12 novembre 2007

La vaticanista Aura Miguel a Tracce: per il Papa il futuro della fede non è più cosa di massa. Benedetto sta puntando ad ogni persona, all'essenziale!


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Benedetto XVI in Austria

«Vienna? Una sfida. E vi spiego perchè»

Paola Ronconi

L’appello all’Europa. La fede semplice. E una domanda fatta a ognuno di noi. Una cronista che segue il Papa da anni racconta il suo ultimo viaggio. Storico

Sono vent’anni che segue i Papi per lavoro. E lo ha fatto anche nel suo recente viaggio, lo scorso 7-9 settembre, in Austria. È Aura Miguel, vaticanista di Rádio Renascença, popolarissima emittente cattolica portoghese. Di momenti importanti ne ha visti tanti, da vicino. «Ma questo viaggio è stato una tappa fondamentale del pontificato di Benedetto XVI», dice.

Il Papa è preoccupato per l’Europa: nel discorso nella Hofburg di Vienna ha voluto parlare a tutto il Continente di radici cristiane, difesa della vita, famiglia, fede e ragione. E lo ha fatto con toni molto determinati…
Questo viaggio si inserisce pienamente nel filo conduttore dei viaggi in Europa, è come se stesse facendo una “diagnosi”: pensiamo a quello che ha detto a Colonia nel 2005, in Spagna alle famiglie e a Regensburg nel 2006. Questa volta fa l’elenco dei problemi in modo realistico per dire che noi dobbiamo usare la ragione fino in fondo.
Lui dice che non dobbiamo vergognarci di quello che siamo.
Ha detto: «L’Europa ha vissuto e sofferto anche terribili cammini sbagliati. Ne fanno parte: restringimenti ideologici della filosofia, della scienza e anche della fede», intende un uso sbagliato della ragione. Ma anche se abbiamo fatto degli errori, l’Europa ha una «capacità di autocritica».
È come se spingesse l’Europa ad approfondire la sua stessa vocazione, a non avere paura di considerare se stessa perché solo così può diventare protagonista. Poi lui definisce gli errori: aborto, eutanasia… Ma questi sono conseguenze di un cattivo uso della ragione.

Perché secondo te il Papa ha scelto l’Austria, un Paese a lui certamente familiare, ma dove la fede negli ultimi decenni si è molto affievolita, per lanciare un appello agli europei?

Come quando è andato in Germania: era a casa e diceva che la Germania è generosa nell’aiuto agli africani, ma si dimentica dell’essenziale. Qui è un po’ la stessa cosa. Il fatto che i cattolici siano una minoranza è proprio il motivo per cui parla di questo.
È un’emergenza, la fede sta per scomparire, e il Papa deve indicare l’essenziale, il sale della terra. Il futuro della fede per lui non è più una cosa di massa; Ratzinger sta puntando a ogni persona, ognuno deve confrontarsi con l’essenziale.
A Mariazell ha parlato di Cristo e della fede non come un’ideologia ma come un rapporto personale: «Il cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi. È il dono di un’amicizia che perdura nella vita e nella morte».
Anche quando parla di rassegnazione dell’Europa interroga ognuno di noi. Ci dice: rischiate la vostra vita, cercate la verità per la vostra vita. Questo è il filo conduttore.

Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, poco prima dell’arrivo del Papa ha paragonato l’Austria all’ «impero romano del secondo secolo, quando fece irruzione il cristianesimo». Un giudizio per tutta l’Europa?

Esattamente. Io ho avuto questa sensazione a Regensburg: quando ha detto che l’Europa, «l’Occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno».
Io ho pensato: se non cambiamo rotta sparirà la fede. Lo definisce così bene a Mariazell: «Questa rassegnazione di fronte alla verità è, secondo la mia convinzione, il nocciolo della crisi dell’Occidente, dell’Europa».
Il Papa segna il cammino, il problema è la nostra libertà.
In Austria ha toccato i punti essenziali della fede con una semplicità sorprendente. Nell’omelia di Mariazell parla di Maria che ci mostra Gesù come un bambino. La fede è una cosa semplice…
È come se volesse dirci che queste cose che lui ci sta dicendo sembrano difficili, ma guardando la Madonna guardiamo a una potentissima mediatrice che ci prende per mano; come una “trasformatrice delle difficoltà”, ci sostiene nel comprendere la cosa essenziale.
È molto bello a Mariazell quando dice che la gente viene qui portando con sé i desideri del loro cuore: speranze, preoccupazioni, tristezze. È come se dicesse: prendete sul serio tutto ciò che vi preoccupa. E Maria ti porge quel bambino umile; anzi, a noi che tante volte abbiamo paura della verità per gli sbagli commessi, lui dice che «la verità non si afferma tramite un potere esterno, ma è umile».
Veramente se guardiamo il Papa lui è così. Quando ha fatto 80 anni ci colpiva questo abbandono a Dio tanto che sembrava un bambino.

Perché spesso i media banalizzano le parole del Papa? Non ne capiscono la portata?

Perché non si lasciano toccare, si difendono da quello che il Papa sta dicendo. È sempre stato così. Il Papa parla in modo diretto, al cuore.
Durante la messa nel Duomo di Vienna, Ratzinger ha citato la risposta che alcuni cristiani di Abitene, nell’attuale Tunisia, nel 304 hanno dato al giudice, dopo essere stati sorpresi nella celebrazione eucaristica domenicale: «Sine dominico non possumus! Senza il Giorno del Signore non possiamo vivere». È una cosa da brivido: sono stati ammazzati perché andavano a messa. Per loro era una cosa fondamentale tanto quanto l’ossigeno. Se uno legge questo ha due possibilità: o lasciarsi toccare, e diventa un po’ incontrollabile cosa accade nella vita, o chiudere il cuore e cercare di diventare neutrali.
Come hanno fatto in questo caso, riportando la notizia come «il Papa bacchetta chi invece di andare a messa tiene aperti i negozi la domenica»! Secondo me questo è un aspetto della vocazione del giornalista, della vocazione di ognuno. Nei primi tempi in cui facevo la vaticanista, ho avuto l’opportunità di fare una domanda a Giovanni Paolo II: era il 1992. Ho cominciato a pensare a cosa avrei potuto chiedergli dal punto di vista giornalistico: la Terra Santa, l’Iraq... Poi gli ho chiesto: «Santità, cosa devo fare per diventare una buona giornalista?». Perché vedevo che gli aspetti che io reputavo importanti da comunicare non erano minimamente colti dagli altri media. Il Papa ha pensato lungamente. E alla fine mi ha detto: «Bisogna discernere sempre». È stato una sorta di mandato per la vita.

© Copyright Tracce, ottobre 2007

1 commento:

francesco ha detto...

molto interessante questa lettura...
e soprattutto questo passare dalle masse alla persona... ma la sfida è proprio qui

però - ahimè - il bel discorso a heiligenkreuz è rimasto negletto...