1 ottobre 2008

Consiglio episcopale permanente della Cei: conferenza stampa di Mons. Betori


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MONS. BETORI: “LA CHIESA PER L’EDUCAZIONE LITURGICA E LA FORMAZIONE DEL CLERO”

“Con la valutazione e definizione della traduzione italiana dell’eucologia del ‘proprio’ del Tempo e di quello dei Santi del Messale Romano si apre una fase nuova dell’impegno della Chiesa per l’educazione e l’interpretazione dei segni liturgici e del linguaggio liturgico”: lo ha detto oggi il segretario generale della CEI mons. Giuseppe Betori durante la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale dei lavori del Consiglio episcopale permanente, svolto la scorsa settimana a Roma.

Dopo aver spiegato che la prima delle due parti del “messale romano” è già stata vista e approvata dalle Conferenze episcopali regionali, mentre la seconda sta iniziando ora il proprio iter di verifica, mons. Betori ha sottolineato che “si avverte un po’ dovunque l’esigenza di una più diffusa e approfondita educazione spirituale e liturgica”.

Ha poi parlato della formazione dei preti circa la quale la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha chiesto alle Conferenze episcopali un parere sulla nuova edizione della “Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis”, il documento magisteriale che contiene i criteri formativi del clero a livello mondiale. “Tale documento risale al 1971 ed è stato aggiornato nel 1984, dopo l’emanazione del nuovo Codice di diritto canonico – ha aggiunto -. Ma a distanza di oltre vent’anni sembra oggi necessario un adeguamento alla luce dell’evoluzione culturale e sociale”.

MONS. BETORI: LEGGE SUL FINE VITA, NO ALL’"AUTODETERMINAZIONE"

“Preferisco non parlare di testamento biologico, ma di legislazione di fine vita, in quanto la parola ‘testamento biologico’ si colloca all’interno di quella comprensione che ritiene l’autodeterminazione in ordine alla propria morte a disposizione della persona umana”. Al contrario, per la Chiesa “la vita e la morte non sono a disposizione di nessuno, neanche di sé stessi: noi preferiamo proteggere la vita e rendere degno il momento della fine della propria esistenza”.
Così mons. Giuseppe Betori, nella sua ultima conferenza stampa in veste di segretario generale della Cei, ha risposto alle domande dei giornalisti riguardo ad un presunto “sì” o “no” della Chiesa italiana sul testamento biologico. Riferendo del dibattito tra i vescovi sul caso Englaro, durante il recente Consiglio episcopale permanente, Betori ha detto che i vescovi italiani hanno espresso la loro “vicinanza” ai familiari di Eluana e alle “molte persone che nel nostro Paese si trovano nelle condizioni di Eluana”, ribadendo però che “il problema può trovare una soluzione solo se ci si prende carico delle sofferenze delle persone e del peso che procura alle loro famiglie”.
Un compito, questo, che “spetta sia alla comunità cristiana, sia alla stessa società, che non può far mancare il necessario appoggio economico che serve per sostenere queste situazioni-limite”.

Nello stesso tempo, ha proseguito Betori, “cè stato anche un cambiamento nella percezione delle situazione legislativa, ed alcuni procedimenti giudiziari stanno aprendo la strada all’interruzione legalizzata della vita”. Di qui “l’opportunità di una legislazione sul fine vita, nella direzione però del ‘favor vitae’, della salvaguardia della vita, non della disponibilità della persona a mettere fine alla propria esistenza, secondo quel principio di autodeterminazione che alcuni vorrebbero prevalente rispetto al principio di indisponibilità della vita”. In concreto, per la Cei questo significa “né accanimento, né abbandono terapeutico; attenzione alle volontà del paziente, purché chiare, esplicite, aggiornate, e non presupposte o derivate dallo stile di vita”.
Ma “queste volontà – ha precisato Betori – sono solo un orientamento, che è competenza del medico valutare in scienza e coscienza, all’interno dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente”. Contro la cultura dell’autodeterminazione”, dunque, per Betori “occorre dare valore a queste dichiarazioni, purché certe ed esplicite, in modo da combattere la deriva per cui il personale stile di vita viene interpretato per formulare una volontà da parte del paziente”.
“Nessuna volontà può essere derivata dalli stili di vita di una persona, se questa volontà non viene messa per iscritto e legalizzata”, ha affermato Betori.

“Questo non significa – ha puntualizzato tuttavia Betori – che questa volontà diventa volontà decisionale, ma una volontà con cui si confronta il medico per valutare quale sia la migliore cura, senza derive né in senso eutanasico, né nella direzione dell’accanimento terapeutico”.
In una legge sul fine vita, insomma, servono “dichiarazioni inequivocabili e certe, ma non nel senso di una volontà che decide circa la propria vita, bensì di una volontà di cui il medico deve tener conto circa la valutazione della cura”.
Da tutto ciò, inoltre, “vanno esclude l’idratazione e l’alimentazione, che non sono attività curative, ma si sostegno vitale della persona stessa”.
In sintesi, l’indicazione della Cei in merito ad una legge sul fine vita è di “non dare spazio all’autodeterminazione: dire che siamo aperti al confronto – ha detto Betori – non significa che cediamo sui nostri principi”.

