10 aprile 2008

Card. Georges Cottier: "Coloro che hanno accusato Benedetto XVI di essere "contro la scienza" hanno letto la Spe Salvi con fretta e prevenzione"


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Progresso e conoscenza nella «Spe salvi»

Le pretese salvifiche della scienza moderna

di Georges Marie Martin Cottier
Cardinale Pro-Teologo della Casa Pontificia

L'Enciclica Spe salvi non poteva mancare di interrogarsi sulle ragioni dell'"attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana" (n. 17).

La speranza, peraltro, deve essere considerata in sé stessa, ma anche in quanto è ispiratrice delle aspirazioni e degli slanci che caratterizzano una cultura alla quale, d'altro canto, essa rivela il suo orizzonte trascendente.

La speranza cristiana si è così trovata a essere il bersaglio di critiche violente sulla base dell'accusa di alimentare una preoccupazione egoistica della salvezza individuale e di incoraggiare la fuga davanti alle responsabilità nei confronti degli altri.
Il processo così intentato trae appoggio e giustificazione da una concezione del rapporto dell'uomo con il mondo che ha origine dall'ebbrezza della presa di coscienza delle enormi possibilità di azione che offre la scienza moderna. Sono queste possibilità, più che la natura di questa scienza, che affascinano. In altre parole, si tratta propriamente di un'ideologia che è venuta a sovrapporsi alla scienza come tale.

Coloro dunque che hanno accusato Benedetto XVI di essere "contro la scienza" hanno affrontato il testo dell'enciclica, peraltro molto esplicito, con fretta e prevenzione.

Francesco Bacone, che il Papa cita più volte, è stato uno dei primi a vedere che il nuovo approccio allo studio della natura, caratterizzato dall'osservazione e dalla formalizzazione matematica, apriva all'intelligenza umana un campo di esplorazione illimitato e soprattutto avviava alla "vittoria dell'arte sulla natura", alla vittoria della technè.
Occorre evocare ugualmente un altro testimone della rivoluzione culturale moderna, René Descartes: secondo lui grazie alla nuova scienza, la cui finalità pratica è esplicitamente affermata, noi saremmo divenuti "padroni e possessori della natura".

Come sottolinea l'enciclica, si instaura così una nuova correlazione tra scienza e prassi. Una breve formula ne esprime lo spirito e l'ambizione: "sapere è potere".

L'enciclica attira l'attenzione sulla parte direttamente teologica dell'interpretazione baconiana: la nuova correlazione tra scienza e prassi significherebbe che il dominio sulla creazione, dato all'uomo da Dio e perso nel peccato originale, verrebbe ristabilito; il che suggerisce che la nuova scienza ha una portata salvifica.
L'idea, caricata di reminiscenze bibliche, proseguirà il suo cammino, attraverso metamorfosi e meandri, lungo tutto il corso del secolo dei Lumi e fino al ventesimo secolo.
La si trova espressa da un autore, il quale, pur con la sua immaginazione stravagante, ha esercitato un'enorme influenza, a tal punto che il socialismo fino a Marx da un lato, il positivismo di Auguste Comte, suo discepolo, dall'altro, possono appellarsi a lui: Henri de Saint-Simon (1760-1825). Nell'opera Le Nouveau Cristianisme egli afferma che è venuta l'epoca in cui è dato di "intravedere la possibilità di effettuare la grande operazione morale, poetica e scientifica, che consiste nel trasferire il paradiso terrestre trasportandolo dal passato al futuro". Si tratta dell'operazione intellettuale più importante che si possa fare. Il sapere positivo perfezionerà la morale e annienterà "l'idea falsa e scoraggiante che il bene abbia preceduto il male"; sancirà l'idea giusta, consolante e stimolante, secondo la quale le nostre fatiche miglioreranno il benessere dei nostri figli. Si tratta di un'"idea essenzialmente religiosa, poiché presenta il paradiso celeste come la ricompensa finale di tutti i lavori che avranno contribuito al miglioramento della condizione della specie umana lungo il corso della sua esistenza terrena".
A suo modo questo testo illustra il rapporto polemico con la speranza cristiana che è insito nel mito del progresso, e aiuta a comprendere la diagnosi proposta nel numero 17 dell'enciclica.

La grande maggioranza dei pensatori che, nei secoli successivi, si porranno nella scia dell'analisi di Francesco Bacone faranno professione di ateismo o di un deismo anticristiano.

