12 novembre 2007

Un'altra donna in Vaticano: la professoressa Mary Ann Glendon sarà il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede


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Mary Ann Glendon è il nuovo ambasciatore Usa presso la Santa Sede Ma a Washington c'è chi critica la sua nomina: troppo vicina al Papa

Gianna Fregonara

ROMA — Questa volta la novità non è che a rappresentare gli Stati Uniti presso il Vaticano, per la prima volta, ci sarà una donna, la professoressa Mary Ann Glendon. Ma che l'ambasciatrice di Washington è uno degli esperti più ascoltati da Papa Benedetto XVI. Di lei le voci d'Oltretevere dicono che conta più di un cardinale.
In realtà la signora Glendon, 69 anni, è, dal 2004, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali ed è membro del Pontificio Consiglio per i Laici, dopo essere stata, nel 1995 la capo delegazione del Vaticano alla Conferenza Internazionale sulle Donne, organizzata dalle Nazioni Unite a Pechino. Insomma, una delle tre donne più alte in grado nella gerarchia della Santa Sede. «Se una donna potesse diventare Papa, lei sarebbe il mio candidato», ha detto di lei Alan Dershowitz, che è anche un suo collega ad Harvard.
Cattolica, antiabortista ma femminista, ha lavorato nel movimento per i diritti civili in Mississippi. Ma questo suo curriculum in Vaticano — più delle sue sempre molto taglienti prese di posizione contro l'aborto e i diritti dei gay e nonostante l'incarico avuto da George W. Bush di consulente presidenziale sulla Bioetica — ha alimentato i dubbi che la Casa Bianca abbia voluto, con la sua nomina, dare un preciso messaggio alla Santa Sede, a poco più di vent'anni dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra i due Stati e dopo un periodo — la guerra in Iraq, le accuse di pedofilia — alquanto turbolento. Un gesto di amicizia che, commentano negli Stati Uniti, rasenta il conflitto di interessi.
Il tema lo pone un collega della Glendon, il professor Steve Bainbridge dell'Università di California: «Vorremmo come nostro ambasciatore in Cina un avvocato che ha speso la maggior parte della sua vita professionale rappresentando la Cina nel negoziato al Wto?». La domanda sul conflitto di interessi fa velocemente il giro dei blog giuridici e delle Università americane. E se anche è difficile che possa alla fine indurre il Senato a non dare il suo voto alla scelta di Bush, alimenta la discussione sulla svolta dell'Amministrazione, quasi quanto le proteste degli attivisti dei diritti degli omosessuali che la accusano di essere «reazionaria ».
Glendon succede a Francis Rooney, il facoltoso industriale originario dell'Oklahoma, cattolico e buon amico del presidente Bush sin dalla fine degli anni 80 quando il futuro governatore del Texas scelse la sua impresa edile per il nuovo stadio dei Texas Rangers, la squadra di football posseduta dal giovane Bush. Rooney lascia dopo due anni, alla vigilia della delicatissima visita di Benedetto XVI negli Stati Uniti il prossimo aprile. E Bush non sceglie un altro dei finanziatori della sua campagna elettorale, ma una professoressa che si definisce politicamente «senza casa».
Questo della nomina ad ambasciatore non è che l'ultimo colpo di scena della storia personale di Mary Ann Glendon. Sposata alla fine degli anni sessanta con un avvocato afro-americano, conosciuto durante le battaglie per i diritti civili in Mississippi, divorzia poco dopo l'arrivo della prima figlia. Era un matrimonio civile, ha spiegato lei, che considera la sua seconda unione con l'avvocato ebreo Edward Lev, sposato in chiesa e dal quale sono nate altre due figlie, «il mio primo matrimonio».
Alla fine degli Anni Ottanta Glendon diventa una delle voci più autorevoli del neo-femminismo conservatore, che si basa sull'assunto che «non ha senso riconoscere la dignità e i diritti della donna ma ignorare ostentatamente la famiglia, il matrimonio e gli impegni che ne derivano », come disse all'Avvenire due anni fa, lanciando un vero e proprio manifesto di valori femministi basati sulla «diversità» uomo-donna. A Roma frequenta il salotto di Salvatore Rebecchini, e all'Onu è stata una strenua oppositrice — come racconta la portavoce del Family Day Eugenia Roccella — di quella campagna pro-aborto voluta come piano di controllo demografico da parte dei governi e contro quel «patto diabolico» tra i movimenti per la salute delle donne e le organizzazioni che vogliono il controllo delle nascite.

© Copyright Corriere della sera, 12 novembre 2007

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