12 novembre 2007

"Gesù di Nazaret": il commento di don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico del Vicariato di Roma


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A colloquio con don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico del Vicariato, sul libro del Santo Padre

di Angelo Zema

La riflessione sui contenuti del libro del Papa “Gesù di Nazaret” è tra le priorità del programma pastorale diocesano. Tanto da costituire l’oggetto del confronto per la serie “Dialoghi in Cattedrale”, in programma martedì prossimo a San Giovanni in Laterano. Ne parliamo con don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico del Vicariato di Roma.

Don Andrea, il libro del Papa ha riscosso grande interesse, non solo tra i cattolici. L’esigenza di conoscere la verità su Gesù è molto sentita, nonostante continuino i tentativi di ridurre o banalizzare la sua figura. Qual è l’approccio di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel suo lavoro?

Possiamo comprenderlo facendo riferimento al capitolo ottavo dedicato all’evangelista Giovanni, il capitolo più difficile dal punto di vista storico, perché è evidente la diversità del linguaggio giovanneo da quello dei sinottici. Il Papa sottolinea che il quarto Vangelo è stato scritto nella cerchia dei fedelissimi del discepolo prediletto. È la via del Concilio, che ha affermato l’«origine apostolica» dei Vangeli.

Il Papa parla di uno strappo tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede», che con il tempo si è allargato. Da dove ha origine questo strappo?

Lo strappo moderno ha una profonda diversità da quello antico dello gnosticismo. Quest’ultimo non aveva alcun dubbio che Gesù fosse Dio, ma ne negava l’umanità. Dobbiamo agli gnostici la parola stessa «apocrifo», che significa «nascosto», poiché essi cercarono di accreditare le loro opere, scritte almeno 50 anni dopo i quattro Vangeli, dicendo che gli apostoli li avevano nascostamente consegnati a loro e quindi gli altri cristiani non avevano potuto conoscerli. Cercavano così di superare lo stupore di chi si rendeva conto che il Gesù gnostico era una invenzione. Ma, senza il cristianesimo, lo gnosticismo non avrebbe potuto esistere! Esso è post-cristiano non solo cronologicamente, ma soprattutto teologicamente! Lo strappo moderno, che si è operato a partire dal Settecento deriva, invece, da riletture della figura di Gesù a partire da schemi elaborati a prescindere da lui. Se una certa idea dell’uomo o di Dio non corrisponde al dettato evangelico, se ne deduce che il Vangelo su quel punto non è affidabile. Il Papa cerca, però, di mostrare che quello strappo non è inevitabile, perché la fede accoglie il genuino frutto di una ricerca storico-critica non pregiudiziale.

Qual è il pericolo di una separazione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede», una separazione che appare anche attraverso la pubblicazione di «scoperte apparentemente nuove» sul mercato mediatico, come le definì il cardinale Schönborn?

Il fatto stesso che esista un pericolo in questo senso dice quanto la fede cristiana sia ragionevole ed accetti la sfida del dialogo e del confronto. Perché per la fede è essenziale che ciò che si annunzia sia legato alla reale intenzione di Gesù di Nazaret. Altrimenti il cristianesimo diventerebbe una ideologia auto-referente. La fede cristiana afferma che la Parola piena e definitiva di Dio, la Parola che svela il suo mistero, è la persona di Gesù. La Scrittura è Parola di Dio in quanto mezzo per giungere a Lui. Se essa fosse inaffidabile, se Gesù fosse solo un uomo, sia pure uno straordinario rabbino, Dio non ci avrebbe minimamente fatto conoscere il suo vero volto. È straordinario come i diversi capitoli del libro riconducano continuamente il lettore a Gesù stesso.

Il Papa sottolinea che «il popolo è il vero, più profondo «autore» delle Scritture». In che senso va colta questa indicazione? Quale dovrebbe essere il corretto atteggiamento di fronte alle Scritture?

Per la Chiesa, a differenza dei testi sacri di altre religioni, i singoli autori sacri sono veri autori dei loro scritti. Ma, al contempo, l’unico Dio è autore di tutti i differenti libri che compongono la Bibbia. Esiste così un sensus plenior, un senso più pieno, che si rivela non necessariamente al momento in cui un testo viene scritto, ma nel prosieguo dell’unica storia della salvezza condotta da Dio. Benedetto XVI sottolinea come questo «sensus plenior» non sia artificialmente aggiunto dall’esterno alla Scrittura, ma sia proprio la dinamica che lega i libri sacri gli uni agli altri. L’interpretazione di un brano nel suo contesto e quella che guarda all’unità della Bibbia non vanno mai separate. Lo Spirito stesso guida alla verità tutta intera, continuando questo processo nella tradizione della Chiesa.

Qual è il «messaggio» portato da Gesù che emerge dal libro del Papa?

È un messaggio che non è esterno a se stesso. Se Gesù annuncia continuamente - dice il libro - il primato di Dio, se parla continuamente del Padre, se manifesta il suo volto, lo fa perché egli ne è il Figlio. Più volte Benedetto XVI ha insistito sul fatto che il desiderio di verità è connaturale all’uomo; già l’Antico Testamento contesta gli idoli non veri delle religioni circostanti, mostrandone i tratti disumani e non divini. Solo la verità permette di liberarsi dall’errore. La pretesa di Gesù di rivelare Dio è, in maniera definitiva, una esigenza di verità. Nell’ultimo capitolo il volume mostra come tutta la teologia giovannea sia già contenuta nella cosiddetta esclamazione di giubilo dei sinottici, nella quale Gesù afferma: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Questa verità è amore.

Un’ultima domanda per chi ancora non si è accostato al libro del Papa e intende farlo. Quali consigli darebbe a queste persone?

Di leggerlo scoprendo il valore di un’opera che torna a porre la questione dell’essenza del cristianesimo. Siamo troppo abituati a ragionare a partire dalle eccezioni e dagli stimoli effimeri del momento, mentre dobbiamo recuperare ciò che è essenziale. Anche l’annuncio del Vangelo ha sempre convinto l’uomo quando ha affrontato le grandi questioni, quelle che stanno veramente a cuore all’uomo di ogni tempo. Aggiungo poi di non scoraggiarsi se il lettore incontra qualche passaggio che appare difficile. Dobbiamo tornare - ci invita il Papa - al gusto di pensare, di voler capire. E, perché questo sia possibile, dobbiamo coltivare il senso del silenzio e della riflessione. È per una gioia più grande che si affronta la fatica della lettura! Proviamo a meravigliarci nuovamente dell’evento cristiano e della saggezza con la quale la Chiesa lo ha trasmesso agli uomini. Come ebbe a scrivere G.K.Chesterton: «Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell'ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono. Non c’è invece niente di così eccitante come l’ortodossia: l’ortodossia è la saggezza e l’essere saggi è più drammatico che l’essere pazzi».

© Copyright RomaSette, 12 novembre 2007

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