occidentale: ma sarebbe sbagliato e perfino irreverente andare a citare i grandi nomi della filosofia per spiegare questo fenomeno, che è di livello assai diverso e che ha orizzonti più che altro commerciali.
Con quel quid di civetteria francofona, Michel Onfray ha avuto successo sciorinando argomentazioni che intendono «dimostrare» l'inconsistenza della fede: lo ha fatto con un libro di successo —il Trattato di ateologia — che raccoglie un'azione di insegnamento extra-accademico, somministrato ad un pubblico serale che rimane incantato quando lui giocherella con contraddizioni bibliche o aporie dottrinali. Ma chi abbia seguito anche solo i giornali avrà notato la verve di un matematico come Piergiorgio Odifreddi, il quale — se ne è indignato perfino un autore mite e in tutt'altre faccende affaccendato come Aldo Grasso — non nasconde che per lui la fede è roba da «cretini». E poi più di recente sul mercato italiano è passato l'affresco di Hitchens, per il quale non genericamente la fede cristiana o i monoteismi dei figli di Abramo, ma tutte le religioni, singolarmente considerate, sono una delle piaghe dell'umanità: accusa senza sconti, che trova singolare ascolto perché ha saputo mettere in caricatura l'Islam astratto, monoforme e senza storia che oggi impasta tanto discorso pubblico (l'Islam è irrazionalista, l'Islam è fondamentalista, l'Islam è un impasto di fede e politica). Dopo di lui è arrivato un biologo di rango come Richard Dawkins a spiegarci che «l'egoismo del gene » ci deve bastare ed è facile immaginare che sia già in bozze un altro «Adversus Deum» di qualcuno — un fisico, un atleta, un giornalista — che esprimerà la sua posizione agonistica con lo zelo dei missionari dello sbattezzo, appena prima che arrivi un altro. Perché, nella faticosa lotta per un posto in libreria, i volumi così vanno da dio.
Qualcuno, in ambito credente, si sente minacciato da queste «empietà», reagisce allarmato, e capita che nella foga retorica alambicchi su questa spia di una «persecuzione»: una mentalità timida e potenzialmente violenta, non di rado associata all'idea che la rivincita debba avvenire (o sia avvenuta) in Parlamento o al Tesoro. In realtà chi abbia la pazienza di leggere questa letteratura dell'«abbasso-dio» non farà fatica a scoprirne il carattere «reazionario» in senso tecnico. Perché ciò con cui polemizzano questi autori, al netto delle differenze talora sensibili fra l'uno e l'altro, non sono le fedi così come si sono sviluppate nel tempo, là dove una vita o un insegnamento o la follia della predicazione hanno radicato un'esperienza senza la quale alcuni e non altri non saprebbero essere se stessi. Gli ateologi polemizzano contro l'essenzialismo: l'idea, concepita contro la modernità, che esista un nucleo astratto e atemporale, fatto di dottrine coerenti, di meccanismi che rendono tutto ovvio, spiegabile, necessario. È l'essenzialismo che, trovandosi a mal partito davanti alla rugosità dei testi «sacri» (che per quanto «sacri» hanno una filologia e una storicità), si arrocca sul semplicismo e sprezza la fatica dell'esegeta. È l'essenzialismo che, davanti al progressivo mutare dei quadri di riferimento collettivi, s'affanna ad eternizzare una morale come fosse un fine a se stessa e legge il cambiamento come frutto di arrendevolezza. È l'essenzialismo che eccita l'arroganza credente, quella che, davanti all'immensità storica del dolore, sorride come se fosse la prova dei guai che vengono dalla poca fede. Evidenza dell'inevidente contro inevidenza dell'evidente, l'essenzialismo è diventato concime per i soloni dell'ateologia, il bersaglio contro il quale esibirsi in virtuosismi para-razionalisti (simmetrici al virtuosismo para-spirituale) e chiedersi come mai chi esce di casa per andare a pregare il venerdì o il sabato o la domenica non si senta un idiota. Se pochi vengono «convertiti» all'ateismo da queste opere che fanno mercato, ma non una cultura, è perché nella realtà delle vite concrete l'esperienza religiosa non è fatta di essenze, ma di una dimensione intima e comune, che sfugge agli essenzialisti esattamente come allo scetticismo bestseller. È quella dimensione che nemmeno sa del bisogno fisico di potere, della brama di luminescenza mediatica, della voluttà del proscenio politico che infiltra tanta religiosità e altrettanta irreligiosità. Perché, là dove c'è, il primato dell'interiore risulta così delicato e forte che nemmeno s'affanna a dichiararsi. E lascia volentieri che nel piccolo colosseo dei cataloghi editoriali si azzuffino i gladiatori dell'una e dell'altra parte in una lotta che assomiglia al wrestling, dove si fingono botte tremende, e si finisce poi a dividersi gli incassi. A questa dimensione interiore non si rivolge ormai quasi nessuno per insegnare ad ascoltare quella che, nella teofania di cui è testimone, il profeta Elia chiama «la voce del silenzio più impalpabile»: e forse questo spiega perché in tanta letteratura sul divino, in tanta editoria religiosa e irreligiosa, resti intatta e insoddisfatta la sete di maestri.
Pochi ce ne sono in quelle che sono le riconosciute autorità spirituali e i loro ripetitori, che preferiscono dar battaglia nei campi dell'etica e del naturale, sui quali si può lucrare qualcosa, piuttosto che cimentarsi con la difficile arte del cammino dell'uomo, dell'esemplarità della vita, dell'apprendistato del mistero. E di maestri certo ce n'è nessuno della sezione «abbasso dio» della biblioteca italiana dei bestseller, così importante nei bilanci, così irrilevante nella realtà.

© Copyright Corriere della sera, 11 novembre 2007

3 commenti:

mariateresa ha detto...

ehehehe...
C'è del succo nell'articolo e quindi prendiamo quello che c'è di buono, anche se il tono è un tantino supponente come al solito.
Mi fanno morire:
"l'essenzialismo che, trovandosi a mal partito davanti alla rugosità dei testi «sacri" e
"Evidenza dell'inevidente contro l'inevidenza dell'evidente, l'essenzialismo è diventato concime per i soloni dell'ateologia,".
Un sobrio argomentare, non c'è dubbio.
Quanto ai soloni......

Anonimo ha detto...

come fa Melloni a sostenere con tanta certezza che tutte queste pubblicazioni apertamente anti-religiose ed anti-cattoliche siano poi "così irrilevante nella realtà"?

confesso che non ho avuto il tempo ;-) di leggere tutto il pezzo, mi sono limitato al grassetto (grazie come sempre Raffaella!!)

però non vengono presentati dati reali, ma solo supposizioni e "wishful thinking", insomma, il solito pezzo alla Melloni, con la verità preconfezionata in tasca...

Luigi

Anonimo ha detto...

A me sembra che, come fa spesso, il prof. Melloni se la prenda con gli atei devoti. Se non ci fossero questi, gli ateologi non sabbero così motivati. I credenti sono degli illuminati, ma non devono imporre alla società le proprie convinzioni, specialmente in capo etico. E, mi sembra di capire, che il vero bersaglio siano gli integralisti miscredenti, che tanto vanno d'accordo con il papa. Cordialmente.