28 agosto 2008
India, la violenza continua nuovi attacchi ai cristiani (Avvenire)
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VIOLENZE ANTI-CRISTIANE IN INDIA: RACCOLTA DI ARTICOLI
LA FEDE NEGATA
India, la violenza continua nuovi attacchi ai cristiani
Appello dell’arcivescovo di Mumbay Oswald Gracias al governo per fermare i massacri. Le autorità hanno esteso il coprifuoco a varie città della regione dove sono stati inviati rinforzi
DI LUCIA CAPUZZI
Undici persone massacrate, almeno 25 chiese distrutte, orfanotrofi e centri di accoglienza bruciati o devastati, ospedali saccheggiati. Non si arresta la violenza nello stato indiano di Orissa, dove, da sabato, è in corso un vero e proprio pogrom contro i cristiani da parte di gruppi fondamentalisti indù.
Anzi, secondo quanto ha dichiarato ieri Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente dei vescovi indiani, le ostilità starebbero aumentando. Ad innescare gli scontri, è stato l’assassinio, avvenuto sabato scorso, del leader integralista indù Swami Laxanananda Saraswati e di cinque sue adepti. Gli estremisti accusano del delitto i cristiani contro i quali hanno scatenato un’ondata di terrore. In realtà, le cause dell’intolleranza religiosa sarebbero ben più profonde. Saraswati stava conducendo da tempo una campagna contro i missionari cristiani, di cui temeva l’influenza crescente soprattutto tra le classi più umili. «Vogliono impedire alla Chiesa di lavorare per i diritti umani, per i poveri – ha spiegato l’arcivescovo Gracias–. Non vogliono che la Chiesa contribuisca ad innalzare il livello di vita di questa gente: per questo ci sono problemi ». E, ha aggiunto: «Abbiamo rivolto un appello al governo affinché intervenga subito». La situazione nella regione sta precipitando. Lunedì, due missionari sono stati arsi vivi, decine i fedeli e religiosi picchiati o minacciati negli ultimi quattro giorni. L’elenco di violenze denunciate è lungo. E, lentamente, emergono nuovi, agghiaccianti dettagli. Nel villaggio di Tiangia, un cattolico – Vikram Nayak – è stato ucciso e poi fatto a pezzi. L’omicidio è avvenuto lunedì ma la notizia si è saputa solo ieri, secondo quanto riporta l’agenzia AsiaNews. Altre due persone, nella stessa località, sono state percosse così violentemente che sono morte due giorni dopo. Una folla inferocita si è, poi, scagliata contro le case dei cristiani che sono state date alle fiamme. Gran parte della comunità, terrorizzata, è fuggita nella foresta. La stessa sorte è toccata suore carmelitane, scappate nella selva dopo che il loro convento era stato attaccato. Gli incendi e le razzie sono continuate per tutta la giornata di ieri – ha raccontato ad AsiaNews Suor Karuna, fra le prime ad essere stata colpita dal terrore fondamentalista – mol- te donne sono state molestate e brutalizzate. Per far fronte all’emergenza, il governo ha deciso di estendere il coprifuoco dal distretto di Kadhamal – dove era stato imposto martedì – ad altre zone della regione, in particolare a Baliguda, Udaygiri e Raikia, dove si sono registrati gli ultimi attacchi. La polizia, inoltre, ha ricevuto l’ordine di sparare a vista chi non rispetta il divieto, mentre rinforzi e truppe in tenuta anti-sommossa sono state inviate nella regione. Misure che, però, finora non sono riuscite ad arginare le violenze. C’è perfino il timore che gruppi estremisti di altre zone, siano arrivati a Kandhamal per “dare manforte” ai radicali locali. A questi, secondo la denuncia di alcuni cristiani protestanti, si sarebbero aggiunte bande paramilitari aiutate dal governo del Chhattisghar. Anche l’esecutivo dell’Orissa è stato criticato da politici e personalità indiani per essere stato troppo lento nell’intervenire, lasciando massacrare fedeli inermi. E anche ora che la macchina governativa inizia a muoversi, la vita di tanti cristiani resta in pericolo.
© Copyright Avvenire, 28 agosto 2008
«Solo la giustizia può riportare la pace» l’intervista
Padre Babu, portavoce della Conferenza episcopale indiana: «Torni l’armonia prima che la divisione confessionale dilaghi»
DA BANGKOK STEFANO VECCHIA
Padre Joseph Babu è portavoce della Conferenza episcopale cattolica dell’India. In questi giorni ha il difficile compito di comunicare lo sconcerto e le speranze dei vescovi indiani in una situazione di rinnovata violenza nello stato orientale indiano di Orissa.
Padre Babu, i fatti dell’Orissa sembra affossare ogni possibilità di dialogo tra cristiani e indù. È così?
Occorre vedere la situazione nella prospettiva dell’intera India dove alcune organizzazioni stanno guidando l’attacco alle istituzioni cristiane con il pretesto delle conversioni. Ma non è vero. Certamente non per i cattolici. Noi abbiamo generalmente buoni rapporti con gli indù e le altre comunità religiose e non saranno le aggressioni contro di noi a convincerci a cambiare la nostra volontà di integrazione che è nei fatti e nella storia.
L’Orissa non è nuovo a questa situazione...
La tensione è scoppiata nel distretto di Kandhamal, a prevalenza tribale, già teatro la Vigilia dello scorso Natale di scontri intercomunitari e poi di una indiscriminata violenza anticristiana. Negli ultimi mesi, però, non sono stati odio o spirito di rivincita a prevalere tra i cristiani dell’Orissa. Al contrario. Tuttavia la ricerca di pace non può andare a scapito delle esigenze di sicurezza che sono nostre e delle altre minoranze, religiose o etniche.
