22 aprile 2008

A Saint Patrick come nel Seminario di Saint Joseph, il Papa entusiasma la «Grande Mela»


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PIETRO E IL MONDO

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A Saint Patrick come nel Seminario di Saint Joseph, il Papa entusiasma la «Grande Mela»

«Le punte delle torri della Cattedrale sono di gran lunga superate dai grattacieli di Manhattan ma restano un segno vivo della nostalgia di elevarsi verso Dio»

DAL NOSTRO INVIATO A NEW YORK

SALVATORE MAZZA

Scrosciano gli applausi sotto l’al­ta volta di San Patrizio. «Vi rin­grazio per il vostro amore». «Farò quanto è in mio potere per es­sere un vero successore del grande San Pietro, un uomo che aveva i suoi difetti e i suoi peccati, ma che è sta­to la roccia della Chiesa. Anche io, con tutta la mia povertà spirituale, ma con la grazia di Dio, posso esse­re in questi tempi il successore di Pie­tro ».

È commosso, Benedetto XVI. Al ter­mine della Messa, in inglese, rispon­de così agli auguri che il cardinale Se­gretario di Stato Tarcisio Bertone gli ha porto a nome di tutti, in spagno­lo, per il terzo anniversario della sua elezione al Pontificato. Un nuovo an­niversario a tre giorni dal suo ottan­tunesimo compleanno, e ancora happy birthday, in tedesco, risuonerà al pomeriggio nell’incontro coi gio­vani e i seminaristi.

«Vi sono tante in­tenzioni e tanta gente per cui potete pregare – dirà Benedetto XVI salu­tando in particolare un gruppo di giovani handicappati nella cappella del Seminario, dove un coro di non udenti gli ha appena dedicato alcu­ni canti – compresi coloro che devo­no ancora arrivare a conoscere Gesù. E vi chiedo di pregare anche per me. Come sapete, ho appena compiuto un altro anno. Il tempo vola».

La giornata newyorkese di Papa Rat­zinger trascorre così, come un mo­mento di famiglia. Giornata che ini­zia nella Cattedrale della Grande Me­la, piena da scoppiare per la Messa celebrata dal Papa (in prima fila l’ex sindaco Rudolph Giuliani, divorzia­to e risposato, che si accosterà più tardi alla comunione), con Ratzinger accolto da canti e da un lunghissimo applauso, mentre la processione ver­so l’altare quasi fende la folla che pre­me per farsi il più vicino possibile al Papa.

E che terminerà nel Seminario di St. Joseph dove, tra i giovani, ri­corda come i suoi «anni da teenager sono stati rovinati da un regime in­fausto che pensava di possedere tut­te le risposte», che «mise Dio al ban­do, e così diventò inaccessibile per tutto ciò che era vero e buono». Ma, dice, se «il potere distruttivo, tutta­via, rimane», e se «sostenere il con­trario significherebbe ingannare se stessi», quel potere «non trionferà mai», perché «è stato sconfitto». «Co­lui che ci indica la via oltre la morte è Colui che ci indica come superare distruzione e angoscia».

Davanti al Papa ci sono bianchi, neri, ispanici, asiatici. Tutte le etnie sem­brano essere rappresentate. Un se­gno, dice nell’omelia in San Patrizio citando gli Atti degli Apostoli, che ri­corda come «in questo Paese la mis­sione della Chiesa ha sempre com­portato un attrarre la gente «di ogni nazione che è sotto il cielo» entro un’unità spirituale, arricchendo il corpo di Cristo con la molteplicità dei loro doni». E così «mentre ringrazia­mo per le bene­dizioni del pas­sato e conside­riamo le sfide del futuro, vogliamo implorare da Dio la grazia di una nuova Penteco­ste per la Chiesa in America. Pos­sano discendere su tutti i presen­ti lingue come di fuoco, fondendo l’amore ardente per Dio e il pros­simo con lo zelo per la propaga­zione del Regno di Dio!».

È la missione il centro del mes­saggio che Bene­detto XVI affida alla chiesa di New York in questo as­solato sabato di primavera. Nell’o­melia prima, e più tardi nel discorso del pomeriggio, Papa Ratzinger di­pana il filo di un ragionamento che parte dall’architettura di San Patri­zio, le cui torri gotiche «vengono di gran lunga superate dai grattacieli del profilo di Manhattan», ma che «nel cuore di questa metropoli indaffara­ta esse sono un segno vivo che ricor­da la costante nostalgia dello spirito umano di elevarsi verso Dio». E nel «ringraziare il Signore perché ci per­mette di riconoscerlo nella comu­nione della Chiesa», tutti i credenti sono perciò chiamati a diventare «a­raldi della speranza in mezzo a que­sta città e in tutti quei luoghi dove la grazia di Dio ci ha posto».

Cuore della nuova evangelizzazione è «la proclamazione della vita, della vita in abbondanza», poiché «la vera vita può essere trovata solo nella ri­conciliazione, nella libertà e nell’a­more che sono doni gratuiti di Dio». È questo «il messaggio di speranza che siamo chiamati ad annunziare e ad incarnare in un mondo in cui e­gocentrismo, avidità, violenza e cini­smo così spesso sembrano soffoca­re la fragile crescita della grazia nel cuore della gente». «Forse – aggiun­ge – abbiamo perso di vista che in u­na società in cui la Chiesa a molti sembra essere legalista ed 'istituzio­nale', la nostra sfida più urgente è di comunicare la gioia che nasce dalla fede e l’esperienza dell’amore di Dio». Ma questo, sottolinea il Papa, richiede unità. «Una delle grandi delusioni – ri­corda – che seguirono il Con­cilio Vaticano II... penso, sia stata per tutti noi l’esperien­za di divisione tra gruppi diversi, ge­nerazioni diverse e membri diversi della stessa famiglia religiosa. Pos­siamo andare avanti solo se insieme fissiamo il nostro sguardo su Cristo! Nella luce della fede scopriremo al­lora la sapienza e la forza necessarie per aprirci verso punti di vista che e­ventualmente non coincidono del tutto con le nostre idee o i nostri pre­supposti ». È così, dirà più tardi ai giovani, che si può anche rispondere alle tenebre dell’oggi. Quelle «del cuore», quando «i sogni... che i giovani perseguono» possono essere «frantumati e di­strutti » dalla «droga... dalla mancan­za di una casa e dalla povertà, dal raz­zismo, dalla violenza e dalla degra­dazione » che colpisce «particolar­mente ragazze e donne». E quelle «dello Spirito», quando «la manipo­lazione della verità distorce la nostra percezione della realtà ed intorbida la nostra immaginazione e le nostre aspirazioni», e dove il «valore delica­to » della libertà può essere frainteso o usato male «così da non condurre alla felicità che tutti da essa ci aspet­tiamo, ma verso uno scenario buio di manipolazione». Ma «la verità non è un’imposizione. Né è semplice­mente un insieme di regole. È la sco­perta di Uno che non ci tradisce mai».

© Copyright Avvenire, 20 aprile 2008

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