11 luglio 2008
Per Eluana una corsa contro il tempo. «Salvatore sentiva, ma nessuno lo capiva». La storia di Jan: sveglio dopo 19 anni (Avvenire)
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ETICA & GIUSTIZIA
In mattinata sembrava che tutto fosse pronto per interrompere l’alimentazione e l’idratazione della giovane L’avvocato Alessio: «Improbabile un ricorso del procuratore generale»
Per Eluana una corsa contro il tempo
Timori di un immediato avvio delle procedure La curatrice: si cerca una struttura, poi il via
DAL NOSTRO INVIATO A LECCO LUCIA BELLASPIGA
Ti veniva da pensare che il tempo scorresse a due velocità, ieri, a Lecco. Nella stanza di Eluana l’impercettibile respiro della ragazza, le ore lente e sempre uguali, la sua vita che procede, ignara di quanto altri stanno per decidere. E fuori tutta la frenesia di chi quelle decisioni deve prenderle, o pensa di doverlo fare, magari «per il suo bene». Con dichiarazioni, smentite, colpi di scena. «Ormai che il decreto è stato depositato e c’è un’autorizzazione a sospendere l’alimentazione a Eluana, dipende solo dal padre. Appena lui decide siamo pronti a procedere, non c’è motivo di far passare altro tempo. Ho parlato stamattina con Beppino Englaro ed è orientato ad andare avanti. Il medico disponibile a staccare l’alimentazione e l’idratazione c’è, è il professor Massei, primario dell’ospedale di Lecco: appena troviamo la casa di cura o l’hospice adatto, lui si è detto disponibile», assicurava ancora nel primo pomeriggio l’avvocato Franca Alessio, curatrice speciale della giovane («una nomina che ho avuto dal presidente del Tribunale di Lecco per evitare conflitti di interesse tra il tutore, che è il signor Englaro, e la figlia, garantendo così l’imparzialità di ogni decisione»). Una responsabilità non da poco, quella della curatrice. Nessun dubbio? Nessun ostacolo etico? Come donna, o come madre, o come persona? «No, perché sono convinta che sia per il bene di Eluana... Ci resta solo da individuare una struttura adeguata, poi si inizia».
E i tempi? Entro quanto pensate che Eluana morirebbe? «Presto, uno o due giorni». È sicura? Terri Schiavo soffrì per tredici giorni, sedata con la morfina... «Ce l’hanno assicurato i medici, uno o due giorni. Avverrà in silenzio, faremo in modo che voi giornalisti non lo veniate a sapere». Quanto al rischio di un ricorso in Cassazione da parte del procuratore generale di Milano, «lo ritengo molto improbabile... ». Se avvenisse a cose fatte, cioè a sondino staccato? Potrebbe costringervi a bloccare il tutto? «Non bloccherebbe nulla, potrebbe semmai annullare la decisione, ma avremmo già agito e a quel punto senza più autorizzazione. A che servirebbe?».
Con queste parole la curatrice speciale ieri pomeriggio entrava nella prima riunione con Beppino Englaro e l’avvocato della famiglia, Vittorio Angiolini. Una riunione da cui sarebbero dovuti scaturire solo i dettagli logistici. Invece la doccia fredda, nelle stesse ore, arrivava proprio dal professor Riccardo Massei, direttore di Anestesia e Rianimazione all’ospedale Manzoni di Lecco, lo stesso che nel 1992 seguì Eluana su- bito dopo l’incidente d’auto che la condusse in fin di vita: «Ribadisco la mia posizione personale, che è sempre stata e sempre sarà per la vita, qualunque essa sia - diceva, sostenuto dalla «piena condivisione» dell’azienda ospedaliera - . La sentenza della Corte d’Appello milanese ha autorizzato il signor Englaro a interrompere il trattamento per Eluana». Non altri. Tantomeno un medico e un ospedale, ovvero un luogo preposto alla cura dei malati, non a interromperne la vita: «L’interruzione di alimentazione e idratazione della ragazza - continuava - è dunque un atto privato della famiglia Englaro ». E in un ospedale, quello di Lecco o qualsiasi altro, non potrebbe avvenire: «Qualsiasi ospedale per definizione è un luogo di cura».