In periodi di persecuzione come questo, sembra che l’essenza profonda dell’India, la tolleranza, iscritta nella Costituzione, diventi utopia…
La Costituzione indiana consente il cambio di religione e anche i cristiani, come tutti, agiscono nei termine della Costituzione. Non esercitiamo alcune autorità extracostituzionale. Non forziamo alla conversione. Ma tuttavia è proprio di questo che siamo pretestuosamente accusati. Proprio mentre altri cercano di portare con la coercizione nell’ambito induista i gruppi tribali animisti o che si sono avvicinati al cristianesimo. Ci sono, è vero, alcune Chiese indipendenti che sono coinvolte inattività mirate alle conversione o ad una aggressiva diffusione del Vangelo, che noi stessi denunciamo per i loro metodi, ma questo non può diventare pretesto per colpire degli innocenti.
Pretesti religiosi applicati alla sete di potere e al dominio. Come pensate le autorità possano intervenire?
Noi cerchiamo di restare nell’ambito della legalità. Ci siamo appellati al governo locale, dello stato di Orissa, e a quello federale a Nuova Delhi perché si faccia giustizia. Non dimentichiamo che all’origine di questa ondata persecutoria sta l’uccisione, il 16 agosto, di un sacerdote, Thomas Pandipally,avvenuta a centinaia di chilometri di distanza, nello stato di Andhra Pradesh. Si è cercato, sconsideratamente, di far passare la tesi che l’uccisione di Laxmanand Saraswati e di altri quattro leader hindu sia stata una ritorsione contro quel brutale omicidio.
La buona volontà sembra non bastare nell’India degli integralisti e delle coperture loro accordate. In che modo le autorità cercano di contenere le violenze?
Nel Kandhamal, sono già arrivati rinforzi di polizia. Noi abbiamo chiesto l’invio di reparti di paramilitari da distaccamenti federali e che venga estesa la consegna di sette compagnie di reparti speciali della polizia già presenti sul territorio. Dobbiamo evitare non solo che gli attacchi contro i cristiani proseguano, ma anche che una eventuale reazione inneschi una escalation dagli effetti imprevedibili.
© Copyright Avvenire, 28 agosto 2008
Scuole cattoliche chiuse per un giorno Qui si forma la classe dirigente indiana
Domani, corsi sospesi in tutto il Paese. Un gesto forte perché dai gesuiti studiano i figli dell’élite ma anche i giovani senza casta
Giorgio Bernardelli
I portoni delle scuole cattoliche chiusi: niente lezioni domani in tutta l’India. È il gesto che la Conferenza episcopale ha scelto come segno visibile della propria indignazione per quanto sta accadendo nello Stato orientale dell’Orissa. Ed è un gesto che non passerà inosservato. Perché l’impegno educativo è il volto più visibile del contributo offerto dai cristiani a tutta la società indiana. I dati ufficiali forniti dalla Chiesa cattolica indiana parlano di 3.785 tra asili nido e scuole materne, 7.319 scuole primarie, 3.765 scuole secondarie, 240 college universitari. In tutto sono oltre sei milioni gli studenti che frequentano queste aule aperte a tutti: cristiani, indù e musulmani.
Ma i numeri – da soli – dicono ancora troppo poco.
Perché le scuole dei cristiani in India sono riconosciute da tutti come le scuole migliori: la nuova classe media di Mumbai, ad esempio, fa a gara per iscrivere i propri figli dai salesiani. Però c’è anche l’altro volto, quello degli istituti per i dalit, i fuori casta. Anche questi molto spesso nati nei villaggi grazie all’iniziativa di un missionario cristiano. Sono due facce che si vedono bene anche nella stessa Bhubaneswar, la capitale dell’Orissa, di nuovo epicentro delle violenze contro i cristiani. Perché anche in questo Stato – che fu il primo ad approvare le leggi anti-conversione e che è governato da un partito locale alleato del Bjp ( il partito dei nazionalisti indù) – l’università più importante è lo Xavier Institute of Management, l’università dei gesuiti. O meglio: il moderno campus realizzato dal governo locale insieme alla Compagnia di Gesù. Hanno fatto proprio una joint-venture. Voluta dallo stesso governo che oggi è accusato di aver lasciato mano libera ai fondamentalisti. Grazie ai gesuiti, l’Orissa – una delle regioni più povere – oggi ha una delle migliori facoltà di economia dell’India. E i nazionalisti indù non hanno mai mostrato alcuna obiezione rispetto al fatto che porti il nome di San Francesco Saverio e per statuto abbia come direttore un prete. A dar fastidio è piuttosto l’altro istituto dei gesuiti a Bhubaneswar, lo Human Life Centre: perché là gli stessi religiosi promuovono l’istruzione anche per i più poveri. Dalit e tribali possono, ad esempio, frequentare lo Xavier Computer Centre e prendere un diploma in tecnologie del Web. O imparare un mestiere: la dattilografa, la sarta. Una svolta per tante ragazze indiane che non potrebbero permettersi il college e sarebbero dunque destinate a rimanere ai margini della “nuova India”. Tutto questo, domani, per un giorno si fermerà, da una parte all’altra del Paese. Nella speranza che serva a far capire che cosa vuole davvero chi oggi va in giro a bruciare e bastonare i cristiani.
© Copyright Avvenire, 28 agosto 2008
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