31 agosto 2008

All’Angelus, appello del Papa sull’immigrazione (Radio Vaticana)


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All’Angelus, appello del Papa sull’immigrazione: i Paesi di accoglienza e quelli di origine lavorino con spirito umanitario e impegno nello stroncare le cause dell’immigrazione irregolare

E’ stato un Angelus dominato da parole di grande intensità quello pronunciaro questa mattina da Benedetto XVI nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Di fronte alla consueta folla radunata del cortile, che lo ha più volte acclamato e applaudito, il Papa - colpito dalle ultime, drammatiche pagine di cronaca riguardanti gli immigrati - ha chiesto con forza ai Paesi di approdo di aprire le proprie porte con spirito umanitario e a quelli Paesi di partenza di “stroncare alle radici” quanto di criminale c’è dietro tali viaggi, che mettono a repentaglio la vita di migliaia di persone. In precedenza, riflettendo sulle forze disgregatrici che sembrano dominare nel mondo attuale, Benedetto XVI aveva invitato i cristiani a rispondere alla malvagità con la forza dell’amore che viene dalla Croce di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis:

I viaggi della speranza strasformati in incubi senza approdo. Uomini, ma più spesso donne, con i figli stretti in braccio o ancora in grembo, annidati su piccoli scafi, che sfidano forze più grandi di loro per fuggire da povertà o da guerre e che troppo spesso da quelle forze finiscono schiacciati. Da anni, purtroppo, le acque del Mediterraneo sono diventate un’immensa tomba a cielo aperto, nella quale migliaia di immigrati hanno trovato e trovano la morte. E l’ultima di queste tragedie - le 70 persone naufragate a 40 miglia dall’Isola di Malta, mercoledì scorso - hanno indotto Benedetto XVI a dedicare un lunga, accorata riflessione al termine dell’Angelus. Dopo aver stigmatizzato “l’alto numero di vittime” di queste traversate e aver ribadito come la migrazione sia un fenomeno antichissimo che ha caratterizzato da sempre “le relazioni tra popoli e nazioni”, tuttavia ha osservato il Pontefice:

“L’emergenza in cui si è trasformata nei nostri tempi (...) ci interpella e, mentre sollecita la nostra solidarietà, impone, nello stesso tempo, efficaci risposte politiche. So che molte istanze regionali, nazionali e internazionali si stanno occupando della questione della migrazione irregolare: ad esse va il mio plauso e il mio incoraggiamento, affinché continuino la loro meritevole azione con senso di responsabilità e spirito umanitario. Senso di responsabilità devono mostrare anche i Paesi di origine, non solo perché si tratta di loro concittadini, ma anche per rimuovere le cause di migrazione irregolare, come pure per stroncare, alle radici, tutte le forme di criminalità ad essa collegate”.

Inoltre, ha proseguito nella sua disamina Benedetto XVI, “i Paesi europei e comunque quelli meta di immigrazione sono, tra l’altro, chiamati a sviluppare di comune accordo iniziative e strutture sempre più adeguate alle necessità dei migranti irregolari:

“Questi ultimi, poi, vanno pure sensibilizzati sul valore della propria vita, che rappresenta un bene unico, sempre prezioso, da tutelare di fronte ai gravissimi rischi a cui si espongono nella ricerca di un miglioramento delle loro condizioni e sul dovere della legalità che si impone a tutti. Come Padre comune, sento il profondo dovere di richiamare l’attenzione di tutti sul problema e di chiedere la generosa collaborazione di singoli e di istituzioni per affrontarlo e trovare vie di soluzione”.

Prima di questo appello, il pensiero domenicale del Papa si era soffermato sulla natura del male che in molte forme si coglie nel mondo e sulla salvezza portata dall’amore “disarmato” di Gesù. Lo spunto offerto dal Vangelo di oggi - con Pietro che augura al suo Maestro di scampare dalla morte che lo attende a Gerusalemme - ha permesso a Benedetto XVI di presentare il mistero della salvezza divina, che passa attraverso una morte infame, sulla croce, del Figlio di Dio. Non si è certo trattato, ha detto il Papa tra gli applausi, di un “disegno crudele” del Padre celeste, quanto di una scelta causata dalla “gravità della malattia da cui doveva guarirci”, pagata attraverso il sangue e sublimata dalla Risurrezione. Eppure, ha continuato Benedetto XVI, “la lotta non è finita”:

“Il male esiste e resiste in ogni generazione, anche ai nostri giorni. Che cosa sono gli orrori della guerra, le violenze sugli innocenti, la miseria e l’ingiustizia che infieriscono sui deboli, se non l’opposizione del male al Regno di Dio? E come rispondere a tanta malvagità se non con la forza disarmata e disarmante dell’amore che vince l’odio, della vita che non teme la morte? E’ la stessa misteriosa forza che usò Gesù, a costo di essere incompreso e abbandonato da molti dei suoi”.

E ora quella scelta di Gesù, ha soggiunto il Papa, è responsabilità di ogni suo seguace:

“Come per Cristo, così pure per i cristiani portare la croce non è dunque facoltativo, ma è una missione da abbracciare per amore. Nel nostro mondo attuale, dove sembrano dominare le forze che dividono e distruggono, il Cristo non cessa di proporre a tutti il suo chiaro invito: chi vuol essere mio discepolo, rinneghi il proprio egoismo e porti con me la croce”.

Nei saluti in cinque lingue al termine dell’Angelus, durante i quali Benedetto XVI si è rivolto fra gli altri ai sacerdoti salesiani e alle Suore Domenicane Missionarie di San Sisto, il Papa ha avuto parole di particolare attenzione per i vescovi e i fedeli cubani che si apprestano, l’8 settembre, ad inaugurare il triennio di preparazione al 400.mo anniversario del ritrovamento, ad opera di tre indios, dell’immagine mariana di Nostra Signora della Carità del Cobre, risalente al 1612. Augurando ai fedeli cubani di essere sempre più, per intercessione della Vergine, “missionari del Vangelo in ogni circostanza della vita”, Benedetto XVI ha concluso:

“Que Dios bendiga a Cuba y a todos los cubanos!”

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