12 luglio 2008

«Visti» d’ingresso, Australia in affanno. Gmg dal forte accento asiatico


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«Visti» d’ingresso Australia in affanno

Le autorità di Canberra temono che giovani di nazioni povere o in guerra possano «usare» la Gmg per restare illegalmente nel Paese. Perciò concedono i «visti» con grande prudenza E non mancano i «no»: come a gruppi di nepalesi e vietnamiti Intanto gli uffici governativi sono sovraccarichi di lavoro

DAL NOSTRO INVIATO A SYDNEY

NELLO SCAVO

A poche ore dall’arrivo di Benedetto XVI il ri­tardo nella concessio­ne dei visti ai giovani pellegri­ni sta mettendo in affanno il di­partimento dell’immigrazione australiano. Ancora ieri gli uf­fici governativi non sono stati in grado di fornire cifre detta­gliate e spiegazioni ufficiali sul­l’ingolfarsi delle pratiche. Semplicemente: « Stiamo fa­cendo il possibile per conse­gnare i visti ai pellegrini prima che partano per Sydney».
Il tempo stringe, ma dagli or­ganizzatori arrivano parole di ottimismo. Il vescovo ausiliare di Sydney, Anthony Fisher – che coordina il quartier gene­rale della Gmg dal suo ufficio tra i grattacieli di Liverpool Street – assicura che i pellegri­ni iracheni a cui inizialmente era stata respinta la domanda di accesso in Australia «adesso sono in viaggio e stanno per ar­rivare ». Dunque sarebbe in via di superamento l’impasse che aveva messo a rischio il loro pellegrinaggio. La presenza dei giovani mediorientali sarà poi moltiplicata dagli emigrati che vivono in Australia, Usa ed Eu­ropa: le delegazioni arriveran­no così a un totale di circa set­tecento giovani iracheni e al­cune decine del Libano e della Terra Santa. Uno spiraglio a cui fanno da contrappasso altre notizie: niente visto per 28 gio­vani nepalesi, mentre lamen­tele sono arriva­te dal Vietnam, che su novecen­to aspiranti pel­legrini riuscirà a portarne a Syd­ney solo due­cento.
Una fonte del dipartimento della immigra­zione spiega ad Avvenire che « i gruppi per i quali usiamo maggiore prudenza nella con­cessione dei visti sono quelli che potrebbero più facilmente stabilirsi qui illegalmente». Tra questi i giovani con passapor­ti di quei Paesi asiatici che da anni premono sulle autorità di Canberra perché vengano al­largate le maglie del rigido si­stema di controllo dell’immi­grazione legale. Che la faccen­da stia creando qualche diffi­coltà all’interno della burocrazia australiana lo si capisce dal­la richiesta, inusuale da queste parti, di conservare l’anoni­mato da parte delle fonti: «Co­me per le altre domande di vi­sto, coloro che vogliono parte­cipare alla Giornata mondiale della gioventù – aggiunge il funzionario – sono tenuti a di­mostrare di avere incentivi per tornare nel Paese d’origine».
E per «incentivi» si intende «un lavoro, una qualche proprietà e legami familiari» . In man­canza di almeno uno di questi requisiti, la pratica rallenta «perché è altamente probabi­le che questi giovani possano tentare di restare illegalmente nel nostro Paese non avendo interesse a tornare a casa pro­pria dove semmai li attende povertà e incertezza » . Una preoccupazione che sta facen­do centellinare le risposte po­sitive delle ambasciate agli a­spiranti pellegrini. Nei giorni scorsi erano state le autorità a comunicare ufficial­mente che alla data del 4 luglio erano stati approvati 65 mila visti, senza però specificare quanti ne erano stati respinti e quanti fossero in attesa di una risposta. In parte i ritardi si de­vono anche all’afflusso di ri­chieste concentratesi nelle ul­time settimane, di fatto so­vraccaricando di lavoro gli uf­fici governativi. Chi si è mosso con largo anticipo general­mente non è rimasto deluso. Come i trecento giovani da Ti­mor Est, l’isola del Sudest asia­tico tormentata da una lunga guerra per l’indipendenza.
Il puntiglio delle autorità non è un’esclusiva australiana. Al­l’ultima Giornata mondiale della gioventù, celebrata a Co­lonia nel 2005, l’ambasciata te­desca di Islamabad negò il per­messo di recarsi in Germania a centinaia di giovani pachistani per le stesse ragioni per cui og­gi lo fa l’Australia. Al momen­to i Paesi con il maggior nu­mero di partecipanti sono – dopo l’Australia – Stati Uniti, I­talia, Germania, Filippine, Spa­gna, Nuova Zelanda, Francia, Canada e Polonia. E nell’atte­sa che atterri domani l’aereo con Benedetto XVI, la speran­za di molti è che ad accogliere il Papa ci possa essere anche la maggior parte di quanti – pro­venendo dalle terre più tor­mentate – desiderano pregare e festeggiare con i loro coetanei da ogni dove.