Quanto ad un ipotetico” cambiamento di rotta” del mondo cattolico sulle tematiche del fine vita, Betori ha precisato che “non si tratta di un cambiamento voluto da noi, ma da chi ha creato una legislazione insicura per la vita delle persone. Con questo uso della legge, non c’è più sicurezza per la fine di vita di ciascuno di noi, dunque c’è bisogno di salvaguardarlo: è logico che tutto ciò provochi non una rottura, ma un dibattito”.
“Spesso vi lamentate della troppa uniformità del mondo cattolico su certi temi – ha detto Betori rivolgendosi ai giornalisti – ma poi quando si alza il dibattito, parlate di rottura.
Se volete, questo è un dibattito, che però arriva ad una concordanza. Si tratta di un dibattito fruttuoso, che aiuta a mettere a fuoco certe problematiche”. “Nessun dramma”, dunque, per la Cei: “Nella Chiesa – ha fatto Betori – il dibattito c’è stato sempre, anche quando siamo stati accusati di un certo soffocamento del dibattito stesso. A noi interessa che nella Chiesa ci sia teste pensanti, e la gente che pensa si confronta anche. Non mi risulta che ci siano rotture”.

MONS. BETORI: FEDERALISMO, “FAVOREVOLI” MA “FATTA SALVA UNITÀ E SOLIDARIETÀ”

“Favorevoli” al federalismo, a patto però che non venga “messa in questione l’unità del Paese” e la “solidarietà” fra le parti di esso. Questa, in sintesi, la posizione della Chiesa italiana sulle ipotesi di “riforma in senso federale” dello Stato, così come è stata espressa da mons. Betori durante la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Cep. ”L’articolazione strutturale di una società quanto più vicina alla gente fa parte del patrimonio tradizionale del cattolicesimo italiano”, ha spiegato Betori citando Gioberti, Rosmini e in costituzionalisti cattolici: ”Dire autonomie locali, strutture do governi più vicine alla gente sta nel Dna dei cattolici italiani e quindi anche dei loro pastori”. Per questo i vescovi italiani si dicono “favorevoli” ad un “sistema che possa aumentare la responsabilizzazione”, anche perché “uno Stato troppo statalista è una realtà impersonale”, mentre “aumentare il rapporto tra i cittadini e coloro che hanno la responsabilità di guida del Paese non può non favorire una più oculata gestione di risorse”. “Fatte salve, però, due cose”, ha precisato Betori: “non può essere messa in questione l’unità del Paese” e non deve mai mancare la “solidarietà” tra le sue diverse parti.
Adottare una “concezione più federalista”, ha spiegato Betori ai giornalisti, “significa ritornare alle radici del concetto di Italia che avevano i cattolici prima che i piemontesi la realizzassero in senso statalista”. Per questo i vescovi “da una parte salutano con favore” il federalismo fiscale, che “può aiutare ad essere maggiormente responsabili nella gestione delle risorse”. Dall’altra, però, è necessario che tale federalismo “non pregiudichi né il principio di solidarietà fra le varie parti della penisola, né il principio di comunanza di destini che fonda l’unità del Paese, e che va salvaguardato”. Quanto ad uno sguardo pioù generale della Chiesa sulla situazione italiana, Betori ha ribadito che quella dei vescovi è “una voce di serenità e di incoraggiamento, nell’analisi della situazione sociale: questo non significa che ci nascondiamo i problemi, ma che crediamo che all’interno della nostra popolazione ci siano ancora risorse positive, capaci di farci superare come nazione gli stessi problemi che abbiamo di fronte, a cominciare da quelli economici, per cui le famiglie faticano a fronteggiare la crisi” e cu cui i vescovi auspicano “maggiore attenzione da parte delle istituzioni”. Insomma, “c’è più positività nel Paese di quello che appare”.

MONS. BETORI: “OTTO PER MILLE, UNO STRUMENTO DI DEMOCRAZIA FISCALE”

“I recenti dati circa la scelta delle firme per l’8 per mille ci penalizzano un po’ sul monte risorse complessivo, ma rafforzano il sistema nel suo complesso”: è il parere di mons. Giuseppe Betori circa lo strumento dell’ “otto per mille”, del quale sono stati recentemente aggiornati i dati delle scelte effettuate dai cittadini al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. “La campagna molto dura contro questo strumento – ha proseguito mons. Betori – si è risolta in un effetto contrario: sono aumentate di ben 800 mila le firme di cittadini che hanno scelto di destinare l’irpef alle diverse destinazioni previste dalla legge. Così lo strumento invece di indebolirsi si è nel complesso rafforzato. Per la Chiesa cattolica si è trattato di 35 mila firme in più, mentre le altre sono andate allo Stato. Dobbiamo essere soddisfatti, perché non solo non si è indebolita la Chiesa ma esce confermata la bontà di uno strumento di vera democrazia fiscale”. A un’altra domanda sul tema, ha poi specificato che “la legge regola l’utilizzo dei fondi 8 per mille e se una parte cospicua va al sostentamento del clero ciò è proprio dovuto al fatto che la legge 222/1985 sostituiva la ‘congrua’ e ha voluto conservare centrale questa destinazione. Del resto la ‘carità verso i preti’ ha senso perché essi sono i primi soggetti che attuano la carità della Chiesa”.

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