29 agosto 2008

La Chiesa in India continua a lottare contro le discriminazioni. Corteo di protesta a Hyderabad (Osservatore Romano)


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VIOLENZE ANTI-CRISTIANE IN INDIA: RACCOLTA DI ARTICOLI

Altre violenze in Orissa mentre i vescovi chiedono protezione per i cristiani e uguaglianza fra i cittadini

La Chiesa in India continua a lottare contro le discriminazioni

Si aggrava il bilancio delle violenze anticristiane in India. Secondo le ultime notizie, alcune delle quali confermate ufficialmente, sarebbero quattordici i morti mentre sono venticinque le chiese date alle fiamme.
I vescovi indiani chiedono con forza un intervento del Governo centrale per ristabilire l'ordine, mentre la polizia in Orissa ha assistito anche ieri quasi impotente, nonostante l'ordine di sparare a vista, al quarto giorno di attacchi e aggressioni alla comunità cristiana, alle strutture di assistenza, ad altre chiese, alle case. Il vescovo di Cuttack-Bhubaneswar Raphael Cheenath è arrivato ieri a New Delhi, dove oggi è previsto un incontro con il primo ministro indiano Manmohan Singh, al quale il vescovo, secondo quanto riferito dall'agenzia Misna, chiederà "un maggiore intervento del governo federale e locale per prevenire queste situazioni e conservare l'armonia". Ha detto il vescovo Cheenath: "I cristiani e la maggioranza degli indù vogliono vivere insieme in armonia - ha detto - e ci sono stati esempi di indù che hanno aiutato i cristiani e difeso i sacerdoti in questi ultimi terribili giorni di ingiustificabili violenze, compiute da una minoranza accanita. Le religioni - ha concluso il vescovo - sono fatte per unire i popoli, non per dividerli".
Come si accennava, però, le violenze scoppiate dopo l'uccisione di Swami Lakshmananda Saraswat non si placano. Lo stesso monsignor Cheenath, che avrebbe dovuto rientrare già martedì in Orissa dallo Stato del Karnataka dove si trovava per un impegno pastorale, è stato invitato dalla polizia a rinviare il viaggio per motivi di sicurezza, ed è direttamente partito per New Delhi.
Il persistere di un clima di forte tensione è confermato anche dal fatto che ieri la polizia e l'esercito, con il sostegno di elicotteri da combattimento, hanno ricevuto l'ordine di sparare a vista in caso di disordini nel distretto di Kandhamal, dove era previsto l'arrivo del ministro dell'Interno dell'Orissa per visitare i luoghi delle violenze. Il Governo locale ha annunciato l'invio di ulteriori rinforzi delle forze speciali. Una notizia accolta con favore dal vescovo Cheenath: "La presenza della polizia - ha spiegato - porta maggiore sicurezza, e tutti ci auguriamo che duri anche in seguito". Anche perché continuano ad arrivare notizie di altre aggressioni ai danni di sacerdoti, e di nuovi scontri nel distretto di Kandhamal.
Intanto molti analisti si stanno interrogando in queste ore sulle contraddizioni nascoste del subcontinente e sui problemi relativi all'assetto federale del Paese, che rischia di portare alcune regioni fuori controllo. Le cronache delle violenze, ricostruite anche da organizzazioni umanitarie, parlano di quattordici morti tra i cattolici in Orissa. E nel distretto di Kandhamal, dopo i roghi di case, ospedali e orfanotrofi, si profila anche un'emergenza umanitaria. Sono molte le richieste giunte all'opera di diritto pontificio "Aiuto alla Chiesa che soffre", che dopo gli attacchi dello scorso dicembre aveva già speso quattro milioni di euro per ricostruire gli edifici danneggiati o distrutti. Mancano acqua, vestiti, acqua potabile, e la pioggia non facilita le condizioni di vita di quanti sono sfuggiti alle aggressioni nascondendosi nella foresta.
La gravità della situazione in Orissa è evidente, ma secondo diversi osservatori si tratta solo della manifestazione più acuta di una realtà estesa in tutto il Paese.
Gli scontri a sfondo religioso sono all'ordine del giorno, e certo non da oggi, anche se è stata notata negli ultimi tempi una recrudescenza dell'estremismo induista ai danni non solo di cristiani ma anche di musulmani e buddisti. Nel caso dei cristiani, a rendere più acuti i contrasti c'è l'assistenza ai più poveri, attività avvertita come un pericolo per quanti credono fortemente nella divisione della società in caste. Ad alimentare motivi di scontro è in particolare la questione dei dalit, gli schiavi "fuori casta". La Costituzione indiana riconosce la libertà di culto ma gli Stati federati hanno in alcuni casi nella loro legislazione norme che sanzionano le conversioni dall'induismo a favore di altre fedi. A preoccupare particolarmente in questi giorni è anche il potenziale rafforzamento di suggestioni neonaziste che si saldano con l'estremismo induista.
