10 luglio 2008

Card. Bertone: "La Costituzione italiana è laica, ma non laicista" (Osservatore Romano)


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Il cardinale segretario di Stato per i sessant'anni della Costituzione italiana

Quando la laicità si nutre di valori assoluti

Per il sessantesimo della Costituzione italiana, il 10 luglio in Campidoglio si svolge un convegno al quale partecipano Mario Cutrufo, Giulio Andreotti, Massimo D'Alema e Gianni Alemanno, sindaco di Roma. Pubblichiamo stralci dell'intervento del cardinale segretario di Stato.

di Tarcisio Bertone

La nostra epoca, quella della comunicazione virtuale, è segnata da un contesto culturale che sembra confinarci tutti in un eterno presente. Si vive immersi nel presente, come se il passato non esistesse e non dovessimo preoccuparci del futuro. Si avverte questo rischio nelle nuove generazioni che i sociologi definiscono "prive di memoria storica", ma da esso non è esente nemmeno un certo modo di concepire oggi la politica indipendente dall'esperienza delle passate generazioni. In verità, come ricordava già Benedetto Croce e come insegna la millenaria tradizione dei nostri popoli, non è possibile costruire il futuro se non mantenendo viva, nella coscienza comunitaria, la memoria del passato che, in un certo modo, ha dato origine all'attuale presente. Se pertanto, come giusto, ci si domanda se e quanto attuale sia ancora la Costituzione nelle mutate circostanze contemporanee, occorre riandare al clima internazionale creatosi dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1945. Bisogna tener conto di quanto abbiano pesato quegli eventi sui rappresentanti dei partiti politici dell'epoca nello scrivere la Costituzione.
Chi oggi pone attenzione a questa Carta non può non tener conto delle condizioni che a essa hanno dato vita. Ogni opera va vista nel suo contesto per essere compresa nel suo più autentico valore e significato. La Costituzione italiana non è stata il frutto di un "compromesso precario fra culture politicamente datate". Uno degli autorevoli costituenti, Piero Calamandrei, scrive che i principi della Carta costituzionale sono incisi non sulla sabbia, ma "sulla roccia di un patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità, non per odio, decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo" (cfr Piero Calamandrei, Il Monumento a Kesserling, in Uomini e Città della resistenza, Milano 1994, pag. 198). È questo spirito, questa idealità che mi piace far risaltare, augurando che le giovani generazioni possano trarre da questa pagina di storia insegnamenti utili per costruire per l'Italia un futuro di giustizia e di pace, in un clima di vera libertà e di dialogo costruttivo.
Prendendo idealmente in mano la Costituzione, mi accingo ora a sottolinearne alcuni articoli, tenendo presente quanto dice l'eminente costituzionalista, Costantino Mortati, che cioè sono cinque i principi fondamentali che permettono di identificare la forma di Stato e le caratteristiche della democrazia dell'Italia secondo la sua Carta costituzionale: il principio democratico (articolo 1), il principio personalista (articoli 2 e 3), il principio lavorista (articoli 1, 4), il principio pluralista (articolo 2), il principio internazionalista e supernazionale (articoli 1 e 11). Principi tra loro inseparabili e interagenti in modo armonioso. Chiave di volta dell'intero impianto è senz'altro il principio personalista che, mutuato dalla cultura cattolica e democratica, "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" (articolo 2). La persona umana, nella sua concreta individualità sociale, viene riconosciuta come un valore originario per cui i suoi diritti fondamentali permangono in ogni situazione "inviolabili". L'articolo 3 della Costituzione afferma: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Uguaglianza dunque per tutti nei diritti e nei doveri.
Strettamente legato alla dignità della persona è il riconoscimento della dignità del lavoro, che, nelle sue varie forme, contribuisce "al progresso materiale e spirituale della società". Furono i costituenti democristiani Amintore Fanfani, Aldo Moro ed Egidio Tosato a proporre l'emendamento trasformato nella definizione approvata dall'Assemblea: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" (articolo 1). Il lavoro è un'attività che dà all'uomo il meraviglioso potere di partecipare all'opera creatrice di Dio e di portarla a compimento; il lavoro riveste un autentico valore umano di cui l'uomo moderno va sempre più prendendo coscienza. Questo principio, che nella sua formulazione riflette una radice cristiana, meriterebbe oggi di essere approfondito e applicato. È in gioco infatti la concezione dell'economia, le problematiche connesse con la giustizia occupazionale, l'affermazione della congruità sociale e la valenza umana del profitto economico. A questi punti si potrebbe aggiungere, seguendo gli insegnamenti dei Pontefici di questo nostro tempo e in particolare i recenti richiami di Benedetto XVI, una ulteriore riflessione sul rapporto esistente fra economia e finanza, fra regole del mercato e speculazione, fra la ricchezza di alcuni popoli e la povertà del terzo e quarto mondo, argomenti questi sui quali la dottrina sociale della Chiesa ha espresso con chiarezza orientamenti dottrinali e indicazioni operative.
Passo invece a un'altra osservazione: il principio personalista (articoli 2, 3), che è come l'asse portante dell'intera Costituzione italiana e considera la persona umana a fondamento della società, ha probabilmente come sua articolazione più importante il principio della laicità.

