18 aprile 2008

Ratzinger l'Occidente e la storia (Baget Bozzo)


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Ratzinger l'Occidente e la storia

GIANNI BAGET BOZZO

Forse papa Ratzinger non ha il generale consenso nella Chiesa, ma è difficile pensare quale sia l’alternativa possibile. Benedetto si attiene alla «lettera» del Concilio e si oppone allo «spirito del Concilio». Cos’è lo «spirito»? Forse lo dice l’espressione «segni dei tempi», usata da Giovanni XXIII, poi dal Concilio e diffusa nel linguaggio ecclesiastico: la Chiesa doveva cambiare perché il mondo cambiasse. I segni dei tempi indicavano un futuro disegnato da Dio: la Chiesa avrebbe trovato, cambiando, una storia pronta ad accoglierla. Un’armonia prestabilita tra Chiesa e storia. Il Concilio si colorava di escatologia: un futuro assoluto dentro il tempo mai stato pensato prima. Gioacchino da Fiore è il teologo segreto dello «spirito del Concilio». È lui che ha pensato un’età dello Spirito Santo dopo quella del Figlio, in cui la Chiesa gerarchica veniva sostituita da una Chiesa monastica. Questo concetto attirò anche il giovane Ratzinger.
E nel suo libro su San Bonaventura prova che questi fu influenzato da Gioacchino da Fiore. La Rivelazione poteva cambiare anche la Chiesa nel tempo e quindi configurare tempi diversi di essa, anche uno di pienezza ecclesiale. Chi ha espresso maggiormente questa tesi è don Giuseppe Dossetti, che rifiutava il primato papale della Chiesa nei termini stabiliti da San Gregorio VII. E pensava a un rapporto tra i monaci e le istituzioni politiche analogo a quello della Chiesa orientale. L’utopia s’applicava ora alla Chiesa, ma ne supponeva una concezione trionfalistica: che la storia fosse preadattata alla Chiesa e essa potesse, cambiando, segnare la mutazione dei tempi. I «segni dei tempi» volevano dire appunto che il Concilio si configurava come il futuro della storia e che i passi dei padri conciliari s’accompagnavano già con quelli futuri dei popoli occidentali. Il successo del mondo dominato da Usa e Urss era un cammino verso un mondo in cui la storia dell’Occidente si sarebbe conciliata con la Chiesa.

I «segni dei tempi» lentamente spariscono dal linguaggio ecclesiale perché la realtà è diversa. Il grande percorso filosofico e politico della storia moderna è crollato con l’Urss, un’utopia realizzata con la forza del potere. Dissolvendosi, ha chiuso il tempo delle sfide nucleari, ma anche l’idea che la storia moderna avrebbe raggiunto nella collaborazione tra Occidente e comunismo la sua pienezza. L’Occidente non è più la chiave culturale nel mondo e le varie nazioni d’Oriente, d’orientamento non cristiano, prendono il sopravvento. L’Europa, in molti paesi, si sente postcristiana. Rimane l’America del Nord e del Sud, l’unica terra che si possa dire ancora Cristianità, sia pure in modo che diremmo volenteroso, mettendo in luce la differenza tra America e Europa.

Papa Ratzinger è la conversione dell’utopia alla realtà: si misura con i fatti, che dicono la Chiesa minacciata da fattori come il laicismo occidentale e l’Islam. Non c’è spazio per l’utopia escatologica di fronte alla sfida che tocca l’esistenza della Chiesa, comunione e istituzione, e salda i due aspetti della Chiesa, mistero e diritto, in una realtà complessa che la Chiesa cattolica impersona più delle altre comunità cristiane. Chiesa e mondo sono realtà diverse, in cui alla Chiesa tocca un compito di preservare se stessa integra dallo «spirito del mondo» che oggi ha più senso dell’armonia prestabilita da Chiesa e storia. La storia filosofica e politica dell’Occidente come avventura unica è caduta dalla realtà.

I nudi fatti del reale mostrano che la Chiesa di Ratzinger parla il linguaggio della Rivelazione e di questo tempo e di questa storia. Ma i «segni dei tempi» rimangono legati a un sogno passato di conciliazione totale con il mondo che ora il mondo respinge. La Chiesa è divenuta, ancora una volta, «segno di contraddizione» e non mistagogia tra la saldatura finale del moderno con l’ecclesiale. Ratzinger assume la Chiesa cattolica dei tempi che vengono dopo la modernità.

© Copyright La Stampa, 18 aprile 2008 consultabile online anche qui.