Al di là di queste dinamiche, confermate dall'opinione di molti analisti in questi giorni, la discriminazione persistente nei confronti dei dalit rimane un nodo cruciale. Non è raro trovare infatti dei convertiti al cristianesimo tra i fuori casta. A molti di questi anzi sono assegnati ruoli di responsabilità e di guida delle comunità.
Un impegno che si scontra anche con le resistenze di molti indiani convertiti al cattolicesimo rimasti legati a una mentalità che non sa rinunciare alla suddivisione in caste. La Chiesa locale sta cercando di affermare il superamento delle divisioni di tipo castale nei cimiteri come nei riti funebri; allo stesso tempo si batte affinché i dalit possano assumere posizioni di rilievo o diventare preti.
In questo contesto, nello Stato del Tamil Nadu, nel sud dell'India, i presuli stanno spingendo i cattolici a contrastare le ineguaglianze prodotte dal sistema delle caste e a portare aiuto agli appartenenti alle caste più basse e ai cosiddetti "intoccabili". Il consiglio dei vescovi del Tamil Nadu in un documento ufficiale ha rimarcato come sia "dovere di tutti i cristiani rimuovere le differenze di casta e costruire una Chiesa dell'eguaglianza". La dichiarazione dei vescovi cattolici è stata letta a voce alta nelle parrocchie di tutte le diciannove diocesi dello Stato lo scorso 17 agosto, a pochi giorni di distanza dall'uccisione di un sacerdote nell'Andhra Pradesh e dall'escalation di violenza cui si sta assistendo in queste ore.
La società indiana, si ricorda, è stata costruita su un sistema castale con quattro principali livelli. Le persone al di fuori di questo sistema, che una volta venivano considerate fuori casta o intoccabili, ora sono chiamati tutti insieme dalit, termine sanscrito che sta per "calpestati". La dichiarazione dei vescovi lamentava ancora che le persone, inclusi i cattolici, continuano a praticare "l'intoccabilità" in varie forme e a vari livelli. I vescovi, fra l'altro, vogliono che vengano rimossi anche quei segni del sistema delle caste che permangono anche all'interno della vita dei fedeli locali. È il caso del divieto imposto ai bambini dalit di servire messa e alle processioni cattoliche di entrare nei luoghi dove vivono i dalit. Si chiede inoltre che venga posta una fine alla separazione dei luoghi di sepoltura, come si spiegava in precedenza, e dei veicoli funebri. Nuovi cimiteri, hanno asserito i vescovi, dovranno essere aperti a tutti. Ancora la Chiesa cattolica chiede che i dalit convertiti possano entrare a far parte dell'amministrazione delle parrocchie e dell'amministrazione della Chiesa. A tale scopo la nota afferma che i dalit dovrebbero essere incoraggiati a partecipare e a guidare i consigli delle parrocchie e di altre organizzazioni cattoliche.
I presuli chiedono inoltre alle congregazioni religiose e alle diocesi di incoraggiare le vocazioni presso i gruppi di dalit. I cristiani, come i fedeli di qualsiasi religione in India, mantengono l'identità castale e i simboli e gli abiti tipici di questo sistema. Tuttavia la Costituzione indiana proibisce la discriminazione delle caste e la pratica dell'intoccabilità. Nel documento dei vescovi del Tamil Nadu, per esempio, si sollecitano preti, religiosi e laici a lavorare insieme per fermare la discriminazione castale; il persistere di tali discriminazioni da parte di preti e religiosi, si legge nel testo, è "un grande peccato" poiché tale comportamento equivale a una contro-testimonianza evangelica.
È innegabile che dai fuori casta arrivano molti dei neoconvertiti al cristianesimo, ed è questo il motivo per il quale in alcuni Stati dell'India sono state elaborate leggi anticonversione adducendo il motivo che si tratterebbe di conversioni forzate al cattolicesimo. In realtà, come è stato confermato da molte testimonianze in queste ore, episodi di conversioni forzate sono molto limitati e ascrivibili a gruppi cristiani non cattolici.
Il lavoro della Chiesa attraverso ospedali, centri di accoglienza, scuole, ostelli si rivolge invece a tutta la società indiana ed è aperto anche ai più poveri ed emarginati. Ed è questo che alimenta i rapimenti, gli stupri, i pestaggi, gli incendi appiccati in queste ore alle abitazioni dei cristiani.

