21 aprile 2008

La preghiera del Papa a Ground Zero: «Pace nel mondo violento» (Bobbio)


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La preghiera del Papa a Ground Zero: «Pace nel mondo violento»

Una struggente cerimonia nel cratere dell'11 Settembre L'incontro con 24 superstiti dell'attacco alle Torri Gemelle

Alberto Bobbio

New York Il silenzio è rotto solo dalle note struggenti di un violoncello. Un maestro suona Bach e la trincea di Ground Zero appare ancora più cupa, irta di dolore, di memoria che non si rimargina. C'è solo il soffio del vento che solleva la polvere, qui a 80 metri sotto il livello della strada, dove l'odio dell'uomo ha scoperto la roccia che sostiene Manhattan, enorme ferita nel cuore della nazione americana e di tutto il mondo. Benedetto XVI scende dall'auto a metà della rampa d'acciaio che si conficca nel costato lacerato di New York. Accanto a lui c'è l'arcivescovo della città, il cardinale Edward Egan. Cammina piano, indossa un cappotto bianco, lo sguardo fisso sul centro del cratere. Attorno sventolano le bandiere della polizia, dei vigili del fuoco, dell'autorità portuale, degli Stati Uniti e del Vaticano. Il cielo è grigio, la nebbia nasconde l'altezza dei grattacieli.
Qui stavano le Torri, qui si sono accartocciate e hanno travolto 2.749 vite l'11 settembre 2001, giorno che ha cambiato la coscienza dell'America e del mondo. Ancora pochi metri. Il Papa calpesta adesso la terra, la polvere avvolge le scarpe rosse del Pontefice. Non hanno cambiato nulla gli amministratori di New York per questa mattina.
Solo è stato interrotto il lavoro per qualche ora, ma tutto è lì al suo posto, i trailer delle gru, i sacchi di cemento, gli scavatori, i tubi dell'acqua, gli attrezzi quotidiani di un esercito di operai e ingegneri che cerca di trovare una consolazione alla memoria, anche se non è facile, anche se ci sono discussioni e polemiche su come ricostruire il cuore martoriato di New York. Il violoncello smette di suonare, il maestro si fa da parte. Adesso il silenzio è assoluto. Un aereo attraversa il cielo e il rombo scuote la mente. Non puoi fare a meno di alzare lo sguardo e le immagini di quella mattina scorrono veloci, un aereo e poi un altro che si conficcano come un freccia avvelenata nei piani altissimi delle Torri Gemelle. Il cratere non è grande.
Il Papa percorre pochi metri. Hanno messo a terra un tappeto giallo, rettangolare e un inginocchiatoio bianco. Sono le uniche macchie colore nel grigio della fossa di New York.

S'inginocchia Joseph Ratzinger. Nessun leader mondiale è mai sceso fin qui, fino al livello 0, per pregare. È un privilegio terribile, riservato al Papa e a noi che lo accompagniamo. Si entra in punta di piedi, l'emozione ti scuote. Hanno tolto da poco la croce costruita con due pezzi di sbarre di ferro delle Torri. L'anno spostata accanto alla chiesa di St. Peter due passi da qui, chiesa di Ground Zero, chiesa del perdono e della riconciliazione. Non c'è alcun simbolo religioso al livello 0. Eppure questo è il Sacrario d'America, dove uomini e donne di tutte le fedi e tante nazionalità sono state ammazzate dall'odio di chi ha intrecciato violenza e religione.

