26 luglio 2008
Benedetto XVI e Baghdad: richiamo alle responsabilità delle Nazioni. «Iraq, pace anche per le minoranze» (Avvenire)
Vedi anche:
Card. Pell: «La Gmg ha rinnovato l’orgoglio dei cattolici e ha rilanciato la coscienza del loro ruolo pubblico nel Paese» (Liut)
Il quotidiano australiano «The Sunday Morning Herald» capitola: «La bellezza di una generazione che ha sciolto il cinismo della città» (Liut)
Il 19 ottobre il Papa visita Pompei durante Sinodo Vescovi
Da Bressanone: ''Si', abbiamo tanta voglia di rivederlo. Papa Benedetto e' una persone molto fine e con un grande, grande cuore"
Le origini tirolesi di Joseph Ratzinger: i ricordi del fratello Georg (da Gelmi Josef, „Die Päpste mit dem Namen Benedikt“)
Joseph Ratzinger e Bressanone: i ricordi del dott. Johannes Messner
"Papamania" a Bressanone: caccia al souvenir, alle foto ed alla gatta Milly...
Pannelli anti-paparazzi e giornali da tutto il mondo per il Papa a Bressanone (Gasperina e Petrone)
L'eredità della Giornata mondiale della gioventù. I parroci imparino a svelare le parole di Papa Ratzinger (Il Tempo)
José Luis Restan: "La Gmg non era una kermesse, è stata l'occasione per trasmettere una esperienza". Dura critica agli "opinionisti" (Sussidiario)
Eutanasia, aborto, provetta selvaggia. Mons. Elio Sgreccia e la bioetica “laicista” (Tempi)
L'annuncio del premier australiano Kevin Rudd: "Nella Costituzione i diritti degli aborigeni" (Osservatore Romano)
Il Papa a Bressanone dove ritrova la cultura tedesca (Alto Adige)
Il sondaggio. L’Australia promuove la Gmg: la realtà ha sconfitto i pregiudizi (Fazzini)
"Lettera aperta" al Papa sul Corriere. Padre Lombardi: "Propaganda a pagamento: chi l'ha pagata e perchè? Infondate le accuse su Hiv" (Sir e R.V.)
Lettera aperta (a pagamento) sul Corriere della sera a Benedetto XVI sulla contraccezione. Il Papa non ha avuto tanto spazio sul Corriere per la Gmg
Il vescovo di Bolzano-Bressanone: "Il Santo Padre nel solco di Pietro" (Corriere Alto Adige)
Se la Chiesa spiazza i laicisti. Come mai una Chiesa così sfrontatamente anticonformista ha il vento in poppa? (Boffo)
GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU' SYDNEY 2008: LO SPECIALE DEL BLOG
BENEDETTO XVI E BAGHDAD
RICHIAMO ALLE RESPONSABILITÀ DELLE NAZIONI
FULVIO SCAGLIONE
L’udienza che papa Benedetto XVI ha concesso al premier iracheno Nur al- Maliki è di straordinaria importanza anche perché arriva in un momento decisivo. Mentre, cioè, la comunità internazionale fatica a prendere atto di una realtà che ha ormai una fisionomia autonoma, del tutto indipendente dalle motivazioni della guerra del 2003 e, quindi, dalle divisioni che essa aveva provocato. Per dirla in termini più concreti: è fallito l’obiettivo di fare dell’Iraq la piattaforma per una diffusione della democrazia in Medio Oriente, ma l’Iraq è una democrazia nascente che dev’essere comunque aiutata a crescere. È sempre forte e decisiva la presenza americana nel Paese ma il governo di Baghdad dà chiari segnali di volersi dotare di una personalità autonoma e aperta al dialogo. Inoltre: prima o poi (e pare ormai tra non molto) le truppe Usa saranno ritirate, dobbiamo quindi decidere come aiutare l’Iraq e un progetto di democrazia che, privi di scudo militare, potrebbero soccombere alle forze del caos o alle difficoltà di un accordo interetnico e interreligioso ogni giorno messo alla prova.
Se ci guardiamo attorno, non troviamo molta coscienza di queste sfide. Nelle stesse ore in cui una donna kamikaze compiva l’ennesima strage ( 8 morti) a Baquba, l’Unione Europea bloccava, attraverso il Consiglio Giustizia e Affari Interni, la bozza di un documento che invitava i 27 Paesi ad aprirsi ai profughi iracheni e 'rimandava a settembre' il premier al- Maliki.