(©L'Osservatore Romano - 29 agosto 2008)

Un corteo di protesta ha sfilato a Hyderabad

Chieste altre indagini sulla morte di padre Pandipally

Hyderabad, 28.

Un corteo formato da duemila cattolici ha sfilato per le strade di Hyderabad, capitale dello Stato indiano dell'Andhra Pradesh, chiedendo maggiori sforzi alla polizia nell'indagine relativa all'uccisione di un carmelitano, padre Thomas Pandipally, avvenuta il 16 agosto, mentre si stava recando in un villaggio dell'Andhra Pradesh per celebrare la messa.
Il sacerdote era nativo della diocesi di Palai, nel Kerala, dove pure è nato il salesiano padre Johnson Prakash Moyalan, ucciso a luglio in Nepal.
L'arcivescovo di Hyderabad, Joji Marampudi, ha sottolineato che dopo diversi giorni dall'uccisione del carmelitano ancora non ci sono stati arresti e ha chiesto al Governo di ordinare un'investigazione federale. Il presule ha ricordato che il primo ministro dell'Andhra Pradesh, Reddy Rajasekhara, aveva promesso di far svolgere una investigazione speciale, ma che finora non ci sono stati risultati concreti.
Un confratello del carmelitano ucciso - che riferisce l'agenzia Uca News ha voluto parlare in anonimato - ha rilevato il disappunto della congregazione per il modo in cui si stanno conducendo le indagini.
Padre Anthoniraj Thumma, che presiede la Federazione delle Chiese in Andhra Pradesh, organo ecumenico, ha evidenziato che "è giunto il momento che i cattolici protestino su larga scala".
L'arcivescovo di Hyderabad ha anche aggiunto che l'omicidio del sacerdote è avvenuto per la gelosia che gli estremisti hanno nei confronti della Chiesa, che aiuta i popoli oppressi.
Inoltre, il presidente del Catholica Samaikya, Bal Reddy (un'unione laica cattolica) ha detto che "l'associazione è rammaricata del fatto che nessun ministro dell'Andhra Pradesh abbia apertamente criticato il brutale omicidio". Il presidente ha, tra l'altro, sottoposto un memorandum alla commissione statale per i diritti umani.
Intanto rimane ancora vivo nella memoria della comunità il sacrificio del sacerdote. In un internet post frthomaspandippallycmi.blogspot.com, creato in sua memoria, si susseguono i messaggi dei fedeli.
Il priore generale dei Carmelitani di Maria Immacolata, padre Jose Panthaplamthottiyil, ha scritto: "Abbiamo perduto un "gioiello" della nostra congregazione, ma abbiamo guadagnato un martire in cielo". E ha aggiunto: "Ora abbiamo un figlio fedele, che vive solo per Cristo e per i poveri, e che intercede per tutti in paradiso".

(©L'Osservatore Romano - 29 agosto 2008)

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