Il Papa prega per oltre due minuti e sembra un tempo lunghissimo, mentre il vento spazza la polvere e solo gli scatti delle macchine dei fotografi riempiono la buca muta. Poi un sacerdote s'avvicina gli tocca un braccio. Ratzinger si alza, ha il volto contratto, lo sguardo severo. Alza il capo e guarda in alto lo spicchio di cielo grigio tra la corona evanescente dei grattacieli. Accende il cero, simbolo di fede universale, luce di speranza, perché è di questa che ha bisogno il mondo, ancora sette anni dopo la tragedia che l'ha fatto diverso. È solo un piccolo lume. Nessuno mai prima d'ora qui aveva compiuto questo gesto. Lo fa un Papa, coscienza del mondo, che tra poco invocherà il Dio dell'amore, della misericordia e della riconciliazione. È il Dio di tutte le religioni, è il Dio dell'uomo a tutte le latitudini, perché qui si è consumata una tragedia mondiale.
Adesso avvicinano un microfono. Benedetto XVI legge il testo della preghiera, una parola dopo l'altra, piano piano, quasi scandite, in inglese. Definisce Ground Zero «scenario di incredibile violenza e dolore», ricorda anche le vittime dell'attentato al Pentagono e i passeggeri morti, dopo che si erano ribellati al terroristi a bordo dell'aereo che fecero precipitare a Shanksville in Pennsylvania. Prega il Dio della pace, perché porti la pace «nel nostro mondo violento». E prega anche per coloro che «hanno il cuore la mente consumati dall'odio». Ma invoca anche il «Dio della comprensione» e dice che siamo ancora «sopraffatti dalla dimensione immane di questa tragedia», siamo ancora «davanti ad eventi così tremendi». Chiede conforto, chiede «saggezza e coraggio» per «lavorare instancabilmente per un mondo in cui pace e amore autentici regnino tra le Nazioni e nei cuori di tutti».
Gli portano l'acqua benedetta e lui l'asperge in ogni direzione, perché qui le vite sono state spezzate e perché qui la memoria dei morti trovi consolazione. Ci sono 24 persone attorno al Papa, 24 vite provate dal dolore, sono superstiti, mogli e fratelli delle vittime, amici e compagni di lavoro dei soccorritori morti, poliziotti, pompieri, guardie portuali, accompagnate dai governatori di New York David Paterson e del New Jersey Jon Corzine e dal sindaco di New York Michael Bloomberg.
C'è George Bachmann, un pompiere in pensione a cui lo schianto delle Torri ha spezzato la schiena. Cammina con una fatica che fa paura, cerca di inginocchiarsi. Il Papa lo sorregge. Lui serra le labbra e non riesce a dire nemmeno una parola. C'è Dympna Judge Jesich, 74 anni, la sorella gemella del cappellano dei pompieri Mychal Judge, morto mentre dava l'estrema unzione ad una delle vittime che si gettarono nel vuoto appena dopo l'attacco. Si tolse l'elmetto, mentre segnava la croce sul corpo schiantato. Un pezzo di vetro lo trafisse. Lì accanto alla sorella c'è anche l'altro cappellano dei pompieri, padre Filaccioni, un italo-americano che vide il suo confratello morire. Padre Judge è considerata la vittima numero 0001.
C'è Migdalia Colon, americana di lingua spagnola, che quel giorno si salvò perché non capiva bene l'inglese. Un poliziotto gridava, mentre lei scendeva di corsa le scale, di spostarsi tutti a destra. Lei non capì e andò a sinistra. Fu l'unica salvarsi di tutto quel gruppo. Lo racconta al Papa. Piange. Nessuno li ha scelti questi testimoni che si fermano un attimo a mostrare il dolore a Benedetto XVI. Hanno chiesto in oltre mille di poterlo fare. Le autorità di New York li hanno estratti a sorte. Non deve essere facile restare dentro questo fossato, dove tutto evoca il dolore sommo della morte e della cattiveria dell'uomo.
Linda Litto, vedova di Vincent, un broker di una società finanziaria che quel giorno era appena arrivato al lavoro in cima ad una delle due Torri, stringe le mani del Papa, mentre le lacrime le scendono sul volto. Poi quando ce ne andiamo, quando anche il Papa sale di nuovo sull'auto per uscire dal Sacrario d'America, si avvicina al piccolo gruppo dei giornalisti e dice con un filo di voce: «È stata una lotteria, che avrei preferito non aver vinto». Si esce storditi da Ground Zero.

© Copyright Eco di Bergamo, 21 aprile 2008

1 commento:

mariateresa ha detto...

cara, ti segnalo questo.
E' fantastico

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/04/20/la-prima-volta-del-rabbino-neusner-col-vecchio-amico-joseph/