Negli Usa la stampa è sempre più polemica verso i provvedimenti che la obbligano a dare una visione ' sterilizzata' della situazione, impedendo così agli americani di prendere atto dei reali problemi degli iracheni. Lo stesso governo americano si tiene stretti i visti d’ingresso ( 500 l’anno per gli iracheni), con qualche apertura in più solo per chi può dimostrare di aver lavorato per le truppe o i rappresentanti americani in Iraq. Le difficoltà dei cattolici iracheni a ottenere il visto australiano per la Giornata mondiale della gioventù sono di ieri. Persino il Comitato Olimpico Internazionale ha escluso l’Iraq dei Giochi di Pechino per le 'interferenze' del governo di Baghdad: ma accettare 7 atleti in più, e dare soddisfazione e visibilità a un Paese martoriato, sarebbe stato uno sforzo eccessivo?
Mentre George Bush lascia la scena, l’aumento di truppe da lui deciso regala significativi margini di miglioramento e l’intero Medio Oriente pare disposto a uscire dalla drammatica letargia della violenza obbligatoria, l’Iraq dev’essere adottato da ognuno di noi. È facile, oggi, dirsi berlinesi, ma è un po’ più difficile ( anche se molto più utile) farsi iracheni. Il richiamo del Papa a perseguire ' la strada della pace e dello sviluppo attraverso il dialogo e la collaborazione di tutti i gruppi etnici e religiosi, incluse le minoranze' può essere decisivo nel ricordare alle nazioni libere e sviluppate le proprie responsabilità. Perché i cristiani iracheni hanno sofferto, in questi anni, per opera dell’esclusivismo della società islamica e del feroce terrorismo islamista ma anche per non essere stati ' riconosciuti' da alcuno al momento della cacciata di Saddam Hussein.
Se non siamo capaci di considerare 'nostri' i cristiani iracheni, e quindi di proteggerli, aiutarli, difenderli dalle bombe ma anche dal conflitto degli interessi prevalenti ( si pensi alla ' guerra fredda' tra i curdi e Baghdad sui giacimenti petroliferi della piana di Niniveh), di farli sentire parte di un’ampia e solidale comunità, come pensiamo di accogliere tra noi un intero Paese? La speranza, in questo caso, è che le parole di Benedetto XVI servano non solo a risvegliare le coscienze ma anche a crearle laddove, come visto, forse nemmeno esistono.
© Copyright Avvenire, 26 luglio 2008
CRISTIANI NEL MIRINO
«Iraq, pace anche per le minoranze»
Benedetto XVI riceve il premeir al-Maliki: il dialogo interreligioso è la via alla convivenza
DA ROMA MIMMO MUOLO
Pace per l’Iraq, condanna della violenza che ancora lo insanguina, ritorno dei rifugiati e maggiore sicurezza delle comunità cristiane.
L’agenda dell’incontro tra il Papa e il primo ministro iracheno, Nouri Kamel Al-Maliki (che ha invitato il Pontefice a recarsi nel suo Stato), ha visto primeggiare questi temi di fondamentale importanza per il futuro del martoriato Paese mediorientale. Un Paese al quale Benedetto XVI ha ribadito di tenere molto, come fa capire l’udienza di ieri, la prima dopo il ritorno dalla visita in Australia e l’unica, ha sottolineato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, incontrando a sua volta il premier di Baghdad insieme con il 'ministro degli esteri' vaticano, monsignor Dominique Mamberti, a non essere stata cancellata per consentire al Pontefice di riprendersi dalle fatiche del lungo viaggio nell’emisfero australe.