Guai se il Papa avesse il consenso generale della Chiesa e del mondo!
Non e' questa la Missione affidata da Cristo a Pietro.
Tutto cio' che oggi Benedetto XVI semina dara' grandi e copiosi frutti anche se oggi c'e' chi non perde occasione per attaccarlo.
Rileggiamo il brano evangelico che sempre mi emoziona
:

Dal Vangelo di Luca (6, 26)

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti."

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante, questo pezzo di Weigel! Ciao
Alessia

Come Benedetto XVI farà la storia

Una forza sorprendente
L’influenza e la forza di attrazione del moderno pontificato sono, in effetti, sorprendenti. Quando Leone XIII venne eletto nel 1878, primo Papa in 1100 anni senza il controllo come sovrano riconosciuto internazionalmente di un territorio consistente, molti considerarono il papato come un anacronismo senza valore. Leone, tuttavia, fondò il moderno pontificato come un compito di persuasione morale. Giovanni Paolo II, eletto precisamente 100 anni dopo, ha trasformato il pulpito pontificio in qualcosa di cui il mondo deve tener conto. Giovanni Paolo II è stata una delle figure chiave nella caduta del comunismo europeo; egli ha inoltre giocato un ruolo significativo nella transizione democratica in America Latina e nei Paesi dell’Estremo oriente, difendendo al contempo l’universalità dei diritti umani e sfidando la secolarizzazione intollerante della cultura europea.
Il fatto che molti cattolici sentano un rapporto personale e profondo con il Papa è un altro fenomeno per alcuni aspetti sorprendente.
Quando la prima diocesi cattolica americana, Baltimora, venne istituita nel 1789, pochi cattolici nella nascente repubblica americana vivevano un legame personale con Pio VI. Assediato dai rivoluzionari italiani anticlericali determinati ad incorporare lo Stato pontificio nell’Italia unita, Pio IX (1846-1878) fu il primo pontefice moderno ad attrarre la simpatia e il sostegno popolare dei cattolici.
I milioni di cattolici immigrati in America tra la Guerra civile e la prima guerra mondiale, conoscevano certamente Leone XIII (che difendeva il sindacato), Pio X (che ha permesso ai bambini di ricevere la santa Comunione), Benedetto XV (che ha mandato in bancarotta il Vaticano per aiutare i superstiti della Prima guerra mondiale e i prigionieri di guerra) e Pio XI (feroce critico del nazismo e del comunismo), ma questi Papi erano solo delle icone popolari. Pio XII (1939-1958) era largamente venerato, ma era una figura lontana, su un altro piano: ci si meravigliava addirittura che una personalità così eterea potesse usare il telefono, la macchina da scrivere e il rasoio elettrico.
È stato “Il Papa Buono, Giovanni” - ora il Beato Giovanni XXIII - che ha sigillato il legame di affetto personale tra il pontificato e i cattolici americani di ogni età e condizione; la sua morte nel giugno 1963 è sembrata un lutto di famiglia. Il pontificato di Paolo VI (1963-1978) è stato pieno di amare controversie sui riti, la morale sessuale e il governo della Chiesa. Quando Papa Paolo mori a Castel Gandolfo nell’agosto 1978, quasi tutti erano pronti a voltar pagina. Il suo successore immediato, l’affascinante Giovanni Paolo I, sarebbe potuto essere un altro Giovanni XXIII, ma mori dopo 33 giorni dall’elezione.
I successivi 26 anni videro Giovanni Paolo II evolvere da “Giovanni Paolo Superstar” a primo pastore universale dell’età della globalizzazione; come disse Brian Williams della NBC, i suoi funerali nell’aprile 2005 furono «l’evento umano di una generazione». Decine di migliaia di cattolici americani hanno visitato la sua tomba nelle grotte vaticane e hanno invocato la sua intercessione da quando egli compì il suo viaggio finale a quella che chiamava “La casa del Padre”.
Benedetto XVI ha ereditato da Giovanni Paolo II una serie di aspettative su cosa sono i papi e su cosa devono fare. Personalità meno pirotecnica del suo predecessore, nel cui pontificato ha giocato un ruolo intellettuale determinante, Benedetto ha attratto meno l’attenzione dei media (almeno fuori Italia), ma conta molto dove un Papa deve pubblicamente e personalmente “contare”. Occorre però guardare più da vicino e in modo più profondo per vedere l’impronta lasciata dalle scarpe di questo Pescatore.

