5 gennaio 2008
Card. Ratzinger: "Lo sguardo dei Magi arrivava lontano: erano persone che andavano alla ricerca di Dio e quindi di se stesse..." (Sul Natale)
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(Botticelli, "Adorazione dei Magi")
Grazie alla nostra grandissima Gemma possiamo leggere la straordinaria omelia che il cardinale Ratzinger presso la chiesa collegiata di Berchtesgaden, il 6 gennaio 1994, Solennita' dell'Epifania del Signore.
E' stato difficilissimo trovare un titolo a questo post perche' ogni parola, ogni frase, del futuro Papa merita attenzione e riflessione.
Grazie ancora a Gemma :-)
Raffaella
Da "Sul Natale":
“Abbiamo visto una stella”
Nel novembre scorso ho potuto visitare con i miei collaboratori l’osservatorio astronomico pontificio di Castel Gandolfo, un tempo molto famoso. Abbiamo visto i potenti telescopi con i quali i dotti padri, fino a poco tempo fa, cercavano di studiare la carta del cielo. Oggi tutte queste strutture non sono altro che un museo. Non che gli strumenti non siano più in grado di funzionare, ma le luci sulla città di Roma e su quasi tutta l’Europa occidentale sono diventate talmente forti che ormai è praticamente impossibile vedere le stelle; l’esplorazione del cielo non può più essere fatta con quei mezzi. Ci si dovrebbe recare in una zona remota e disabitata dell’America e proseguire lì l’esplorazione.
La luce degli uomini – la luce prodotta da noi – nasconde alla vista le luci del cielo. Le nostre luci nascondono le stelle di Dio. E’ quasi una metafora: a causa delle troppe cose che abbiamo creato riusciamo a malapena a riconoscere la creazione di Dio e le sue tracce.
Ed ecco questi uomini venuti dall’Oriente, che dicono di sé: “Abbiamo visto la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. Che genere di persone erano, e che specie di stella era quella?
La nuova versione della Sacra Scrittura ha tradotto il termine “magoi”, “magi”, con “astrologi”, ma quegli uomini non erano sicuramente né maghi intenzionati a impossessarsi di Dio e del mondo, né astronomi nel significato che oggi la scienza dà a questo termine, né astrologi desiderosi di sondare i misteri del futuro e di vendere la conoscenza che ne avrebbero potuto trarre.
Erano persone che andavano in cerca di qualcosa di più, andavano in cerca della vera luce che ci indica la strada sulla quale dobbiamo camminare nella nostra vita. Erano persone convinte che la firma di Dio è riportata nella creazione e che noi dobbiamo (e possiamo) tentare di decifrarla. Che a noi è dato di trovare le tracce di Dio e farci guidare da esse per arrivare alla vera vita.
Non erano dunque avventurieri come i circumnavigatori del globo dell’età moderna, che volevano ottenere nuove conoscenze sul mondo e crearsi in tal modo una fama. E neppure c’era in loro quella curiosità tipica della scienza, che invia razzi nel cosmo per strappargli i suoi segreti più reconditi. Il loro sguardo arrivava molto più lontano. Erano persone che andavano alla ricerca di Dio e quindi andavano alla ricerca di se stesse. Erano sulle tracce di Abramo, che aveva acconsentito a che la voce di Dio lo chiamasse e per amor suo si era fatto pellegrino. Erano persone dal cuore irrequieto, alle quali non bastava la carta geografica e il puro e semplice sapere erudito, che cercavano invece l’autentica saggezza che insegnasse loro come si deve vivere, come si fa a essere uomini.
Forse ciò che ci permette di comprendere meglio quello che di particolare e di caratteristico avevano quegli uomini misteriosi è il modo, opposto al loro, di concepire la vita che trovarono a Gerusalemme.
Prima di tutto, Erode. Egli è senz’altro interessato al bambino, ma non per adorarlo, come egli afferma, bensì per eliminarlo. Erode è l’uomo di potere, che nell’altro riesce a vedere soltanto il rivale. E in fondo egli considera anche Dio come un rivale, anzi, come il rivale più pericoloso, che vorrebbe togliere agli uomini lo spazio vitale e la volontà individuale e non vuole riconoscere loro la possibilità di disporre di sé come meglio credono.
