15 marzo 2008
«Cristiani in Iraq, vittime innocenti di una guerra infinita». Accattoli intervista il cardinale Martino
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«Cristiani in Iraq, vittime innocenti di una guerra infinita»
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Il presidente del Consiglio Giustizia e pace: «Se non ci fosse stato il conflitto, non piangeremmo tutti questi morti»
Luigi Accattoli
CITTÀ DEL VATICANO — «Se non ci fosse stata la guerra a Saddam Hussein non staremmo a piangere tutti questi morti. Con la guerra si voleva rimediare all'aggressività antioccidentale di quel dittatore ed ecco che si è ottenuta un'aggressività ancora maggiore che travolge i cristiani, benché iracheni, in quanto individuati come quinta colonna dell'invasore»: è il commento del cardinale Renato Martino, presidente del Consiglio Giustizia e pace, alla morte del vescovo caldeo di Mosul.
Eminenza, la guerra non è ormai lontana?
«Nient'affatto. A parte che i combattimenti non sono mai cessati, per la mentalità araba la guerra sarà presente finché saranno presenti le truppe americane. Io non posso che ripetere ancora una volta: se si fosse ascoltato Giovanni Paolo II che scongiurava tutti di non fare quella guerra!»
Saddam Hussein non lasciava alternative all'uso della forza...
«Non è vero! La Santa Sede disponeva di informazioni sicure sul fatto che Saddam era pronto ad accettare le condizioni dell'Onu. Le ispezioni stavano funzionando e sarebbe stato sufficiente attendere un mese ma non si volle questa attesa».
Si direbbe che oggi sia più difficile di ieri essere cristiano in Iraq e in Palestina, ma anche in Turchia e in Libano...
«Questo è forse l'aspetto del problema che più mi addolora. In passato nelle guerre del mondo arabo c'era quasi una consegna non scritta di rispettare gli uomini delle religioni, ma purtroppo ora quel rispetto non c'è più e si rapiscono religiosi e si violano sinagoghe, chiese e moschee».
Le cose vanno dunque peggiorando?
«Si direbbe che peggiorino rispetto a ogni secolo precedente. Questo fratello vescovo colpito ora era un caldeo: badi che i caldei sono in Iraq da sempre, da prima della conquista musulmana, discendono dai primissimi cristiani e sono sopravvissuti in ogni epoca. Solo oggi rischiano la scomparsa. E che dire del Libano, dove quarant'anni addietro, al tempo della mia prima esperienza diplomatica a Beirut, i cristiani erano il triplo di oggi?».
Perché si va al peggio invece che al meglio?
«Perché la logica dello scontro si è radicalizzata e ha finito per essere l'unica che si prende in esame. E' per questo che la Santa Sede riafferma, nonostante ogni fatica, la necessità vitale del dialogo, in Medio Oriente e dappertutto».
Martiri cristiani ci sono anche al centro dell'Africa, in Asia e in America Latina...
«Oltre a quelli che sono vittime di ogni tipo di fondamentalismo — c'è anche un fondamentalismo cristiano e uno indù e uno ebraico, non c'è solo quello musulmano— ci sono le vittime della predicazione della giustizia. Sappiamo bene quante volte i nostri fratelli missionari, ma anche vescovi e cardinali del posto, sono stati uccisi per aver denunciato la rapina dei latifondisti o la violenza dei dominatori politici o gli affari dei signori della guerra».
