21 luglio 2008

Le ferite dell'uomo: la lezione australiana di Papa Benedetto (Bobbio)


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Le ferite dell'uomo

La lezione australiana

Alberto Bobbio

Il Papa ha parlato a lungo durante la Gmg. Se si mettono in fila le righe dei suoi discorsi australiani si nota che mai nel corso degli altri otto viaggi internazionali del pontificato Benedetto XVI ha pronunciato così tante parole. Righe e righe e una fila di contenuti non sempre facili e soprattutto concettualmente molto articolati.
Scorrendoli uno dopo l'altro, dal primo sul molo di Barangaroo fino all'omelia della Messa all'ippodromo di Randwick, è chiaro che Joseph Ratzinger ha deciso di attribuire al suo viaggio agli antipodi qualcosa in più della sola funzione pedagogica di parlare ai giovani.
Era la sua seconda prova ad una Giornata mondiale della gioventù, dopo quella di Colonia nel 2005. Ma il luogo, cioè l'Australia, e il lungo viaggio in aereo fin laggiù, hanno offerto lo spunto al Papa per trasformare un appuntamento, per così dire, stagionale, in un'analisi sullo stato del mondo, ponendo al centro la «questione di Dio».

Dopo tre anni di Pontificato e un sussidiario di ragionamenti che ne hanno connotato lo stile narrativo, dove la potenza della parola è al centro del disegno pontificio, il viaggio in Australia appare come il punto in cui Benedetto XVI ha deciso di riassumere la grammatica e la sintassi della sua predicazione. Aver posto la «questione di Dio» è una sfida al cristianesimo moderno, e non solo alle giovani generazioni, perché torni ad essere «sale della terra e luce del mondo».

Se ripercorriamo la biografia intellettuale e religiosa di Joseph Ratzinger, se andiamo a rileggere i suoi libri, si vede chiaramente che questa è sempre stata la sua unica preoccupazione.

Lui continua, con cocciutaggine, a percorrere la strada di una Chiesa «santa», cioè credibile nell'annuncio e coraggiosa, anche nel vedere i guasti, nell'affrontarli e ripararli.

Le parole fortissime che ha pronunciato sulla vergogna degli abusi sessuali non sono una parentesi, non sono un atto dovuto, non sono un prezzo pagato alla strategia del consenso, ma l'evidenza di una crisi, per combattere la quale è necessario andare «fino in capo al mondo», questa volta concettualmente, utilizzando parole potenzialmente dirompenti e accettando un processo inevitabilmente doloroso e rischioso.

Eppure è questa la forza della fede, narrata da Benedetto XVI alla Gmg degli antipodi: quella che riconosce anche l'errore dei suoi. Si tratta di parole che ha potuto dire, con più forza di quelle pronunciate nel passato viaggio negli Stati Uniti, proprio perché le ha inserite in un ragionamento sull'eclissi di Dio, che provoca «un disordine», il quale ha «inevitabili ripercussioni sul resto del creato». Ecco che torna la «questione di Dio».

Tuttavia sull'argomento del creato bisogna stare attenti. Sbaglia chi ritiene la missione australe di Papa Benedetto una celebrazione ecologista. Avrebbe fatto della Chiesa un'istituzione civile, magari filantropica, giovani volontari impegnati contro l'erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse naturali. Avrebbe messo l'accento sulle conseguenze, più che sui principi.

Invece Ratzinger non ha separato la ferite dell'ambiente naturale dalle ferite dell'uomo. Ad un certo punto ha fatto una domanda impressionante: «Quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce? Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini? Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?».

Nelle parole di Sydney si trova la risposta. Accade perché Dio è stato messo in panchina da un secolarismo che ha imposto una visione globale e ideologica del gioco dell'umanità. Accade perché si è sottratto spazio al mistero della vita, che l'uomo ha solo ricevuto in eredità e di cui non è padrone assoluto. Accade insomma perché Dio è diventato «irrilevante nella vita pubblica».
Nei discorsi alla Gmg si trova un compendio mirabile della questione essenziale, la «questione di Dio», posta da Benedetto XVI al cuore del suo pontificato.

Dio non è né può diventare un prodotto di scarto della modernità, né la Chiesa può accettare di ritirarsi, perché ha le sue radici nella «follia» della Croce, come dice Paolo, e da questa croce scaturisce un amore infinito per il mondo e per l'uomo.

Ratzinger in Australia non ha mai diviso il mondo e l'uomo. Anzi ha messo in guardia circa il rischio che si corre a farlo. Se ci si occupa del mondo e non dell'uomo infatti alla costruzione del bene comune si dà una connotazione utilitaristica, si mettono in fila solo i fattori economici e si tralascia l'amore, cioè l'azione dello Spirito di Dio. Se si mette a tacere Dio, se, nel migliore dei casi, lo si ritiene personaggio di fantasia, allora è giustificato passare la vita ad accumulare e ad inseguire il successo.