© Copyright Avvenire, 12 luglio 2008

Una Giornata dal forte accento asiatico

Da Filippine, India e Timor Est «numeri» significativi. Per molti ragazzi è il primo viaggio fuori dal proprio Paese

DI LORENZO FAZZINI

Chiamiamola pure Gmg d’Asia. La prossimità con l’immenso continente, nonché le nume­rose e folte comunità di immigrati a­siatici (e cattolici) in Australia, le de­legazioni dei vari Paesi che già s’in­crociano a Sydney, Melbourne e Bri­sbane, garantiscono un pronunciato accento asiatico alla prima Giornata mondiale in Oceania. Visti permet­tendo.

Lo scopriamo parlando con Jessica Joy Candelario, laica filippina, re­sponsabile del settore giovani della Federazione delle Conferenze epi­scopali d’Asia, con sede a Manila.

«Ci saranno quasi duemila giovani dalle Filippine – spiega –; poi c’è l’India con quasi mille rappresentanti; molto si­gnificativa la presenza di giovani da Timor Est. Per molti di loro è il primo viaggio fuori dalla loro giovane patria. In generale, per tanti giovani asiatici Sydney è già oggi il 'porto' al quale si arriva per costruirsi un futuro».

Quali sono gli elementi specifici del­le diverse delegazioni nazionali di giovani asiatici presenti a Sydney?

A parte le Filippine e Timor Est, i cat­tolici d’Asia sono accomunati dal­l’essere minoranze nei propri Paesi. La sfida di vivere la fede in un conte­sto multiculturale li avvicina tutti. Sia­mo motivati nell’essere testimoni at­traverso atteggiamenti che definirei «interreligiosi», che ci rendono capa­ci di praticare la solidarietà nelle di­verse realtà che incontriamo. Nell’A­sia orientale, maggiormente segnata dallo sviluppo economico, tra i gio­vani vi è un senso di povertà spirituale molto diffuso. Essi vengono spinti a una forte competizione in campo scolastico e professionale ma, con le famiglie segnate dagli stessi problemi, c’è un alto tasso di suicidi. In nazioni come Filippine e Indonesia la gio­ventù è segnata dalle migrazioni per cercare lavoro. Nell’Asia sudorienta­le, specie in Laos, Myanmar e Viet­nam, la Chiesa convive con governi di ispirazione ideologica certo non affi­ne.

Queste situazioni troveranno spazio nella Gmg di Sydney?

Il 16 luglio vivremo l’Asian Youth Gathering, il raduno della gioventù a­siatica, al Downes Pavillion. Tutte queste tematiche verranno prese in seria considerazione: affronteremo le realtà concrete e le sfide che riguar­dano i giovani asiatici e il modo in cui possono rispondervi seguendo Gesù.

Cosa significa per i giovani cattolici d’Asia partecipare ad una Gmg?

Offre loro la possibilità di sperimen­tare l’universalità della Chiesa. Nei lo­ro Paesi la sola Chiesa che vivono è l’assemblea della domenica. Cele­brare il fatto di essere Chiesa e di vi­vere in unità renderà la Gmg un’e­sperienza diversa per la gioventù cat­tolica asiatica, renderà questi giova­no coraggiosi nella fede.

La Chiesa in Asia è una presenza mis­sionaria: che legame c’è fra Gmg e missione?

Le Gmg servono all’evangelizzazione e alla missione. Se questa riuscirà a convincere i giovani del loro ruolo nella costruzione della Chiesa e del­la società, essi potranno far ritorno nelle loro realtà locali asiatiche per farsi missionari.

La Gmg a Sydney comporta anche u­na certa spesa economica: in che mo­do hanno provveduto i giovani cat­tolici dell’Asia?