La grande strategia di Benedetto XVI
I Papi moderni mettono in campo una particolare forma di forza: la forza della persuasione morale.
Prendiamo l’epico pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia nel Giugno 1979. Gli storici della Guerra fredda ora riconoscono il 2-10 giugno 1979, come un momento cruciale della storia dei nostri giorni. Ci sono stati sicuramente altri attori e altre forze, ma Giovanni Paolo II ha giocato un ruolo centrale nella caduta del comunismo, che nessun studioso di quel periodo oggi mette in dubbio.
Nel 1979, gli effetti della rivoluzione morale e spirituale che Giovanni Paolo II ha provocato non erano per tutti facili da distinguere. Certamente, quello del Papa polacco non era il vocabolario normalmente utilizzato negli affari di Stato: per nove giorni e circa 40 discorsi, Giovanni Paolo II non ha detto una parola circa la politica, l’economia, il regime comunista polacco o i suoi padroni a Mosca. Piuttosto, ha parlato della vera storia e della cultura profondamente religiosa della Polonia, chiamando il suo popolo ad un progetto nobile: la restaurazione della sua vera identità. Il messaggio fu ricevuto da chi aveva orecchie per intendere e, come risultato, la storia cambiò, compresa quella personale del Papa, con il conseguente attentato del 1981.
Le diverse personalità di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI qualche volta mascherano le loro comuni (e irremovibili) convinzioni, che le idee morali e religiose possono reindirizare il corso degli affari umani. Anche per Benedetto XVI si potrebbe individuare un “giugno 1979”, un momento, a quel tempo, mancato o non riconosciuto. Quel momento è stato l’episodio più controverso del pontificato di Benedetto XVI: la sua lezione di Ratisbona su fede e ragione, tenuta nella sua vecchia università tedesca il 12 settembre 2006. Citando la netta critica acuta di un imperatore bizantino sull’Islam, Benedetto XVI si è esposto a critiche a livello mondiale. Altri, tuttavia, inclusi significativi personaggi nel complesso mondo dell’Islam, hanno considerato molto seriamente il punto del Papa sul pericolo della fede staccata dalla ragione. E nei successivi 19 mesi si sono verificati terremoti di potenziale portata storica, sia all’interno dell’Islam che nel mondo del dialogo interreligioso.
Benedetto XVI ha ricevuto due lettere aperte dai leader islamici: la lettera dell’ottobre 2007, “Un mondo aperto tra noi e voi!”, ha proposto un nuovo dialogo tra Islam e Vaticano. Quel dialogo sarà ora condotto attraverso un Forum Cattolico-Musulmano che si incontrerà un paio di volte all’anno, a Roma e ad Amman, in Giordania. Il Forum discuterà due questioni su cui Benedetto XVI ha insistito: la libertà religiosa, intesa come un diritto umano che ognuno può abbracciare con la ragione, e la separazione tra autorità religiosa e politica nello Stato moderno.
Forse ancora più importante è stata la visita, nel novembre 2007, del re dell’Arabia Saudita, Abdullah, data la sua influenza sull’Islam sunnita; dopo questa visita, si sono aperte trattative tra Santa Sede e Arabia Saudita per la costruzione della prima chiesa cattolica nel paese.
Benedetto XVI ha cambiato significativamente l’approccio intellettuale del Vaticano a questi problemi. Gli esperti cattolici del dialogo interreligioso che non hanno spinto sulla libertà religiosa e la reciprocità tra le fedi sono stati sostituiti da studiosi convinti che affrontando le questioni difficili si aiutano quei riformatori musulmani che stanno cercando un percorso autenticamente islamico alla civiltà, alla tolleranza e al pluralismo. Così, Benedetto XVI ha silenziosamente messo il suo pontificato a sostegno delle forze della riforma dell’Islam e può aver trovato un alleato cruciale in un Re Saudita che sta lottando nel suo regno contro l’estremismo wahhabista.
Il Papa qui sta pensando in termini di secoli: un Islam riformato capace di vivere con un pluralismo religioso e politico potrebbe essere un alleato nella lotta contro ciò che Benedetto una volta ha definito la “dittatura del relativismo”. In ogni caso, un Islam che riconoscesse la libertà religiosa e affermasse la separazione delle autorità politiche e religiose, sarebbe un bene per i musulmani che desiderano vivere in pace con i loro vicini e un bene per il resto del mondo. La posta non potrebbe essere più alta!

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raffaele ha detto...

L'escatologia è una parte necessaria e imprescindibile del linguaggio e dell'esperienza cristiana.I "segni dei tempi" possono cambiare, perché cambia la storia: ma si tratta di un linguaggio che non va abbandonato. Del resto, anche il card. Ruini parlava, poco tempo fa, di "nuovi segni dei tempi": non si tratta quindi di abbandonare quell'espressione conciliare (come vorrebbe Baget Bozzo), ma di utilizzarla per leggere ed interpretare un tempo storico in continua tradsformazione (ad ers. oggi non abbiamop più l'ottimismo degli anni '60).