Parole ufficiali, complesse, che nei corridoi dell’azienda ospedaliera diventano più nette: l’autorizzazione ce l’ha il padre, è l’unico che può materialmente assumersi la responsabilità di staccare il sondino di cibo e acqua, e meglio sarebbe che il tutto avvenisse in casa Englaro, nel silenzio e nell’intimità che un atto del genere comporta. «Io negli anni sono stato a trovare più volte la ragazza - sottolinea il medico - e ho rappresentato per la mamma e il papà un punto di riferimento: umanamente e professionalmente la storia di Eluana ha rappresentato moltissimo per me. Se papà e mamma me lo chiederanno sarò loro vicino umanamente, come ho fatto in tutti questi anni». Ma nulla più. Certo non compirà un atto «che non condivido, che rispetto ma che mi ha portato più volte a scontrarmi col signor Englaro. L’atto di togliere il sondino, e non di staccare la spina come si dice erroneamente, spetta a lui. Da quel momento la condanna a morte per arresto cardiaco è segnata, ma è necessario un accompagnamento fino a quando la natura deciderà che la morte avvenga. Io come medico curante di Eluana posso offrirmi solo a questo ruolo».
«Cerchiamo un medico che sia disposto a interrompere l’alimentazione che tiene in vita Eluana », concludeva in serata l’avvocato Alessio. «Quello che abbiamo deciso di fare già lo sapete - ribadiva invece il signor Englaro - . In dubbio sono solo i tempi». «Stiamo valutando - ha aggiunto più tardi - come e dove mettere in atto quanto è indicato nel decreto e vedendo quali strutture in Lombardia siano adeguate». Il signor Englaro è apparso deciso a continuare. «Non ho alcuna intenzione -ha detto - di aspettare i 60 giorni». E alle suore che si sono dette disposte a tenere Eluana e ad assisterla risponde: «Sanno che non lo potrò mai fare. Sanno che Eluana avrebbe detto fina dal primo giorno 'no grazie' alla loro misericordia».
© Copyright Avvenire, 11 luglio 2008
Credo che si fara' in modo di agire al piu' presto...la ragione e' ovvia. Il problema resta il rinvenimento della struttura adatta. In Lombardia non sara' facile, ma certo non e' impossibile.
R.
«Salvatore sentiva, ma nessuno lo capiva»
La testimonianza di Pietro Crisafulli: suo fratello è rimasto in coma per oltre due anni Per i sanitari non sentiva più nulla invece, quando si è risvegliato ha rivelato di avere sempre compreso ogni cosa
DA MILANO ENRICO NEGROTTI
Salvatore Crisafulli è tornato a soffrire alla notizia del decreto della Corte d’Appello di Milano che permette di interrompere alimentazione e idratazione a Eluana Englaro. Sente ancora vivo il ricordo di quando lui stesso si trovava in stato vegetativo e nessun medico voleva credere che si sarebbe ripreso: «Lo davano per spacciato – racconta il fratello Pietro – ma noi familiari vedevamo che piangeva, avevamo il sospetto che potesse capire, ma venivamo regolarmente categoricamente disillusi dai medici. Ma quando si è svegliato, Salvatore ha potuto rivelare che sentiva tutto, e che poteva solo piangere per farsi capire».
Il caso di Salvatore venne alla ribalta mentre il mondo assisteva impotente alla vicenda di Terri Schiavo, la donna statunitense in stato vegetativo che nel 2005 fu lasciata morire dopo una serie di ricorsi giudiziari. «Salvatore conosceva la vicenda perché vedeva i notiziari televisivi – continua il fratello Pietro –. Era in stato vegetativo dal settembre 2003, dopo un incidente stradale quando aveva 38 anni. E tutti i medici ci dicevano che non c’era nulla da fare, persino i luminari da cui lo abbiamo fatto visitare (anche all’estero) erano concordi. Ricordo in particolare un viaggio in Austria, da cui evidentemente Salvatore si attendeva molto: quando il professore stabilì che non avrebbe avuto più di 3-4 anni di vita, non solo pianse, ma cominciò a star male, gli venne la febbre».
Tuttavia passata l’emozione del caso Terri, i riflettori tornarono a spegnersi. «Non ce la facevamo più a reggere l’angoscia e la solitudine in cui come famiglia eravamo abbandonati – racconta ancora Pietro Crisafulli –. Fu allora che per protestare dissi che gli avrei “staccato la spina” se non avessimo trovato aiuto. Sono parole di cui poi mi sono pentito, ma per capire bisogna conoscere il grado di disperazione cui possono giungere i familiari di queste persone » . Tuttavia qualcosa si mosse: «L’allora ministro della Salute Francesco Storace si attivò e trovammo un ricovero in una struttura attrezzata per una vera riabilitazione. E per tre mesi Salvatore ottenne quell’assitenza che nessuno gli aveva mai dato prima: lì col tempo hanno capito che era cosciente e nell’ottobre è uscito dal coma».