C'è tutto Ratzinger in questi ragionamenti. Ogni riga dei discorsi alla Gmg rimanda ad altri interventi, alle due encicliche, ai libri del teologo. Ci sono le esortazioni a non cedere mai alla paura e al pessimismo. C'è una grande lezione sullo Spirito Santo, che richiama uno dei suoi libri più famosi, «Il sale della terra».

È il libro che meglio illustra la personalità del Papa teologo, quello in cui osservava che occorrono «uomini interiormente trasformati dal cristianesimo», quello in cui rilevava che «proprio un'epoca di cristianesimo quantitativamente ridotto può suscitare una nuova vitalità di un cristianesimo più consapevole».

A Sydney ieri nella Messa di chiusura della Gmg ha sviluppato lo stesso concetto. Ma soprattutto ha spiegato che se tutto ciò non trova un'espressione visibile, cioè se non si esprime anche esteriormente, resta inefficace.
E la preghiera pubblica, che ha percorso la città «più mondiale» del mondo, dove si parlano 200 lingue, simbolo perfetto dell'intreccio di uomini e culture, ha rilanciato l'immagine di un Dio che deve tornare a giocare con tutti noi.

La lezione di Sydney andrà riletta, parola per parola, perché vale per tutti, perché non bastano i giovani a dare una mano a Dio per rimetterlo in campo.

© Copyright Eco di Bergamo, 21 luglio 2008

Stupendo articolo!
Veramente complimenti a Bobbio :-)

R.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Felice lunedì, Raffaela.
Ti posto questo articolo da www.ilsussidiario.net che intervista Sandro Magister. Purtroppo il link sembra non funzionare.
SYDNEY 2008/ Magister
un Papa che incanta i giovani portandoli all’essenza del fatto cristiano.
Dire cose forti ma comprensibili anche ai semplici, fino al punto di parlare dell’intera Bibbia come di una grande storia d’amore tra Dio e l’uomo, culminante nel “sì” di Maria all’angelo. In questo misto di profondità intellettuale e di chiarezza comunicativa Sandro Magister, vaticanista del settimanale L’Espresso, identifica l’originalità di questo Papa, che a Sydney è stato ancora una volta capace di incantare centinaia di migliaia di giovani.

Benedetto XVI ha incominciato questa Giornata della Gioventù parlando di un mondo minacciato da una concezione della libertà dell’uomo staccata dalla verità. Lo ha detto in riferimento al creato, ma anche in riferimento alla vita minacciata da atti come l’aborto. Sembra quasi una sintesi di elementi e di argomenti diversi.

Benedetto XVI, con questo tipo di argomentazione concatenata, ha effettivamente risposto a un’obiezione ricorrente. Sia da parte laica che da una certa parte del mondo cattolico si muove una critica alla predicazione della gerarchia ecclesiastica, e in particolare del Papa, perché troppo insistente sui temi della difesa della vita e della famiglia, e invece ritenuta meno attenta ad altre urgenze, come quella ecologica o quella che potremmo definire di “ecologia sociale”. Il Papa ha mostrato che questi diversi ambiti sono assolutamente connessi tra di loro: non si può essere coerenti difendendo l’uno in alternativa all’altro.

Qual è il fondamento di questa sintesi nell’argomentazione del Papa?

Nello sfondo del discorso del Papa emerge il disegno della creazione così come egli stesso lo ha mostrato e illustrato nella sua predicazione: la creazione ha al suo vertice l’uomo. L’uomo è a immagine di Dio, e quindi è la quintessenza del senso della creazione nel suo insieme. Per cui difendere la vita dell’uomo include già in partenza l’impegno ineludibile per la difesa di tutti gli altri aspetti del creato.

C’è stato spazio, in questi giorni a Sydney, anche per un importante incontro con i rappresentanti di altre confessioni. Il Papa, in questa occasione, ha parlato di «punto critico» nel dialogo ecumenico. Cos’ha inteso dire con questa espressione?

Questa frase è stato interpretata, da parte di molti commentatori, come riferimento esplicito alla situazione di crisi in cui si trova la chiesa anglicana. In realtà, leggendo il discorso del Papa nel suo insieme, questo riferimento al «punto critico» è di carattere più generale: egli ha inteso esprimere preoccupazione per la tendenza ad additare quasi con un sospetto di colpevolezza le dottrine che ciascuna confessione cristiana difende come base della propria identità. Il Papa ha cioè denunciato una corrente di pensiero molto diffusa, secondo cui per arrivare all’unità delle chiese occorre mettere da parte o in second’ordine le differenza dottrinali, come se queste contassero meno. Egli ha invece sottolineato che non si può pensare a un ecumenismo del dialogo disgiunto da un ecumenismo della verità. Questa è proprio la caratteristica di questo pontificato, confermata anche in questi giorni.