Quanto approfondimento merita questo principio! Sarebbe una pretesa volerne esporre qui, in modo esauriente, gli aspetti che ricorrono costantemente nei dibattiti e nei confronti culturali e politici.

In Francia hanno suscitato stupore e indignazione i discorsi del Presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, l'uno pronunciato a Roma, nel Palazzo Apostolico Lateranense il 20 dicembre 2007, l'altro a Riyad, in Arabia Saudita, il 14 gennaio 2008. Ci sono elementi che fanno sperare in un'evoluzione di quella rigida laïcité che rese la Francia della terza Repubblica modello di comportamenti antireligiosi. Accanto al modello francese di laicità c'è quello anglosassone che mostra un altro approccio verso il dato religioso.

E in Italia? Va notato subito che da parte di non pochi pensatori viene espresso un concetto di laicità aperta al dialogo e al confronto costruttivo fra posizioni diverse. Non si può al tempo stesso non condividere quel che si constata talora nel dibattito culturale veicolato da taluni media, dove una laicità culturale definita per differenza e opposizione dal dato religioso (cristiano) viene assunta come modello di una laicità politica connotata dal criterio di esclusione (del religioso). Alla base sta l'assunzione scontata della secolarizzazione come privatizzazione della religione, che nel momento storico del suo ritorno a un protagonismo sociale e culturale viene accusata di invadere illegittimamente la sfera pubblica. Al confronto la più ampia e accreditata discussione del problema della laicità in ambito internazionale, continentale e americano, evidenzia i limiti di questo laicismo nostrano. In Italia insomma, almeno per alcuni, laicità significa rifiuto di riconoscere il rilievo sociale del fatto religioso.
Alcuni anni or sono, in un dialogo tra l'allora cardinale Ratzinger e il filosofo Jürgen Habermas, emerse che un'autentica democrazia laica permette alle istituzioni religiose di dare pubblicità ai loro messaggi per poter offrire ai cittadini materia di riflessione in maniera equanime. Impedire alle Chiese di esprimere la loro posizione su qualsiasi argomento è atto non di laicità, ma di ostracismo verso un sistema di valori soltanto perché questo non si muove nel quadro della cultura dominante. Lo sforzo di laicità riguarda allora chiunque è portatore di un forte sistema di valori, sia esso cattolico o appartenente ad altre culture e religioni, se è vero che il dialogo suppone lo sforzo di tradurre i propri valori nel "linguaggio universale" del confronto democratico. Nel dibattito attuale sulla laicità viene da taluni affermato il seguente postulato: non devono esistere valori assoluti perché l'esistenza di valori assoluti presupporrebbe automaticamente la mancanza di laicità. Habermas afferma invece che per salvarsi dal rischio del relativismo radicale e del totalitarismo ideologico, sono necessari principi assoluti secondo, dice lui, il criterio del "minimo comune etico". Il dibattito, come si vede, è aperto e va proseguito nel reciproco ascolto, rispettoso sempre delle posizioni di tutti. La Costituzione italiana è laica, ma non laicista. È interessante notare come in Italia si sia dovuto coniare questo binomio - laicità e laicismo - per distinguere la sana laicità da quella radicale e anticlericale.