Rimane certo comunque che, in se stesso, il progetto non lo si comprende pienamente che nella prospettiva spirituale di una volontà di soppiantare la speranza propria dell'antica religione. Si tratta di sostituire al Regno di Dio il regno dell'uomo. Uno dei rappresentanti maggiori dell'ateismo moderno, Feuerbach, si presenterà come colui che, affermando essere l'uomo il dio dell'uomo, porterà al suo coronamento la cristologia, svelandone il senso antropologico. Il suo contemporaneo, Auguste Comte, creerà di sana pianta la religione dell'umanità, essendo la religione considerata come l'espressione di un bisogno umano.
Più vicino a noi, un autore marxista, nutrito di reminiscenze del profetismo biblico, Ernst Bloch, si proporrà di mettere in evidenza l'ispirazione profetica ed escatologica capace di conferire il suo vero dinamismo a un movimento rivendicante un carattere scientifico.
In effetti, il "materialismo dialettico e storico" si è presentato come la scienza della società e della storia, una scienza che consente all'uomo di dominare tanto l'una quanto l'altra. Per Auguste Comte la regina delle scienze, coronamento del sapere positivo, è la sociologia che permette l'organizzazione della società.
In realtà, è il mito del progresso necessario a sostenere le grandi ideologie moderne. Esso poggia sulla convinzione che una ragione immanente guida la storia verso la felicità della specie umana, verso il "paradiso", che si realizzerà nella storia stessa. Questo risultato è come garantito in anticipo: il progresso è per definizione progresso nella direzione del bene. È in virtù della prassi dominatrice dell'uomo che questa realizzazione si compie progressivamente. La prassi significa l'azione della ragione scientifica e tecnica.
Un presupposto essenziale della fede nel Progresso è che la marcia della storia, che è marcia della ragione, conduce infallibilmente a un incremento continuo del bene. Le terribili esperienze del ventesimo secolo e la comparsa della bomba atomica hanno provocato l'acuta presa di coscienza che non è possibile mettere ai margini, come se si trattasse di una quantità insignificante, la sofferenza dei secoli e il cinismo dei potenti. (Qui non si possono che menzionare i numeri 41 e seguenti dell'enciclica concernenti il giudizio, che richiederebbero una riflessione approfondita).
La questione posta è così quella della natura della ragione.

Quando Benedetto XVI scrive che "non è la scienza che redime l'uomo" (n. 26), egli si riferisce a una certa idea della ragione, quella che ispira le diverse forme di scientismo e di positivismo. Significativa, a questo proposito, è la critica "dell'errore fondamentale di Marx. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male" (n. 21).

Il vero errore di Marx fu il suo materialismo, in virtù del quale egli faceva dell'uomo e della sua felicità un prodotto delle condizioni economiche favorevoli.

Adorno ha messo perfettamente in evidenza l'ambiguità del progresso, il quale "offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male" (n. 22).
L'ambizione che anima l'ideologia scientista e positivista è di applicare all'insieme della realtà, come unicamente valido, il metodo che ha dato prova di se stesso nelle scienze della natura. Ma vi è qui una riduzione della ragione, che impedisce di vedere nell'uomo ciò che trascende l'ordine della natura materiale e che fonda la sua dignità. Su questo argomento, Fides et ratio ha attirato con forza la nostra attenzione.
Saint-Simon attribuisce a coloro che al tempo dei Lumi venivano chiamati "i filosofi" l'intenzione di sostituire alla Genesi, nell'elaborare l'Encyclopédie, un nuovo testo fondatore. L'osservazione, checché ne sia della sua veracità, ha il merito di attirare la nostra attenzione sulla posta in gioco, veramente importante, di fronte alla quale ci troviamo.
Dio ha stabilito l'uomo, creato a sua immagine e somiglianza, come suo amministratore nei confronti di una natura destinata a provvedere ai suoi bisogni. Amministrare significa adempiere fedelmente una missione. Detto altrimenti, la dimensione etica interviene come elemento costitutivo della relazione dell'uomo con la natura e con se stesso. La prassi umana, in quanto attività tecnica, richiede, in virtù di una esigenza che appartiene alla sua natura, la regolazione etica. È obbedendo alla legge morale che l'uomo trova la sua vera libertà, perché egli sperimenta allora la verità del suo essere. Al contrario, cedendo al miraggio di una sua piena autosufficienza, egli diventa preda dell'arbitrio e della dialettica del dominio, dove i forti schiacciano i deboli.
Certo, si pretende sempre di agire per il bene dell'umanità. Ma conviene ricordare una tesi di Auguste Comte, che suona come una sinistra premonizione: l'umanità - a suo dire - non si identifica con ciascuno degli esseri umani. Essa è rappresentata dai Grandi Uomini. Oggi noi abbiamo sentito affermare, nell'indifferenza generale, che non ogni membro della specie umana è per ciò stesso una persona. A ciò si oppone frontalmente la verità affermata da Gaudium et spes: "L'uomo è la sola creatura in terra che Dio ha voluto per se stessa" (n. 24).

Ricordando che "non è la scienza che redime l'uomo", Benedetto XVI ci mette in guardia contro l'idea di una scienza che sarebbe regola di se stessa, indipendentemente dalla legge etica, come suppone la fede nel Progresso. Spetta all'etica indicare la strada dei veri progressi che l'umanità, cosciente della sua dignità, è in diritto di attendere dalla "scienza".

(©L'Osservatore Romano - 11 aprile 2008)

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