23 aprile 2008
A Ground Zero la preghiera per chi è consumato dall’odio (Mazza)
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PIETRO A BUSH
A Ground Zero la preghiera per chi è consumato dall’odio
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DAL NOSTRO INVIATO A NEW YORK
SALVATORE MAZZA
Il cero pasquale poggiato sull’acqua, davanti al basalto grigio e nudo di Ground Zero. Ottanta metri sotto il livello stradale, il pozzo circondato dai grattacieli là dove una volta sorgevano i due più alti di tutti, quelle Twin Towers polverizzate con tremila vite umane nel giorno che ha cambiato il mondo.
E la preghiera a Dio perché porti «la pace nel nostro mondo violento», e aiuti a ritrovare «il tuo cammino di amore» per coloro «che hanno il cuore e la mente consumati dall’odio». E, soprattutto, perché conceda a ognuno «la saggezza e il coraggio – è l’invocazione del Papa – di lavorare instancabilmente per un mondo in cui pace e amore autentici regnino tra le Nazioni e nei cuori di tutti».
Mai nessuno era sceso nel cratere di Ground Zero per ricordare le vittime dell’11 settembre. Tutte le cerimonie, fino a oggi, s’erano fermate sull’orlo dell’abisso.
Benedetto XVI l’ha fatto nell’ultimo giorno del suo viaggio negli Stati Uniti e dal luogo diventato, per molti, il simbolo dell’inizio di una nuova, e inedita, guerra, ha lanciato una preghiera di speranza che, senza dimenticare le vittime, apra i cuori alla pace. È stata una cerimonia asciutta, essenziale, intensissima. Accompagnata dalle cornamuse dei due corpi di polizia di New York e dalle note di Bach suonate da un violoncello solista, e con attorno al Papa il sindaco di New York Michael Bloomberg, il governatore David A. Paterson, il governatore del New Jersey John Corzine e il cardinale Edward Egan. E poi loro, le ventiquattro persone in rappresentanza di tutti i parenti delle vittime, con le quali Benedetto XVI, visibilmente commosso, s’è intrattenuto prima di lasciare il cratere.
«La visita che questa mattina ho compiuto a Ground Zero – dirà davanti al vicepresidente americano Dick Cheney all’aeroporto J.F. Kennedy, prima di lasciare gli Stati Uniti – rimarrà profondamente impressa nella mia memo- ria, mentre continuerò a pregare per coloro che perirono e per tutti coloro che soffrono per le conseguenze della tragedia che vi ebbe luogo nel 2001». E «prego – ha proseguito – per tutti negli Stati Uniti, e in verità in tutto il mondo, affinché il futuro porti maggiore fraternità e solidarietà, un accresciuto reciproco rispetto e una rinnovata fiducia e confidenza in Dio, nostro padre che è nei cieli».
Sono state queste, significativamente, le ultime parole pronunciate in terra americana da Benedetto XVI, arrivato all’aeroporto direttamente dallo Yankee Stadium dove aveva celebrato la Messa davanti a sessantamila fedeli della diocesi di New York. Una celebrazione segnata dallo straordinario entusiasmo che, dall’inizio alla fine, ha circondato il Papa, la cui omelia è stata un costante invito a guardare avanti, con fiducia, per lavorare «con rinnovato zelo per la diffusione del suo Regno». A questa Chiesa profondamente ferita dagli scandali che quasi l’hanno ripiegata su se stessa, Papa Ratzinger ha ricordato di essere stata capace di unire «greggi molto diversi nella professione di fede e, attraverso le sue molte opere educative, caritative e sociali», di aver «contribuito in modo significativo anche alla crescita della società americana nel suo insieme».
Così «la celebrazione odierna – ha affermato – è più che un’occasione di gratitudine per le grazie ricevute: è un richiamo a proseguire in avanti con ferma determinazione ad usare saggiamente delle benedizioni della libertà, per edificare un futuro di speranza per le generazioni future». E dunque come «le passate generazioni vi hanno lasciato un’eredità straordinaria», anche ai nostri giorni «la comunità cattolica di questa Nazione è stata grande nella testimonianza profetica in difesa della vita, nell’educazione dei giovani, nella cura dei poveri, dei malati e dei forestieri tra voi. Su queste solide basi il futuro della Chiesa in America deve anche oggi iniziare a sorgere».
Per questo, tuttavia, è necessaria una rinnovata conversione. Anzitutto all’unità della Chiesa, che «non ha altro fondamento se non quello della Parola di Dio». Unità «visibile fondata sugli Apostoli» e sui vescovi, «capace di trascendere le divisioni provenienti dai limiti e dalle debolezze umane» perché «è dono indefettibile di Dio alla sua Chiesa». Secondo elemento di conversione è alla vera libertà, che come ci insegna il Vangelo «può essere trovata soltanto nella perdita di sé che è parte del mistero dell’amore. Solo perdendo noi stessi, il Signore ci dice, ritroviamo veramente noi stessi». Infine, il superamento della divisione fra fede e vita, «opponendosi ai falsi vangeli di libertà e di felicità». Questo «vuol dire inoltre respingere la falsa dicotomia tra fede e vita politica... vuol dire agire per arricchire la società e la cultura americane della bellezza e della verità del Vangelo, mai perdendo di vista quella grande speranza che dà significato e valore a tutte le altre speranze che ispirano la nostra vita».
Ai giovani, particolare, l’invito rivolto è stato quello a «alzarvi e assumervi la responsabilità che la fede in Cristo vi pone innanzi! Possiate trovare il coraggio di proclamare Cristo 'lo stesso ieri, oggi e sempre' e le immutabili verità che hanno fondamento in lui: sono verità che ci rendono liberi! Si tratta delle sole verità che possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti di ogni uomo, donna e bambino nel mondo, compresi i più indifesi tra gli esseri umani, i bimbi non ancora nati nel grembo materno».
© Copyright Avvenire, 22 aprile 2008
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