Al tema della laicità è così intimamente connesso quello della libertà religiosa e in particolare quello delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica che la Costituzione sancisce nell'articolo 7 facendo riferimento ai Patti Lateranensi, mentre nell'articolo 8 si parla del rapporto con le altre confessioni religiose. L'11 febbraio scorso, nell'anniversario della firma dei Patti del 1929, "L'Osservatore Romano" poneva in rapporto questo evento con quello della Costituzione italiana: eventi diversi temporalmente, che hanno prodotto testi normativi differenti per qualificazione giuridica, per finalità, per contenuti, ma tra i quali esiste una relazione strettissima, valutabile sotto un duplice profilo. Dal punto di vista storico, la conciliazione tra lo Stato e la Chiesa in Italia pose le premesse per un fattivo contributo dei cattolici alla nascita dello stato democratico. L'impegno dei cattolici produsse infatti un progetto politico-istituzionale in gran parte passato nella Costituzione italiana del 1948. È fuor di dubbio che questa Carta costituzionale deve molto sui punti qualificanti alla cultura cattolica: la centralità della persona umana, la sua originaria dignità e i suoi diritti inalienabili, il rilievo delle formazioni sociali, la solidarietà, l'uguaglianza non soltanto formale bensì anche sostanziale, l'apertura internazionale, l'ideale della pace, la centralità della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la finalizzazione del diritto di proprietà, le autonomie locali. Le garanzie di libertà per la Chiesa, offerte dai Patti Lateranensi, favorirono quel fermento culturale e spirituale che, tra l'altro, contribuì alla formazione di valide personalità della classe politica che avrebbe guidato la giovane democrazia, confluendo in formazioni partitiche.
Va poi evidenziata la relazione esistente tra il Concordato e la Costituzione dal punto di vista propriamente giuridico, grazie all'esplicito richiamo che dei Patti Lateranensi viene fatto nell'articolo 7 della Costituzione, articolo allora approvato a stragrande maggioranza con un voto trasversale dagli schieramenti dei partiti. Il fatto che la Carta fondamentale dello Stato italiano richiami i Patti è già di per sé rilevante perché da una parte contribuì a mantenere la pace religiosa nel nostro Paese e ancor più perché, si legge nel citato articolo del quotidiano della Santa Sede, "fu in qualche modo propedeutico alla affermazione dei principi di indipendenza e di sovranità dello Stato e della Chiesa, ciascuno nel proprio ordine, che apre l'articolo 7 della Costituzione e che costituisce uno dei pilastri su cui poggia il principio di laicità dello Stato. Uno Stato autenticamente laico, infatti, riconosce che la propria sovranità non si estende anche sul terreno spirituale e religioso. E viceversa".
L'Italia e la Chiesa cattolica sono vincolati da un rapporto singolare per il fatto che Roma è la capitale dello Stato e la sede del Papa Pastore universale del Popolo di Dio. La peculiarità delle reciproche relazioni si riflette nei due atti che compongono i Patti: il Trattato e il Concordato. Il primo, soprattutto con la creazione dello Stato della Città del Vaticano, garantisce alla Santa Sede, al Papa, indipendenza piena e libertà nello svolgimento della sua missione rivolta a tutto il mondo. Il Concordato invece regola la vita della Chiesa in Italia. Questo il senso del primo comma dell'articolo 2 dell'Accordo di Villa Madama del 18 febbraio del 1984. La Repubblica Italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la propria missione pastorale, educativa, caritativa e di evangelizzazione in ogni campo sociale. In particolare riconosce a essa "il diritto di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale".
L'esperienza di questi sessant'anni mostra che, grazie proprio ai Patti Lateranensi inseriti nella Carta costituzionale, è stata possibile una proficua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato, in un clima di vera laicità, operando tutti con il medesimo scopo: promuovere l'autentico bene dell'Italia. La Chiesa cattolica - lo hanno ribadito in più occasioni i Pontefici e la Conferenza episcopale italiana - non chiede privilegi, ma solo di poter svolgere liberamente la propria missione pastorale e sociale.

(©L'Osservatore Romano - 11 luglio 2008)

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