Perciò per lui Dio deve essere eliminato e le persone devono essere ridotte a semplici pedine nel gioco di potere che lui, Erode, sta tramando. E’ facile giudicare negativamente un sovrano così brutale, ma penso che dovremmo chiederci se non ci sia qualcosa di Erode anche in noi. Se anche noi non consideriamo Dio un rivale nella nostra vita, un rivale che pone dei limiti che ci impediscono di volere e di fare quello che ci piacerebbe e che riduce la possibilità di disporre della vita a nostro piacimento.
E così ci sentiamo profondamente irritati e scontenti, perché nella nostra ribellione siamo contro ciò che sta a fondamento di tutte le cose. E possiamo trovare una rappacificazione e una via d’uscita soltanto se smettiamo di essere ossessionati dall’idea della rivalità e se riconosciamo che l’amore onnipotente non ci toglie niente, non ci minaccia, ama anzi è la sola cosa che ci offre lo spazio in cui possiamo realmente vivere.
Per quanto riguarda gli abitanti di Gerusalemme, non dobbiamo condannarli! Erano persone come noi, tra loro c’erano dei buoni e dei cattivi. A loro bastavano le preoccupazioni, le fatiche e le piccole gioie della vita di tutti i giorni, non avevano tempo e forze per guardare più in alto. Anche a noi succede spesso di affogare nel tran tran quotidiano e di non voler aspirare a cose più grandi e più elevate, al cammino che conduce a Dio.
Infine gli eruditi, i teologi, gli specialisti della Sacra Scrittura che sanno tutto su di essa, che ne conoscono ogni possibile interpretazione, che sono in grado di citarne a memoria ogni passo e che pertanto sono davvero l’aiuto a chi si mette in ricerca. Ma, come dice Agostino, essi sono guide per gli altri.
Indicano la via, ma restano fermi. In fondo per essi la Scrittura era solo un atlante per la loro curiosità, una quantità di concetti da passare al vaglio e sui quali discutere.
L’idea che la Scrittura non dovesse soltanto essere conosciuta e discussa, ma anche essere vissuta non veniva loro più mente. E di nuovo la domanda è rivolta a noi: non siamo anche noi tentati di ritenere la Sacra Scrittura, la fede della Chiesa, più un oggetto di discussione che una via che conduce alla vita? Tra coloro che sapevano ma non agivano in base alle loro conoscenze e coloro che non sapevano ma trovavano la via andandone in cerca, anche noi dobbiamo riconoscere che Cristo non ha voluto la Chiesa perché discutesse la parola di Dio, ma perché fosse un luogo in cui quella parola veniva vissuta.
Nei nostri cuori dovrebbe nascere nuovamente la disponibilità a considerare la parola della Bibbia non come un oggetto di curiosità, accanto a molti altri, ma come la verità che ci dice che cosa è un uomo e come può diventare retto, la verità che è la via e che perciò interpella la nostra esistenza e riceve una risposta appropriata soltanto nella vita e nel cammino condivisi con gli altri.
Possiamo immaginare che i Magi abbiano dovuto subire derisioni di ogni sorta.
Stando a quanto si dice, in Israele sarebbe nato il re del mondo e costoro si mettono in cammino seguendo le indicazioni di una qualche stella. Alle persone dabbene tutto ciò sembra quanto mai assurdo e puerile.
I Magi sono certamente stati presi in giro. Hanno dovuto subire anch’essi la sorte di Abramo, che aveva detto di sé quello che ripetevano i primi cristiani: “Siamo pellegrini e forestieri in questo mondo”, siamo visti come estranei che non fanno del tutto parte di questa società. Ma per i Magi non era granchè importante quello che la gente raccontava sul loro conto, quello che su di loro diceva la pubblica opinione, che cambia quasi da un giorno all’altro. Per essi era importante quello che è vero e dà la vita autentica, e per questo prendevano di buon grado su di sé le beffe della gente.
E ancora una volta essi ci provocano e ci sfidano anche oggi . Proprio oggi è di nuovo rischioso vivere davvero la fede, ritenere la parola della Chiesa non una teoria tra le altre, magari ampiamente superata, ma osare veramente essere cristiani, con le esigenze che questa realtà porta con sé, credere e vivere da cristiani. Perciò anche oggi si è visti come delle persone strane e si è spesso esposti alla derisione, anche oggi si è in certo qual modo pellegrini e forestieri.
Ma è proprio questo quello che ci occorre per andare oltre il conformismo, per attingere la verità e la vera dimensione dell’essere uomo che Dio ci ha riservato. Tale dimensione consiste nel fatto che diventiamo simili a Dio, poiché la sua verità e il suo amore diventano la nostra luce e la nostra vita.