Durante i colloqui «svoltisi in un clima di cordialità», informa un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, «particolare attenzione è stata rivolta al tema dei numerosi rifugiati iracheni, dentro e fuori del Paese, che hanno bisogno di assistenza, anche in vista di un auspicato ritorno». Inoltre «è stata rinnovata la condanna della violenza che quasi ogni giorno continua a colpire le diverse parti del Paese, senza risparmiare le comunità cristiane, che sentono fortemente il bisogno di una maggiore sicurezza». Il Papa e il primo ministro, prosegue la nota vaticana, hanno anche «espresso l’auspicio che l’Iraq possa trovare decisamente la strada della pace e dello sviluppo attraverso il dialogo e la collaborazione di tutti i gruppi etnici e religiosi, incluse le minoranze, che nel rispetto delle rispettive identità, e con spirito di riconciliazione e di ricerca del bene comune, provvedano insieme alla ricostruzione morale e civile del Paese». Al riguardo, conclude il comunicato, «è stata ribadita l’importanza del dialogo interreligioso, come via alla comprensione religiosa ed alla civile convivenza». Infine «il Primo Ministro ha rivolto al Santo Padre un invito a visitare l’Iraq». Significativo appare nel testo diffuso dalla Sala Stampa l’accento sulla riconciliazione nazionale dell’Iraq. A tal proposito Al-Maliki ha detto che un eventuale ritiro dei militari Usa dal suo Paese dovrebbe soddisfare entrambe le parti e proteggere la sovranità dell’Iraq.
Ugualmente importante il tema del «dialogo tra tutti i gruppi etnici e religiosi, incluse le minoranze». Tra queste, infatti, è la comunità cattolica irachena, come ricordiamo nella scheda qui a fianco, una delle più colpite. Perciò il comunicato diffuso ai giornalisti parla esplicitamente di «bisogno di una maggiore sicurezza» ed indica «il dialogo interreligioso come via alla comprensione religiosa ed alla civile convivenza». Anche secondo l’ambasciatore presso la Santa Sede, Albert Edward Ismail Yelda, questo è stato uno dei punti centrali dell’incontro con il Papa e in quello precedente con il cardinale Bertone. Nel colloquio con Benedetto XVI – ha detto il diplomatico all’Ansa – AlMaliki ha fatto presente che tutti i cristiani che vivono in Medio Oriente devono poter convivere pacificamente con i musulmani». Non è stato fatto, invece, alcun riferimento a Tarek Aziz, cristiano caldeo ed ex braccio destro di Saddam Hussein che rischia la pena di morte.
© Copyright Avvenire, 26 luglio 2008
ERBIL
PIÙ DI CENTO PRIME COMUNIONI: LA CHIESA CONTINUA IL SUO CAMMINO
Nella parrocchia di San Giuseppe ad Ankawa, nel nord dell’Iraq, 102 bambini hanno ricevuto ieri il sacramento della prima comunione. Un evento salutato con « gioia e speranza » dall’intera comunità cristiana che « è viva e continua il suo cammino » pur fra le difficoltà quotidiane. Nelle prossime settimane la diocesi di Erbil e Amadiyah celebrerà altre prime comunioni, e nel villaggio di Karamles, in cui è sepolto monsignor Rahho, il patriarca Delli presiederà all’ordinazione di un sacerdote. « Queste celebrazioni accrescono la speranza nel cuore dei fedeli » ha dichiarato ad “ AsiaNews” monsignor Rabban al- Qas, vescovo di Erbil e Amadiyah, che ieri mattina ha impartito il sacramento della prima comunione ai bambini della parrocchia di San Giuseppe. Una festa che dimostra l’attaccamento dei « cristiani alla Chiesa e al proprio pastore » e per questo abbiamo chiesto « una benedizione speciale al Papa » . Mediante l’Eucaristia rinnoviamo « l’appartenenza alla comunità cristiana » ed è questo « un segnale di speranza » oltre che una testimonianza del « coraggio con il quale viviamo la nostra fede » pur fra minacce e persecuzioni.
Il vescovo rinnova l’appello ai fedeli di tutto il mondo a « non abbandonare l’Iraq » , che ha bisogno della « presenza dei cristiani » .
© Copyright Avvenire, 26 luglio 2008
«Adesso i terroristi fuggono in Europa»
ROMA. Rafforzare il programma di addestramento da parte dell’Italia delle forze di sicurezza irachene e arrivare ad un nuovo memorandum d’intesa bilaterale per garantire più sicurezza e democrazia nel Paese.
Questo l’obiettivo illustrato al termine di un incontro al Viminale tra il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il suo collega iracheno al-Bulani.
Maroni ha ricordato il forte impegno dell’Italia per la stabilizzazione dell’Iraq, «impegno che vogliamo rafforzare e riaffermare anche attraverso un memorandum d’intesa in materia di sicurezza, lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata».
