2 luglio 2008
Storie di conversione: Francesco raccontato da Giotto (Osservatore Romano)
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Storie di conversione: Francesco raccontato da Giotto
Quel formidabile sceneggiatore
che dipingeva ad Assisi
di Antonio Paolucci
C'è la conversione "invisibile", lenta, silenziosa, che procede per gradi, che lavora sotto traccia per emergere al termine della notte, dopo un lungo tortuoso percorso, come un fiume carsico. E poi c'è la conversione come deragliamento, come atto clamoroso che rovescia il tavolo delle convenzioni: famigliari, sociali, anche religiose. È la conversione che si annuncia con un atto di follia. Da quello è necessario partire perché la vita nuova abbia inizio.
Questo secondo tipo di conversione è mirabilmente significato da Giotto nella basilica superiore di Assisi, in quell'episodio della vita di san Francesco che conosciamo come "La rinuncia dei beni paterni".
Giotto è uno sceneggiatore formidabile. Riesce a isolare e a esaltare con fulminea efficacia l'essenza dell'episodio rappresentato. Giotto è anche l'artista che per primo (qui siamo nell'ultimo decennio del xiii secolo e nel ciclo di Assisi è già pienamente dispiegata la sostanza della sua rivoluzione) fa emergere il miracolo del Vero visibile nella certezza dello spazio misurabile.
Il Vero dei colori, delle ombre e delle luci ma anche dei sentimenti e degli affetti, abita per la prima volta una piazza italiana vasta e spaziosa dislocata in misura e in profondità, definita da edifici che tentano la prospettiva; una prospettiva non ancora scientificamente esperita ma già esattamente intuita.
In questo ambiente che Giotto ha costruito con straordinaria sapienza scenografica, Francesco ha appena compiuto il suo folle gesto. Si è spogliato nudo, ha gettato via i vestiti perché nulla dei beni paterni vuole più possedere. La scena avviene in piazza perché il gesto (che è il rovescio esatto della vestizione da cavaliere o da chierico e afferma quindi la fuoriuscita radicale dai ruoli e dalle convenzioni sociali) ha da essere pubblico, deve assumere valenza didattica erga omnes.
Francesco si è tirato fuori dalla società e dalla famiglia, ha rinunciato ai beni paterni e sta pregando a mani giunte, gli occhi rivolti al cielo. Così lo rappresenta Giotto attenendosi fedelmente a quel passo della Legenda Maior che vede Francesco rivolgersi al padre, Pietro di Bernardone, che lo ha ripudiato con queste parole: Amodo secure dicere possum: Pater noster qui es in coelis, cum repudiaverit me Petrus Bernardonus. È un latino così facile da non aver bisogno di traduzione.
Come reagiscono gli astanti, il popolo di Assisi, al gesto di Francesco? Reagiscono con una varietà di atteggiamenti e di sentimenti che Giotto fedelmente rappresenta. C'è l'ira furibonda del padre che regge sul braccio i panni di cui Francesco si è spogliato e sta per avventarsi sul figlio con il pugno chiuso, a stento trattenuto da un notabile del Comune.
C'è l'imbarazzo dei chierici, preoccupati forse infastiditi dalla performance di questo folle di Dio. E valga per tutti il volto fra severo e sconcertato del vescovo il cui unico pensiero sembra essere quello di coprire con un panno le nudità del giovane.
C'è infine lo stupore, forse lo sgomento, dell'establishment cittadino, il folto gruppo di notabili, di mercanti, di facoltosi possidenti che si raccolgono intorno a Pietro di Bernardone. Sono facce di ricchi borghesi che guardano con occhi sbarrati quello che sta accadendo. Si scambiano fra di loro commenti sussurrati a bassa voce, certo compiangono il loro collega Pietro al quale è toccata la disgrazia di un figlio fuori di testa. Sulla sinistra ci sono anche due ragazzi con le vesti rialzate piene di sassi. Perché il "matto" Francesco veniva schernito e preso a sassate per le strade della sua città, ci assicura un'altra fonte antica, la Legenda trium sociorum.
La storia pubblica del santo comincia da qui. Ci voleva il deragliamento iniziale perché gli episodi che Giotto squaderna sulle pareti della basilica come grandi poster colorati, assumessero le forme di una sublime "normalità".
Attraverso le campagne e le città del mondo, sotto la quercia di Bevagna come nella tenda del sultano Mâlik-Kâmil, si verificano prodigi che al riguardante appaiono del tutto ovvi semplicemente perché è Francesco a volerli e ad attuarli.
È normale che i diavoli fuggano da Arezzo in un turbinio di pipistrelli impazziti, se il santo si avvicina alle mura della città; che gli uccelli ascoltino la predica in silenzio, educati e bene allineati, se i cristiani non hanno voglia né tempo di farlo; che a Greccio il presepio evochi la nascita di Nostro Signore e che Gesù Bambino "vero" finisca fra le braccia del Santo.
È persino "normale" che un Papa trovi buona e approvi la regola conventuale proposta da un matto che si era spogliato nudo in piazza per proclamare la sua rinuncia ai beni di questo mondo. Tutte queste cose e molte altre ancora racconta Giotto nei murali di Assisi. Per spiegarci come dalla follia eversiva della conversione possa nascere l'ordine benefico e meravigliosamente "normale" della santità.
(©L'Osservatore Romano - 2 luglio 2008)
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