Iniziava un nuovo percorso, aperto alla speranza anche se ancora difficoltoso: «Per i primi 18 mesi l’assistenza è stata buona, poi è andata scemando, tra intoppi burocratici e carenze di fondi. Ma Salvatore continua a migliorare: ora muove anche le spalle e le dita dei piedi. E soprattutto può comunicare». Al mattino, quando è più fresco, «riesce a parlare con la sua voce. Nel pomeriggio, di solito, utilizza due differenti sistemi elettronici per trasmetterci il suo pensiero. Adesso per esempio sta scrivendo un comunicato proprio sul caso di Eluana». Un caso che non può non colpire chi è passato attraverso un percorso analogo: «Parlando di Terri Schiavo, Salvatore ci ha detto che si rendeva conto di essere in una situazione simile ». Ora Salvatore «ha una voglia di vivere incredibile, ha fiducia di poter migliorare ancora – aggiunge Pietro Crisafulli –. Stiamo preparando un viaggio in Florida, perché abbiamo saputo che c’è una terapia iperbarica che potrebbe fargli recuperare un 30% delle sue capacità. Dobbiamo sempre avere fiducia nelle possibilità della scienza medica nel futuro ». Dalla vicenda del fratello, Pietro Crisafulli ha ormai tratto molta esperienza: «Conosco 837 casi di persone in stato vegetativo, credo di poter affermare che almeno 350 di questi sono in grado di capire quel che succede loro intorno ma non riescono a comunicare in alcun modo. Proprio oggi (ieri, ndr) so che un uomo di 36 anni, in stato vegetativo dopo un incidente stradale da nove anni, si è svegliato e ha mosso le dita per scrivere. È fuori di dubbio che la ripresa di questi malati è lunga e incerta, ma la speranza non va mai abbandonata. E le famiglie vorrebbero che la politica non fosse orientata verso una cultura di morte, ma a garantire i sostegni cui le persone disabili gravi hanno diritto».
© Copyright Avvenire, 11 luglio 2008
La storia di Jan: sveglio dopo 19 anni
Il ferroviere polacco entrò in coma nel 1988, in pieno comunismo, si risvegliò nel 2007
DA MILANO
LUIGI FERRAIUOLO
Non sia mai detto che una persona in coma sia destinata solo alla morte. Basta ricordare, per chi ha memoria, il caso – assai cinematografico, tanto che rammenta il film Goodbye Lenin in cui una donna va in coma con il Muro di Berlino in piena efficienza e si risveglia dopo la sua caduta – ma molto istruttivo di Jan Grzebski: ferroviere polacco di 65 anni, risvegliatosi dal coma nel 2007 dopo 19 anni.
Molti di più di quelli d’immobilità di Eluana Englaro, pur con le dovute differenze e analogie.
Costretto all’immobilità dopo un incidente nel 1988 – in piena Polonia comunista del generale Jaruzelski – a Grzebski i medici avevano dato, al massimo, 2 o 3 anni di vita.
Ma la moglie Geltrude aveva creduto nel suo risveglio. E ha avuto ragione. «Mia moglie Gertruda mi ha salvato, non lo dimenticherò mai» disse Grzebski, intervistato dalla tv polacca, a giugno dello scorso anno, poco dopo il risveglio. E per spiegare meglio la situazione, i medici del ferroviere chiarirono: «Per 19 anni la signora Grzebska ha svolto il lavoro di un team esperto di terapia intensiva, cambiando ogni ora la posizione del marito in coma per prevenire piaghe da decubito». La signora Geltrude dunque è stata capace di salvare il marito, contro ogni apparenza. Ma con Eluana forse questo non accadrà. A pochi giorni dal risveglio il ferroviere polacco, comunque, era riuscito a percepire gli epocali cambiamenti vissuti in 19 anni dalla vecchia Polonia: «Quando sono entrato in coma c’erano solo thè e aceto nei negozi, la carne era razionata e c’erano ovunque code per la benzina. Ora vedo la gente in strada con i cellulari e c’è così tanta merce nei negozi che mi gira la testa». E poi gli erano nati ben 11 nipotini.
© Copyright Avvenire, 11 luglio 2008
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