Con l’Italia, ha aggiunto al- Bulani, «abbiamo relazioni antiche e interessi comuni e vogliamo che giochi ancora un ruolo nella stabilizzazione dell’Iraq». Maroni ha spiegato che la cooperazione dell’Italia con l’Iraq «continua nel settore della sicurezza», nell’ambito della missione Nato di addestramento delle forze dell’ordine.
L’Italia partecipa con un’ottantina di istruttori alla formazione delle forze di sicurezza irachene. Il consigliere per la sicurezza al-Rubaie ha rivelato che negli ultimi mesi sotto le pressioni del governo iracheno, i terroristi di alQaeda, lasciato l’Iraq, stanno tornando in Europa. Un dato confermato dalla stesso premeir al-Maliki. Per questo motivo, ha spiegato al-Rubaie, «Italia e Iraq devono condividere le informazioni di intelligence per contrastare la minaccia di al-Qaeda».
Maroni incontra il collega Burani sulla sicurezza: «Unire le forze di intelligence contro al-Qaeda Indispensabile la collaborazione»
© Copyright Avvenire, 26 luglio 2008
L’America riaprirà le porte a 25mila profughi
Non aumenteranno i visti, ma sarà creato un percorso facilitato per i cittadini che già collaborano con gli Usa a Baghdad
DA NEW YORK
ELENA MOLINARI
Sotto una crescente pressione da parte di numerose organizzazioni umanitarie, gli Stati Uniti hanno finalmente messo in pratica una legge che consentirà ad almeno 25mila iracheni ( forse anche il doppio) di emigrare in America con l’assistenza del governo Usa. Il nuovo programma non aumenta il numero dei profughi che Washington ammette annualmente dal Golfo ( 28mila per tutta la regione, 12mila dall’Iraq), come viene da anni richiesto dalle associazioni di difesa degli sfollati. Ma crea un percorso relativamente facile e poco costoso per tutti gli iracheni che già collaborano con l’amministrazione Usa per ottenere il visto necessario a trasferirsi in America.
Lo scopo è proteggere gli impiegati dell’ambasciata americana e delle forze armate americane da possibili ritorsioni da parte della guerriglia locale e di aprire un iter accelerato per una categoria di persone già preselezionata in virtù del proprio lavoro. A partire dalle prossime settimane dunque gli iracheni che hanno un rapporto di collaborazione con l’amministrazione Usa potranno rivolgersi all’ambasciata di Baghdad dove il dipartimento di Stato ha inviato personale incaricato esclusivamente di assistere nelle pratiche di emigrazione.
La novità rispetto al passato è che tutte le procedure potranno essere espletate in Iraq, senza bisogno di rivolgersi alle ambasciate Usa di Giordania, Siria o Egitto come era necessario fare finora. Un passaggio in più che rendeva la pratica di emigrazione troppo complicata e costosa per molti iracheni. Il nuovo iter promette anche di essere più spedito della domanda di asilo, che prevede il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite dello status di “profughi”.
La legge (approvata in realtà a gennaio dal Congresso, ma solo ora resa operativa) prevede che circa 5mila iracheni vengano ammessi negli Stati Uniti ogni anno per i prossimi cinque anni. Ogni persona che ottiene il visto potrà portare con sé il coniuge e i figli, mentre fratelli e genitori godranno di agevolazioni se faranno domanda separatamente. Per questo il numero finale potrebbe aumentare considerevolmente.
Il programma prevede di fornire assistenza agli immigrati durante i primi otto mesi della loro vita in America, per aiutarli a trovare lavoro e a superare ostacoli culturali e burocratici nella loro nuova vita. « È un passo nella direzione giusta – ha commentato Elissa Mittman, direttore per le migrazioni dell’International Rescue Committee – ma il dipartimento di Stato deve aumentare i finanziamenti per assicurarsi che i profughi ricevano adeguato aiuto una volta arrivati in un Paese del quale solo uno, in una famiglia di sei o otto persone, conoscerà la lingua, e nessuno conoscerà le strutture e istituzioni » . Ma di certo il programma salverà la vita a centinaia di iracheni che ricevono quotidianamente minacce di morte e intimidazioni per via della loro collaborazione con le forze armate o con i civili americani che operano in Iraq.
© Copyright Avvenire, 26 luglio 2008
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