Così anche oggi deve essere valido per noi il tema che ricorre in tutta la Scrittura:non abbiamo quasi una dimora stabile, andiamo in cerca di quella futura.
Siamo riconoscenti per la bella patria che ci è stata data in sorte, ma che è diventata bella proprio perché gli uomini hanno saputo guardare al di là di essa e l’hanno provvista del segnavia dell’eternità. E continua a rimanere bella soltanto se noi continuiamo nel nostro cammino, in modo che la luce della città futura illumini le nostre città, le nostre piazze e i nostri villaggi.
Ed eccoci così alla seconda domanda. Che stella era quella che i magi hanno visto? Nel corso dei secoli vi sono stati al riguardo accesi dibattiti tra gli astronomi. Keplero ha detto che doveva essere una nova o una supernova, vale a dire una di quelle stelle che in genere emanano una luce fioca, ma nelle quali una violenta esplosione interna, libera rapidamente una luminosità eccezionale. Altri hanno detto che doveva essere la cometa di Halley, altri ancora una congiunzione di Giove e Saturno. Sono tutti pareri interessanti, che però non ci portano all’essenziale.
Quegli uomini volevano riconoscere le tracce di Dio.
Erano convinti che i cieli annunciano la grandezza di Dio e che Dio può essere visto nel creato. Erano convinti che non chi cerca con un cannocchiale qualsiasi, ma soprattutto chi usa il cannocchiale del cuore, del suo desiderio di Dio mosso dalla fede, può trovarlo ed è in grado di avvicinarsi a lui. Il mondo non è soltanto un prodotto del caso, come molte teorie ci vogliono far credere. Tramite esso si intravede qualcosa di più: il discernimento del creatore, l’infinita e inesauribile fantasia di Dio, l’amore con cui egli ha preparato questo mondo per noi. Oggi non dovremmo lasciarci ottundere la mente da teorie che possono arrivare soltanto fino a un certo punto e che – a ben guardare – non sono affatto in concorrenza con la fede. Non possiamo fare a meno di vedere nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità la razionalità eterna, e non possiamo fare a meno di lasciarci sempre di nuovo condurre da essa all’unico Dio, creatore del cielo e della terra. Se faremo ciò, constateremo anche che colui che ha creato il mondo e colui che è nato a Betlemme e nell’Eucaristia dimora in mezzo a noi sono lo stesso Dio vivente che ci chiama e che ci vuole preparare per la vita eterna.
Così, con i Magi, si è avverata per la prima volta la parola che poi si realizzerà sempre più lungo tutti i
secoli: verranno da Oriente e Occidente, da Nord e da Sud, e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe.
Ciò significa non solo che i cristiani, i chiamati da Dio, verranno da tutti i punti cardinali, ma anche che i segnavia conducono a Dio da qualsiasi provenienza spirituale, dalla scienza, dalle religioni. E che in ogni cuore umano è impressa quella stessa che alla fine arriva a Betlemme e che ci indica che lì c’è colui che tutte le cose attendono nella pace.
Ma ecco che ora quegli uomini arrivano a Gerusalemme, e sopra la grande città la stella si spegne, non è più visibile. Che significa? Certo a quel tempo Gerusalemme non era illuminata come oggi lo è Roma, e le luci della città non avrebbero di sicuro nascosto le stelle. In questo caso abbiamo a che fare con qualcosa di diverso e più profondo.
Quegli uomini avevano considerato ovvio che il nuovo re sarebbe nato nel palazzo reale. Avevano considerato ovvio che il nuovo re, che era la saggezza e la fonte di ogni conoscenza, si sarebbe dovuto trovare là dove si trovavano gli eruditi. Ma dovettero constatare che nei luoghi del potere e della cultura il neonato non era rintracciabile, anche se lì venivano fornite loro informazioni su di lui. Dovettero riconoscere che Dio è molto diverso da come se l’erano immaginato, che non si trova affatto dove c’è il potere di questo mondo e che neppure si fa rintracciare nella scienza o nella teologia. Dovettero anzi riconoscere che il potere, anche il potere della conoscenza, speso gli sbarra la strada. Dovettero cambiare il loro modo di pensare e di vedere le cose, lasciare che la loro stessa esistenza mutasse. Dovettero recarsi a Betlemme, la piccola città che anticamente era una delle meno importanti in Israele, ma che da allora in poi non lo sarebbe mai più stata. E anche lì dovettero andare a far visita agli immigrati, ai più poveri, per rintracciare il re del mondo. Dovettero riconoscere che i criteri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini, che Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma si rivolge a noi in modo del tutto
differente: nell’umiltà del suo amore, che solo può chiedere alla nostra libertà di accoglierlo, trasformandoci e facendoci così diventare capaci di arrivare a lui.