Molti gruppi hanno iniziato la loro preparazione più di un anno fa con attività di raccolta fondi. Anche le dio­cesi hanno fornito aiuto come meglio potevano. Ad esempio, nelle Filippi­ne le parrocchie hanno fatto una col­letta apposita, altri gruppi hanno or­ganizzato concerti, vendita di fiori e ogni genere di iniziative per sostene­re economicamente i giovani verso Sydney. Anche molte istituzioni dal­l’estero sono state solidali.

© Copyright Avvenire, 12 luglio 2008

Nelle bandiere dei ragazzi la «geografia» della fede

DAL NOSTRO INVIATO A MELBOURNE

ANNALISA GUGLIELMINO

Portate a mo’ di mantello, annodate agli zaini o intorno alla vita. Le ban­diere si vedono ovunque ma si al­zano soprattutto nelle cerimonie, come nella cattedrale di St. Patrick, levate in al­to alla fine della liturgia di benvenuto del­l’arcivescovo Denis Hart. O come ieri po­meriggio nel Telstra Dome, per la Messa internazionale. Scene che rinnovano il colpo d’occhio delle Gmg precedenti: co­lori come segno tangibile di una presen­za capillare da ogni parte del pianeta. Ca­nada, Polonia, Russia, Cile, Corea, Kuwait. Con le lingue unite nel Receive the power.
«È come ritornare a tre anni fa – alla Gmg 2005 –: anche qui c’è lo stesso spirito di co­munione » , dice un ragazzo di Colonia.
I tedeschi sono migliaia, e seicento di lo­ro, formando il gruppo più numeroso, ar­rivano proprio dalla città che ha ospitato l’ultima Gmg, passando poi il testimone agli australiani. « In tutta la Germania è ancora vivo il ricordo di quei giorni » as­sicura Mark, che sarà tra i volontari del­l’accoglienza a Sydney. Così come migliaia fra italiani ed europei. La Spagna è un’al­tra delle nazioni più presenti, almeno a giudicare dallo sventolio delle bandiere rosse e gialle e dagli equipaggiamenti. U­no di loro indossa una maglietta con una croce disegnata a mano sul petto e la scrit­ta in spagnolo: « Il mio cuore è un luogo pubblico » . Alcuni francesi sono in città, ma molti di più sono ospiti, per i giorni nelle diocesi, in Nuova Zelanda.
Una giovane coppia di sposi arriva dal Bahrein e mostra un ritaglio di giornale con la foto dell’incontro del re Ahmad con Benedetto XVI. Dal Giappone quattro gio­vani frati hanno affrontato insieme il viag­gio, racconta uno di loro, brother Francis Ushironaka, per unirsi a un gruppo di set­tanta passionisti che si sono dati appun­tamento da tutto il mondo. I giovani di Hong Kong li si vede camminare in piccoli gruppi compatti. Saranno poi tutti insie­me nell’alleluja del Receive the power: in­sieme a ungheresi, californiani, sudafri­cani... Un giovane seminarista filippino, con il naso arrossato e le labbra screpo­late, spiega che nella sua vita non era mai stato in un posto più freddo. Ma aggiun­ge che qui nell’inverno di Melbourne « sente il calore degli altri, e della stessa fede » . Che quasi si scambia, come si scambiano, ormai per tradizione da Gmg, cappellini e bandiere.
Una ventenne di Johannesburg, Siman­gele, dice di aver raccolto i risparmi di due anni di lavoro per partecipare. « Ecco per­ché, appena posso, intono con i miei a­mici l’inno sudafricano. Per dire eccoci, ci siamo anche noi » . La sua bandiera sven­tolava fra le migliaia issate in alto ieri nel grande stadio occupato dai pellegrini ap­partenenti a 85 diverse nazioni. I più entusiasti ed eccitati, in giro per la città, sono gli aussie di Melbourne che non si ricordavano un clima simile in città dal Giubileo del 2000, che vide la cele­brazione della Messa proprio al Telstra Dome. Si confondono fra la folla, con la lo­ro bandiera blu stellata, o indossano le giacche rosse dello staff. Agli angoli delle strade, o alle fermate del treno che gira intorno al centro cittadino, il City loop, può capitare che i gruppi stranieri si fer­mino in cerchio, immobili per strada, e per « annunciarsi » alla città intonino cori di «ho ho», che un po’ evocano inni da sta­dio. I padroni di casa subito rispondono allegri: «Aussie, aussie, aussie» (che si pro­nuncia: « osì, osì, osì » ). Non c’è australia­no che resista al gioco della provocazio­ne agonistica.

© Copyright Avvenire, 12 luglio 2008

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