21 luglio 2008

Perché non ci siano più abusi sessuali sui minori. Intervista al presidente della Conferenza Episcopale Australiana (Zenit)


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Perché non ci siano più abusi sessuali sui minori

Intervista al presidente della Conferenza Episcopale Australiana

di Catherine Smibert

SYDNEY, domenica, 20 luglio 2008 (ZENIT.org).

Questo sabato Benedetto XVI ha chiesto perdono alle vittime degli abusi sessuali da parte di membri del clero in Australia, e ha rinnovato l'impegno della Chiesa verso misure preventive volte a combattere questi fatti.

Monsignor Philip Wilson, Arcivescovo di Adelaide e Presidente della Conferenza Episcopale Austaliana, si è detto d'accordo sul fatto che la Chiesa abbia bisogno di un programma non solo per rispondere agli abusi, ma anche per prevenire il loro ripetersi in futuro.
In questa intervista a ZENIT, l'Arcivescovo indica delle misure concrete per contrastare la crisi dovuta agli scandali sessuali e traccia un breve bilancio degli effetti della Giornata Mondiale della Gioventù.

Cosa pensa di quanto detto da Benedetto XVI sulla questione degli abusi sessuali nel discorso rivolto al clero australiano?

Arcivescovo Wilson: Il Santo Padre ha parlato meravigliosamente come Pastore della Chiesa circa gli abusi sessuali perpetrati in Australia da parte di sacerdoti e religiosi.
Ha parlato anche di quanto questo abbia causato sofferenza e angoscia e delle misure che devono essere prese per rispondere in modo compassionevole, in particolare nei confronti delle vittime degli abusi. Ha accennato anche a ciò che è necessario fare per assicurare che questo non accada nuovamente, e al fatto che abbiamo bisogno di trovare modi affinché i bambini possano essere protetti e sorvegliati all'interno delle nostre comunità senza che corrano pericoli.

Potrebbe dirci in breve cosa è stato fatto e cosa secondo lei la Chiesa in Australia potrebbe ancora fare riguardo a questo problema?

Arcivescovo Wilson: Credo che tutti stiano lavorando duramente per trovare i modi più adeguati per rispondere, e nella maniera migliore, sforzandosi di aiutare le vittime e di far ammettere le colpe.
Noi ammettiamo che alcune persone appartenenti alla Chiesa abbiano commesso cose terribili e siano responsabili, perciò dobbiamo rispondere a questi fatti in maniera appropriata, ma allo stesso tempo realistica e autentica.
Non serve limitarci a porgere le nostre scuse senza agire. Devono essere compiuti passi concreti per fronteggiare questo problema, e in Australia siamo stati molto fermi su questo punto. Dal 1996, infatti, abbiamo dato vita a un programma chiamato "Towards Healing" ("Verso la guarigione") volto a questo scopo e che sta funzionando molto bene.
Le vittime hanno molto da suggerirci in proposito, e il programma è stato riadattato nelle sue procedure un paio di volte per rispondere a quanto da loro osservato.

Come ha già detto in precedenza, questo è solo uno dei settori in cui la Chiesa sta facendo del suo meglio, non è vero?

Arcivescovo Wilson: E' da parecchio tempo che mi occupo dei diversi punti che il programma della Chiesa dovrebbe affrontare per far fronte alle questioni di questo tipo.
In primo luogo, dobbiamo avere un programma riguardante gli autori degli abusi, che devono essere fermati con tutto il potere che la Chiesa ha a sua disposizione.
In secondo luogo, in presenza di qualsiasi attività criminale è necessario fare rapporto direttamente alle autorità
.
In terzo luogo, dobbiamo essere veramente attenti nel processo di selezione delle persone che intendo abbracciare la vita sacerdotale o religiosa, ed essere certi che siano il più sane possibile dal punto di vista psicologico e fisico e pronte per il cammino a cui si sentono chiamate.
Infine, come ha detto il Santo Padre - e a lui va tutto il mio plauso -, dobbiamo fare tutto il possibile come comunità per sviluppare un migliore sistema di protezione per i bambini. Ciò vuol dire che dobbiamo cercare tutti i modi per dare ai bambini il più alto livello di protezione possibile.

Dopo tanto scetticismo da parte dei media nei confronti della Chiesa, in che misura la Giornata Mondiale della Gioventù è riuscita a intaccare questo pregiudizio?

Arcivescovo Wilson: Non sono certo di quale sarà l'effetto complessivo, ma credo che l'esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù, non solo a Sydney ma anche in altre zone dell'Australia, abbia fornito alla gente una nuova prospettiva sulla Chiesa.
Spesso le persone comuni ritengono che la Chiesa cattolica non abbia alcuna relazione viva con i giovani, e questo crea delle difficoltà, perché viviamo in una cultura che non incoraggia la gente ad avere fede o a rispondere alla Chiesa.
I fatti dicono però che ci sono quasi 500.000 giovani di tutto il mondo giunti qui per manifestare esplicitamente la loro fede; giunti qui per essere guidati, non solo dal Papa, ma anche dai loro Vescovi.
Da quando sono arrivati hanno preso parte a programmi di formazione basati non solo sul divertimento, ma anche su un fondamento spirituale. Mi sembra che questo dia attualmente una visuale diversa della vita della Chiesa.

Che cosa deve fare la Chiesa in Australia dopo la Giornata Mondiale della Gioventù?

Arcivescovo Wilson: Non credo che il nostro lavoro possa mai considerarsi concluso. Dobbiamo spiegare chi siamo, non solo con le parole, ma anche attraverso il nostro stile di vita.
Potrei tenere delle lunghe conferenze sulla teologia della Chiesa e parlare della realtà della "communio", che è comunque qualcosa di buono e potente, ma non ha alcun valore rispetto alla reale esperienza della "communio" stessa.
E' questo che dobbiamo fare. Dobbiamo dare ai giovani questa esperienza della comunità. E la Giornata Mondiale della Gioventù c'è riuscita, come ho potuto osservare da vicino quando ho visitato una parrocchia di Sydney in occasione di una catechesi.
Quando sono arrivato, di mattina presto, la comunità parrocchiale stava generosamente dando da mangiare e si stava prendendo cura dei pellegrini, il che influenza anche il modo in cui essi si relazionavano tra loro. In seguito si sono riuniti per pregare, e poi hanno avuto un colloquio con me, seguito dalla Messa e dal pranzo. I giovani era quasi imbarazzati dalla generosità e dalle tante attenzioni.
A volte accade, quando vai in qualche luogo e la gente ti dona generosamente del cibo.
Questa è la reale espressione della nostra "communio" e ospitalità, che consiste nel presentare al mondo la nostra missione.
San Francesco aveva ragione quando invitava a predicare costantemente, ma a usare raramente le parole. Questo perché possiamo usare anche delle parole meravigliose per spiegare il nostro operato, ma non avranno mai l'impatto di un'esperienza diretta di questo amore in modo fisico e interattivo.

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