© Copyright Corriere della sera, 14 marzo 2008
Mosul, la tragedia del vescovo Il Papa: «Violenza disumana»
Trovato morto monsignor Rahho, sequestrato il 29 febbraio
L'anziano prelato era malato di cuore. Nei giorni scorsi l'ultima telefonata dei rapitori ad uno dei suoi collaboratori
Lorenzo Cremonesi
(da Bagdad ha collaborato Waleed al Iraqi)
Appena prima della guerra, nel febbraio 2003, a decine di migliaia i cristiani della regione di Bagdad erano fuggiti a nord, verso Mosul e le aree a ridosso delle province curde. Ma ora, con il ritrovamento del corpo senza vita dell'arcivescovo caldeo di Mosul, il 65enne Paulos Faraj Rahho, diventa tragicamente evidente ciò che sussurravano da tempo: non esistono più santuari sicuri per queste che sono considerate tra le più antiche comunità cristiane del Medio Oriente. L'intero Iraq è a rischio. Essere cristiani — non importa se caldei legati dalla Chiesa di Roma, assiri, greci ortodossi, armeni o protestanti — significa automaticamente trovarsi nel mirino dei fondamentalisti islamici, vittime indifese nello scontro fratricida tra curdi, sciiti e sunniti, o obiettivi preferiti dalla criminalità e dalle squadracce di sequestratori a caccia di riscatti, pagati magari da chi ha famigliari o amici fuggiti all'estero.
Il calvario di monsignor Rahho è solo l'ultimo episodio di una lunga serie di fatti drammatici. Era stato rapito il 29 febbraio, dopo aver celebrato la messa nella basilica di Mosul. I sequestratori non avevano voluto testimoni e avevano ucciso le due guardie del corpo e l'autista del prelato. «Attenzione, soffre di cuore, ha bisogno di medicine», avvisavano subito con appelli pubblici i responsabili della Chiesa locale. La stampa irachena aveva riportato voci che fosse stato chiesto un riscatto, prima di 2,5 milioni di dollari poi di 5, come ricordavano ieri sera le tv nazionali Al Iraqiya e Al Hurra. Difficile distinguere il vero dal falso, non è neppure chiaro se una trattativa fosse partita. Una delle tante speculazioni è che l'arcivescovo fosse stato venduto a una seconda banda. Ieri il vescovo ausiliario di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, ha comunque precisato che, sebbene non sia stata chiarita l'identità dei responsabili, questi, due giorni fa, si erano fatti vivi affermando prima che l'ostaggio stava molto male, poi che era deceduto ed era stato sepolto fuori Mosul. «Seguendo le loro indicazioni, alcuni nostri giovani hanno potuto individuare il luogo dove era stato sotterrato», ha detto Warduni. A un primo esame medico non sembra vi siano ferite sul corpo. «Rahho potrebbe essere deceduto per cause naturali già nella prima fase del sequestro, il cadavere mostrava segni di decomposizione», aggiungono fonti vicine al patriarcato di Mosul.
Mentre si preparano i funerali ufficiali per questa mattina, da Roma giunge il cordoglio del Papa. «È un atto di disumana violenza, che offende la dignità dell'essere umano e nuoce gravemente alla causa della fraterna convivenza dell'amato popolo iracheno», ha dichiarato Benedetto XVI. Tra i messaggi dalla comunità internazionale, anche Massimo D'Alema ha condannato «la barbara violenza di cui è stato fatto oggetto un uomo dedito a una missione spirituale e umana di grande valore». Proprio a Mosul e nella vicina Karakosh, culla del cenobitismo nel III e IV secolo dell'era cristiana, prima della guerra del 2003 i leader caldei e ortodossi ribadivano ai giornalisti occidentali che tutto sommato preferivano essere garantiti dalla dittatura di Saddam che non subire il caos che, a loro parere, sarebbe inevitabilmente seguito all'invasione americana. Col senno del poi, la sventura della loro profezia è stata più grave di quanto immaginassero. Da allora tantissimi tra il milione di cristiani iracheni (di cui circa 600 mila caldei) sono emigrati. Sembra che ne rimangano in Iraq meno di 400 mila. Decine di prelati sono stati rapiti, uccisi, torturati. Le chiese bruciate, devastate, abbandonate.
«Riscatto»
Secondo le tv irachene, negli scorsi giorni sarebbe stato chiesto un riscatto di 5 milioni di dollari
© Copyright Corriere della sera, 14 marzo 2008
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