20 aprile 2008
Migliaia e migliaia di persone salutano il Papa nelle strade di Manhattan. E lui ringrazia per l'amore «al povero successore di Pietro» (Bobbio)
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Migliaia e migliaia lo salutano nelle strade di Manhattan E lui ringrazia per l'amore «al povero successore di Pietro»
Alberto Bobbio
New York
La gente è tutta per la strada in questa mattina newyorkese, calda, quasi afosa. Vedono passare il corteo imponente che va a passo d'uomo. In mezzo ad un fila di auto del servizio segreto piene di antenne, di gipponi neri con i portelloni aperti, di macchine della «local police» bianche e blu con ogni tipo di lampeggianti accesi, di motociclette, sfila la «papamobile». Accanto cammina un esercito di poliziotti, occhiali scuri, auricolare e microfono al bavero della giacca.
C'è il mondo intero a vedere Benedetto XVI, c'è questa città cosmopolita, mille etnie, mille Paesi, ci sono volti di tutti i colori. I giornalisti delle televisioni americane, che trasmettono dai marciapiedi, i cronisti che commentano dagli elicotteri sono stupiti. Nessuno se lo aspettava. «Ratzinger non è Wojtyla, vedrete», dicevano i colleghi americani nella sala stampa internazionale. Ieri mattina il New York Times non aveva neppure messo in prima pagina la visita del Papa all'Onu, ma solo la foto dell'incontro alla sinagoga. L'unica questione di cui parlano i giornali statunitensi è quella dello scandalo degli abusi sessuali. Anche le televisioni vi insistono come se fosse il tema della visita, motivo di preoccupazione e di freddezza della gente verso il Papa e la Santa Sede.
Ma così non è, e la folla lungo le strade di Manhattan ieri lo ha dimostrato. Ratzinger chiuso nella blindatura della sua auto, seduto in alto, si girava da una parte e dell'altra, contento, felice, sorridente. Ieri son tre anni che è stato eletto. Ieri è cominciato il quarto anno del pontificato.
Ieri lui ha ringraziato degli auguri alla fine della messa nella imponente cattedrale di St. Patrick, cattedrale di New York, edificio che acquista fascino maggiore per essere letteralmente affogata con le guglie dentro i grattacieli moderni del cuore di New York. Era la Messa per i sacerdoti, i religiosi e le suore, 2.800 sotto le volte neogotiche. Il cardinale Bertone, Segretario di Stato, al termine gli fa gli auguri parlando in spagnolo. C'è un lungo applauso.
Il Papa è quasi imbarazzato. Gli avvicinano il microfono e il messale. Lui in inglese, con voce sommessa, quasi si meraviglia e ringrazia tutti per «l'amore che date al povero successore di Pietro». Riprende il concetto espresso dal balcone di San Pietro il giorno delle elezione, quando disse di essere un «umile operaio nella vigna del Signore». Ieri ha assicurato di nuovo: «Farò tutto il possibile per essere un vero successore del grande Pietro, che era anche un uomo con i suoi difetti e alcuni peccati, ma alla fine rimase la roccia della Chiesa». Parla lentamente, cerca le parole e esorta se stesso: «Così anch'io con tutta la mia povertà spirituale possa essere, con la grazia di Dio, il successore di Pietro in questo tempo».
Nell'omelia davanti ai preti e ai religiosi analizza la situazione della Chiesa. Mette in fila di nuovo luci ed ombre, come ha fatto in questi giorni: «Forse abbiamo perso di vista che in una società in cui la Chiesa a molti sembra essere legalista ed istituzionale, la nostra sfida più urgente è di comunicare la gioia che nasce dalla fede e l'esperienza dell'amore di Dio». Ammette che ciò «non è un compito facile in un mondo che può essere incline a guardare la Chiesa dal di fuori». Eppure il mondo, a suo parere, «sente profondamente un bisogno di spiritualità, ma trova difficile entrare nel mistero della Chiesa».
Si sofferma sulle troppe divisioni all'interno della Chiesa: «Una delle grandi delusioni che seguirono il Concilio Vaticano II – ha detto – penso sia stata per tutti noi l'esperienza di divisione tra gruppi diversi, generazioni diverse, e membri diversi della stessa famiglia religiosa». E poi dice che in una società «in cui la Chiesa a molti sembra essere legalista e istituzionale» bisogna tornare alla «Parola di Dio», alla forza dello «Spirito» per annunciare il Vangelo in un mondo segnato da «egocentrismo, avidità, violenza e cinismo» che «così spesso soffocano la fragile crescita della grazia del cuore delle gente».
Ha posto al centro dell'evangelizzazione «la proclamazione della vita» e ha chiesto ai cattolici di stare attenti a non cedere alla «frustrazione», alla «delusione» o «addirittura al pessimismo circa il futuro», anche se per «qualcuno di noi» la «luce della fede può essere attenuata dalla routine e lo splendore della Chiesa offuscato dai peccati e della debolezza dei suoi membri». Ciò può accadere sicuramente a causa di una società, che «a volte sembra offuscare Dio» o che sembra «irritarsi di fronte alle richieste più elementari della morale cristiana», ma anche a causa degli errori di alcuni membri della Chiesa.
E per la quarta volta dall'inizio del viaggio Benedetto XVI è tornato a parlare dello scandalo degli abusi sessuali, «danno», ha ripetuto, «per la comunità dei fedeli», che ha «causato tanta sofferenza». Ha chiesto che questo sia un «tempo di purificazione per ciascuno e per ogni singola Chiesa» usando la stessa parola e la stessa esortazione che già Karol Wojtyla fece alla Chiesa americana dopo il summit tra Vaticano e Conferenza episcopale nel pieno dello scandalo nel 2003. Ieri Ratzinger ha aggiunto anche che sia un «tempo di guarigione», segno che la vicenda non finita, e ha invitato sacerdoti e religiosi a collaborare con i vescovi, che «continuano a lavorare efficacemente per risolvere questo problema».
Oggi il Papa alle 9,30, le 15,30 in Italia, scenderà a Ground Zero, nel luogo dove caddero le Torre Gemelli l'11 settembre 2001. Non sono previsti discorsi, ma solo una struggente preghiera al Dio della misericordia, della pace e della riconciliazione.
© Copyright Eco di Bergamo, 20 aprile 2008
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