Neppure per noi le cose sono diverse da come lo erano per i Magi. Se dovessimo esprimere la nostra opinione sul modo in cui Dio avrebbe dovuto redimere il mondo, diremmo che avrebbe dovuto eliminare con il suo potere le cose come sono adesso e instaurare con precisione scientifica un sistema economico mondiale più giusto, in modo che tutti potessero avere tutto ciò che desideravano. Questo è il nostro modo di pensare.
In realtà si tratterebbe di una violenza operata sull’uomo e di un’alienazione, perché in questo modo nell’uomo verrebbero meno proprio le sue caratteristiche autentiche. Infatti né la nostra libertà né il nostro amore sarebbero chiamati in causa. Per questo la potenza di Dio deve manifestarsi in maniera differente: a Betlemme, nell’umile impotenza del suo amore. Là noi andiamo, là è la stella. Chiediamo al Signore che ci conceda di continuare a vivere questo processo di trasformazione che nella vita non ha mai fine. Che impariamo a conoscere in modo sempre nuovo quest’altro Dio, che troviamo il coraggio di liberarci delle nostre fantasie e dei nostri sogni e che cerchiamo questo coraggio nell’umiltà della fede.
Appare così evidente il secondo aspetto relativo ai fatti accaduti a Gerusalemme: il linguaggio del creato e i simboli delle religioni permettono di percorrere un buon tratto di strada, ma non danno l’illuminazione definitiva. Alla fine i Magi hanno avuto bisogno della voce della Sacra Scrittura. In fondo soltanto essa poteva indicare loro il cammino. La parola di Dio è la vera stella, la parola di Dio è la grande nova in cui all’improvviso, dall’incertezza del discorso degli uomini, erompe l’infinita luminosità della verità divina che ci guida. Seguiamo quella nova, la stella della parola di Dio. Se viviamo con essa nella Chiesa di Dio, in cui la parola ha piantato la sua tenda, siamo sulla retta via. Troviamo allora quella chiarezza che tutti gli altri segni non possono dare.
La festa dell’Epifania, come il Natale, ha influenzato profondamente il nostro paese con le sue usanze. Sulle porte delle nostre case scriviamo il numero dell’anno in cui stiamo vivendo e le lettere C+M+B, che stanno a significare Christus mansionem benedicat, “Cristo benedica questa nostra dimora”. Chiediamogli di abitare con noi, chiediamogli di proteggere la nostra casa e di tenere lontano da essa ogni male, ogni minaccia e rovina. Chiediamogli di spalancare la nostra casa allo spirito del vero amore, di farla diventare la casa dell’ospitalità, nella quale ci sentiamo legati da reciproco affetto. Diventiamo insieme pellegrini dell’eternità.
Ma quelle tre lettere sono anche le iniziali del nome dei tre Magi, che sono ricordati già nella prima metà del II secolo, anche se in forma un po’ diversa, e ciò sta anche a significare che vogliamo sentirci legati a quei Magi venuti dall’Oriente. Che, pur restando nelle nostre dimore e pur essendo riconoscenti per il riparo che ci offrono, vogliamo essere nomadi, pellegrini che vanno dietro alla stella. E se osserviamo bene come stanno le cose, possiamo dire che nel corso dei secoli i Magi venuti dall’Oriente sono essi stessi diventati stelle che ci guidano e ci mostrano dov’è Cristo. I santi sono come nove, sono persone che grazie a un’esplosione di luce, per virtù della parola di Dio, cominciano a irradiare lo splendore della verità divina che ci indica la strada.
Ed ecco l’ultima esortazione: il Signore vuole che anche noi diventiamo stelle, che anche in noi si verifichi quella sconvolgente esplosione della fede grazie alla quale si libera la luce che Lui ha fatto scendere su di noi, affinché troviamo la strada e diventiamo segnavia per gli altri. Questo è quanto chiediamo al Signore in questo giorno di festa.
Amen.
Omelia per l’Epifania del 1994, tenuta dal cardinale Ratzinger presso la chiesa collegiata di Berchtesgaden
(dal libro “Sul Natale” del 2005, Lindau)
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1 commento:
MERAVIGLIOSA!!!Grazie,buon Epifania a tutti Paola
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