28 agosto 2008

Il Papa «studia» la morte di Gesù e invita a Castel Gandolfo due esegeti luterani e i suoi ex studenti (Guerriero)


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anticipazione

E il Papa «studia» la morte di Gesù

Le ricerche dei due autori tedeschi vanno nel senso di un accordo tra i risultati del metodo storico critico e le esigenze della fede

In vista del secondo tomo su Cristo, Benedetto XVI invita a Castel Gandolfo due esegeti luterani esperti del Vangelo di Giovanni, già suoi colleghi a Tubinga: Peter Stuhlmacher e Martin Hengel.
Con loro discuterà della consapevolezza che il Salvatore aveva della croce


DI ELIO GUERRIERO

Si svolgerà a Castelgandolfo dal 30 agosto al 1° settembre l’annuale incontro del Papa con i suoi allievi, il Ratzinger Schuelerkreis.
Due gli argomenti proposti quest’anno alla riflessione della trentina di invitati: la storicità di Gesù e la coscienza che egli aveva della sua morte.
All’incontro sono stati invitati due esegeti evangelici, Martin Hengel e Peter Stuhlmacher, esperti di queste tematiche e docenti emeriti all’università di Tubinga, dove Ratzinger stesso insegnò intorno al Sessantotto.
L’incontro, che avrà così anche un significato ecumenico, aiuterà il Papa ad approfondire due tematiche, molto dibattute dagli esegeti, in vista della stesura della seconda parte del suo libro su Gesù di Nazaret.

La storicità di Gesù

Nella premessa al suo volume, pubblicato l’anno scorso da Rizzoli, il Papa si era già confrontato con il metodo storico critico, definendolo una delle dimensioni fondamentali dell’esegesi che ha permesso di approfondire le conoscenze della Scrittura. D’altro canto la distinzione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, introdotta dagli esegeti, può rivelarsi perniciosa. Contro la distanza – che ad alcuni esperti appare insuperabile – tra storia e teologia, il Papa faceva appello al rabbino Jacob Neusner. Spostando l’accento degli esegeti, questi affermava: solo in quanto Gesù è stato riconosciuto dai discepoli come Figlio di Dio e come tale è adorato ancora oggi dai cristiani, è interessante confrontarsi con la sua storia. Nella stessa linea vanno anche le ricerche di Martin Hengel sulla storiografia protocristiana. Nella lezione inaugurale del suo insegnamento a Tubinga, intitolata Il Figlio di Dio (Paideia, 1984), l’autore evidenziava il legame profondo tra storia di Gesù e fede cristiana. Di conseguenza ne deduceva la rivalutazione della storicità di Gesù, ma anche una nuova attenzione all’intenzione teologica degli evangelisti e degli autori del Nuovo Testamento. A conclusione dell’opera Hengel riassumeva il suo pensiero nelle seguenti tesi: l’espressione metodo storico-critico è ampia e problematica, non la si può accettare senza riserve; la ricostruzione e l’interpretazione storica portano necessariamente a delle semplificazioni di fatti in origine molto più complessi; gli scritti raccolti nel Nuovo Testamento sono le fonti più antiche, il documento base di quella predicazione su cui poggia la Chiesa.
Le ricerche di Hengel si sono poi estese al Vangelo di Giovanni, sul quale è intervenuto anche Stuhlmacher. Se ne può dedurre che l’attenzione del confronto verterà soprattutto sul Vangelo di Giovanni e sulla sua presentazione della morte di Gesù, che già da tempo il Papa ha posto al centro della sua visione teologica.

La coscienza di Gesù sulla sua morte

La domanda di Gesù ai discepoli alle porte di Cafarnao dice che il Maestro di Nazaret era interessato a trasmettere ai discepoli una corretta visione di se stesso e della sua missione. Il suo plauso alla risposta di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», manifesta inoltre che Gesù aveva coscienza della sua morte e la interpretava nella linea del servo sofferente di cui parla Isaia. Secondo il profeta questo servo offrì la sua vita in espiazione per molti. Sconfitto e umiliato agli occhi di Israele e delle nazioni, egli era invece in stretta relazione con Dio.
Parimenti il destino di Gesù, come il Risorto spiega ai discepoli di Emmaus, risponde alla volontà di Dio manifestata nella Scrittura. Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella gloria? La morte del Figlio rientrava dunque nei piani di Dio e Gesù ne era pienamente a conoscenza. Come sottolinea in particolare Luca, egli fin dall’infanzia pose l’obbedienza al Padre al vertice delle sue priorità e, una volta divenuto adulto, non si sottrasse all’ora per la quale era venuto. Questa concezione è fondamentale per la fede cristiana.
Dice che Gesù andò liberamente incontro alla morte e proprio in questo modo il suo sacrificio fu gradito a Dio. È anche questa la ragione per la quale la sua morte è ancora oggi di salvezza per gli uomini.

La familiarità con Cristo

La morte di Gesù è già attraversata, secondo il Papa, dai bagliori della risurrezione. Essa avviene nelle mani del Padre, di modo che può divenire il fulcro dell’Eucarestia e di ogni celebrazione liturgica. Ha scritto Robert Taft: «secondo il Nuovo Testamento la vera liturgia dei seguaci di Gesù Cristo è proprio il Signore incarnato e salvatore nel suo darsi, nella sua obbedienza che riconcilia con la volontà del Padre».
San Paolo aggiunge poi un altro pensiero fondamentale: la liturgia cristiana genera Gesù Cristo in noi. Di qui il Papa deduce la contemporaneità di ogni fedele con Cristo e ancora di più la familiarità con lui. Nella sua visione, dunque, Gesù non è solo un personaggio della storia, un giusto e un predicatore del passato, bensì il Figlio che è tale oggi, ieri e per l’eterno. Per questo i fedeli possono accostarsi a lui con fiducia, ringraziarlo per il suo sacrificio e parlare al suo cuore. In questa linea si muoveranno con ogni probabilità tanto il prossimo sinodo sulla parola di Dio quanto la seconda parte del libro del Papa su Gesù.

© Copyright Avvenire, 28 agosto 2008

FOTO: Caravaggio, "Cena in Emmaus"

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