È stato anche dato l’annuncio della sede per la prossima Giornata della Gioventù: Madrid. Una scelta significativa, vista la situazione in cui si trova a vivere la Chiesa spagnola…

Questa scelta era già nell’aria, ed era prevedibile che, dopo una Giornata in una sede lontana dall’Europa e dall’Occidente, si ritornasse in un luogo più vicino. Certo, la scelta in particolare di Madrid implica un nuovo tipo di richiamo e di sfida lanciato alla vecchia Europa, che se può essere considerata la primogenita della cristianità nel mondo, in realtà è un’area in cui la Chiesa soffre notevoli difficoltà. La Spagna, poi, è in particolar modo rivelatrice del travaglio che la Chiesa vive in Europa e in Occidente.

Ancora una volta, in questi giorni il Papa ha smentito, se ancora ce ne fosse bisogno, l’immagine di un pontefice “professore”, lontano dalla sensibilità dei giovani. Qual è il segreto di questa capacità comunicativa di Benedetto XVI, che ogni volta stupisce?

Questa capacità di comunicare con i giovani fa il paio con la capacità di comunicare in generale con tutte le persone di qualsiasi età e di qualsiasi estrazione culturale. Si conferma ogni giorno di più un Papa che non è fatto solo per le accademie, ma che è capace di dire le cose forti ai semplici, e con parole semplici. Certo, sono parole sempre molto ricche e dense di significato, non certo “facili”, nel senso deteriore della parola; ma il Papa è capace di dire cose forti a persone che non devono avere necessariamente gradi accademici per poterle ascoltare e capire. È vero: questo Papa sorprende ogni volta di più da questo punto di vista. In particolar modo con i giovani la scommessa è più alta, ed egli è sempre in grado di vincerla.

Che il Papa intendesse parlare anche in questa occasione di concetti forti e densi lo si era capito già dal tema di questa GMG: la forza della Spirito Santo. Un argomento non certo facile per i giovani.

I due maggiori discorsi sono stati francamente di una densità sbalorditiva. Il discorso della veglia, dedicato appunto allo Spirito Santo – la persona dimenticata delle tre persone della Trinità, come lui ha detto – è stata veramente una lezione di catechismo di profondità abissale, in cui non ha esitato a richiamare Sant’Agostino e, sulle sue orme, svolgere una lezione sull’importanza e il significato dello Spirito Santo. Poi ha parlato anche dei Sacramenti dell’iniziazione cristiana, con un atteggiamento che potremmo definire mistagogico: i Sacramenti li fa diventare percorsi per un accostamento, sempre più in profondità, al fatto cristiano. E questo lo ha fatto tranquillamente di fronte a folle sterminate di giovani, dicendo queste cose come se parlasse a tu per tu con ciascuno di loro, e senza pensare minimamente che si dovesse scendere a compromessi linguistici di bassa leva per ingraziarsi le loro attenzioni.

Qual è stato secondo lei il momento più alto, in questi giorni, della profondità e allo stesso tempo della potenza comunicativa di Benedetto XVI?

L’Angelus conclusivo, chiaramente scritto di getto dal Papa, è stato di un’efficacia espositiva così mirabolante da lasciarmi veramente sorpreso. Ha raccontato la vicenda dell’Antico e del Nuovo Testamento, sullo sfondo del “sì” detto dalla Madonna all’angelo annunciante, e ne ha parlato in questi termini: l’Antico Testamento è la storia di un grande fidanzamento, la storia di un amore che comincia la sua avventura; il Nuovo Testamento è il matrimonio che corona questo amore, con il “sì” di Maria. Dopo di che il Papa ha aggiunto: se questa è la storia, come in tutte le favole potremmo chiudere dicendo “e vissero felici e contenti”. Invece no: la nostra storia non finisce, bensì comincia con il “sì” di Maria. Ed è una storia che ci impegna giorno per giorno.
Un Papa che si esprime così non è certo quel professore che tutti – arbitrariamente – si aspettavano.

Ps. Ce ne fossero di vaticanisti come Magister. Molti dei suoi colleghi avrebbero bisogno di un suo corso intensivo (tanto per non far nomi per ex Ingrao e Politi).
Felice lunedì.
Alessia

Raffaella ha detto...

Grazie, Alessia, sei preziosissima :-)
Hai ragione: avremmo bisogno di tanti Magister che sappiamo veramente raccontarci il Papa superando, se possibile, l'ideologia e/o l'antipatia personale.
R.