30 agosto 2008

Rischio cristianofobia. La sfida della Chiesa (Vailati)


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Rischio cristianofobia La sfida della Chiesa

Monsignor Mamberti: dall'India un messaggio inquietante «Combattere tutte le forme di attacco alla libertà religiosa»

dall'inviato

Piero Vailati

RIMINI La libertà religiosa, qualunque religione essa riguardi, è il fondamento di tutte le libertà. Per questo le persecuzioni di questi giorni nei confronti dei cristiani in India diventano un messaggio inquietante per l'intero pianeta, come lo sono quelle di cui si parla meno: dal Pakistan (dove ragazze giovanissime vengono rapite per essere costrette a sposarsi e abbracciare la religione islamica) all'Iraq, dove il milione di cristiani del 2003 si è ridotto alla metà fra chi è stato ucciso e chi è stato costretto a fuggire.
Abbinando i toni moderati e la fermezza che, opportunamente miscelati, sono l'essenza stessa della diplomazia, monsignor Dominique Mamberti – presidente della sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana – interviene da Rimini sul problema delle persecuzioni anticristiane in tutte le loro forme. Quelle violente, di cui stanno facendo le spese i cristiani della regione indiana dell'Orissa, ma anche quelle «striscianti», perpetrate nel mondo occidentale da una società secolarizzata che si rende protagonista di «gravi attacchi alla libertà religiosa» attraverso «il distacco della religione dalla ragione, che relega la prima esclusivamente nel mondo dei sentimenti, e la separazione della religione dalla vita pubblica».

Ecco allora – sottolinea monsignor Mamberti, il cui intervento al Meeting sul tema della libertà religiosa era previsto da tempo, ma ha assunto toni di drammatica attualità alla luce delle vicende indiane – la necessità di «combattere con efficacia la cosiddetta «cristianofobia», alla stessa stregua «dell'islamofobia e dell'antisemitismo». L'espressione «cristianofobia» comparve per la prima volta nel 2003, in una Risoluzione del Terzo comitato dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si occupa specificamente ogni anno del tema della libertà religiosa e al quale la Santa Sede partecipa regolarmente.

Dopo di allora, rileva Mamberti, il termine (che in quella circostanza fu appunto associato a islamofobia e antisemitismo) è riapparso in diversi documenti sia dell'Onu, sia di altri organismi internazionali, senza peraltro essere mai definito: «Tutto considerato – osserva il diplomatico vaticano – mi sembra che esso consista in una serie di comportamenti raggruppabili in tre ambiti: l'erronea educazione, o addirittura la disinformazione sui cristiani e la loro religione; l'intolleranza e la discriminazione subìta dai cittadini cristiani, segnatamente a causa della legislazione o di provvedimenti amministrativi, rispetto a quanti professano altre religioni, oppure non ne seguono alcuna; e poi le violenze e la persecuzione»

La condanna di Benedetto XVI

Violenze e persecuzioni come quelle scoppiate nello Stato indiano dell'Orissa che, ricorda Mamberti, «hanno indotto il Santo Padre a condannare con fermezza ogni attacco alla vita umana, la cui sacralità esige il rispetto di tutti e a esprimere spirituale vicinanza e solidarietà ai fratelli e alle sorelle nella fede indiani, così duramente provati».
Ma il tema delle persecuzioni contro i cristiani, e più in generale della libertà religiosa, non è una novità negli interventi di Benedetto XVI, che già in gennaio, ai rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (176 Stati, ai quali si aggiungono le Comunità europee e il Sovrano militare ordine di Malta, mentre Federazione russa e Organizzazione per la liberazione della Palestina sono rappresentate da missioni speciali), ha ricordato che «la libertà religiosa, esigenza inalienabile della dignità di ogni uomo e pietra angolare nell'edificio dei diritti umani, è spesso compromessa. La Santa Sede la difende e ne domanda il rispetto per tutti, preoccupata per le discriminazioni contro i cristiani e contro i seguaci di altre religioni». Parole nel solco del suo predecessore Giovanni Paolo II, che nel 2003 definì la difesa della libertà religiosa come la «cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani».

«Dalla politica risposte fragili»

Ma le sfide alla libertà religiosa, rileva ancora Mamberti, «non si trovano solo fuori dal giardino della nostra casa occidentale»: di qui l'esigenza di «una sana laicità», che comporti «la distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato senza che ciò renda Dio un'ipotesi privata o escluda la religione e la comunità ecclesiale dalla vita pubblica».
Un rischio di cui, a livello europeo, si è fatto portavoce Mario Mauro (vice presidente dell'Europarlamento, che ieri ha introdotto l'intervento di monsignor Mamberti), promotore a Bruxelles di una Risoluzione «sui gravi episodi che mettono a repentaglio l'esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose», nell'intento di lanciare «un messaggio politico ai responsabili di tali episodi, ma anche alle stesse istituzioni europee, non sempre immuni da una sorta di pregiudizio antireligioso e, in particolare, anticristiano».

È quanto succede anche oggi con le persecuzioni in India. Di fronte alle quali, rileva Mauro, «la politica ha saputo dare solo risposte fragili e i governi spesso non sono andati oltre inutili e impacciati silenzi».

© Copyright Eco di Bergamo, 30 agosto 2008

Non possiamo fare altro che ringraziare l'Eco di Bergamo per il magnifico lavoro che ci offre quotidianamente.
R.

1 commento:

euge ha detto...

Purtroppo, temo che la cristianofobia non sia più un rischio ma, qualcosa di tangibile di evidente. Non sò quale sia il livello ma, questo sentimento dilaga con molta facilità. Ho avuto modo di farne un riscontro personale per nulla piacevole ed inaspettato. In pratica, pare che di tutti i mali del mondo o quasi, ne abbiano colpa i cristiani e la loro religione. Mi viene da pensare che forse, in passato abbiamo messo a disposizione di troppi le nostre guance e che forse come cristiani non abbiamo il coraggio o non lo vogliono trovare, per rispondere con forza sia pure pacatamente, a questa triste situazione.