27 agosto 2008
India, card. Tauran: «Risponderemo con la carità». Mons. Ranjith: «Il dialogo vero antidoto all’odio» (Muolo)
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Riprovazione per le violenze contro la Chiesa cattolica, solidarietà alle popolazioni colpite e un appello perché si ponga fine alle sopraffazioni. È la posizione espressa ieri dalla Santa Sede in relazione alle aggressioni sempre più gravi che si registrano in alcune zone dell’India. «In riferimento alle tragiche notizie di violenze contro fedeli ed istituzioni della Chiesa cattolica – si legge in un comunicato della Sala Stampa vaticana – la Santa Sede, mentre esprime solidarietà alle Chiese locali e alle Congregazioni religiose coinvolte, riprova queste azioni che ledono la dignità e la libertà delle persone e compromettono la pacifica convivenza civile». Nello stesso tempo, prosegue la nota, «fa appello a tutti affinché, con senso di responsabilità, si ponga fine ad ogni sopraffazione e si ricostituisca un clima di dialogo e rispetto vicendevole ».
Sull’argomento, sempre ieri, è intervenuto anche il cardinale Jean-Loius Tauran.
«I cattolici risponderanno alle violenze – afferma dalle colonne de L’Osservatore Romano – Lo faranno, come sempre, con la carità, con la vicinanza ai più poveri, ai diseredati». «Tuttavia, di fronte ai tragici avvenimenti di queste ore, occorre che la comunità internazionale prema sul Governo indiano al fine di fare rispettare le disposizioni contenute nella Costituzione indiana a tutela della libertà religiosa».
Anche il nunzio apostolico a Delhi, monsignor Pedro López Quintana, in una intervista alla Radio Vaticana, spiega che dietro l’escalation di questi giorni «ci sono dei gruppi fondamentalisti, anche di matrice nazista, il cui scopo è di creare e imporre uno Stato fondamentalista ». La religione, dunque, «viene utilizzata come uno strumento di manipolazione».
(M.Mu.)
DA ROMA MIMMO MUOLO
«Sì, la situazione è allarmante, ma non bisogna disperare. Queste violenze non sono il frutto dell’ostilità del popolo indiano, ma solo di alcuni gruppi di fondamentalisti. È perciò necessario continuare nell’opera di dialogo, per impedire che l’odio, frutto dell’ignoranza, si estenda».
Monsignor Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, segretario della Congregazione per il culto divino e i sacramenti, pur vivendo a Roma, si tiene in costante contatto con i suoi amici vescovi indiani. E dà una sua lettura precisa della si- tuazione. Il presule, 60 anni, nativo della diocesi di Kurunegala nello Sri Lanka, ha visitato spesso le vicine Chiese indiane, comprese le zone colpite dagli attacchi anticattolici di questi giorni. Perciò è in grado di parlare con cognizione di causa.
Eccellenza, perché secondo lei questa compagna di odio è frutto dell’ignoranza?
Perché da parte di questi gruppi di fanatici si tende da un lato ad assimilare il cristianesimo alla cultura occidentale secolarizzata, dall’altro a confondere la Chiesa cattolica con alcune sette che operano senza alcun rispetto per la cultura e gli usi del luogo.
Dunque la causa sarebbe duplice.
Certo. Va detto, però, che alla base di tutto c’è un’opera di strumentalizzazione a fini politici e sociali, operata dai gruppi più fondamentalisti dell’induismo. In sostanza essi sfruttano la paura della gente che la globalizzazione possa radicalmente cambiare lo stile di vita e i valori tradizionali. E poiché la globalizzazione, dicono, è figlia dell’Occidente e questo Occidente viene identificato con la religione cristiana, ecco che si crea il corto circuito. Occidente uguale Chiesa cattolica, cioè l’istituzione cristiana più presente in India.
E le sette come si inseriscono in questo discorso?
Le sette, specie quelle che nelle forme e nei metodi ricordano un certo pentecostalismo, usano spesso un approccio poco prudente verso la tradizione e la cultura locale. Ecco, dunque, l’accusa di proselitismo, attribuita ai cattolici. Poiché anche queste sette usano il nome di Gesù, è facile accostarle alla Chiesa cattolica, commettendo errori ed equivoci che – come si è visto in questi giorni – possono produrre effetti tragici.
Quali sono i suoi sentimenti in questo momento?
Sono molto addolorato, ma – lo ripeto – non bisogna disperare. Ogni violenza va assolutamente condannata, ma accanto a ciò dobbiamo sforzarci di non perdere di vista il dialogo, isolando così le frange più estreme. La violenza, del resto, è un segnale di debolezza da parte di chi la usa. Se, infatti, come ricordava anche il Mahatma Ghandi, uno è profondamente convinto della sua identità religiosa, non ha bisogno di difendersi attaccando gli altri, né teme che altri possono fargli cambiare idea.
Qual è la strada da seguire per porre fine alle aggressioni?
C’è una strada per così dire ' politica'. Siamo ormai di fronte a un problema abbastanza esteso e dunque è necessario che la comunità internazionale e le sue espressioni più alte (penso ad esempio all’Onu) facciano pressioni sulle autorità indiane, affinché assicurano la libertà e l’incolumità della comunità cattolica. Una presa di posizione netta e chiara in questo senso sarebbe molto importante. Ma c’è soprattutto una via del cuore, che è forse la più difficile da seguire, ma anche quella decisiva per promuovere un effettivo cambiamento.
E cioè?
La via del cuore è quella del perdono, l’unica davvero efficace. Cercare le cause della violenza, capire le ragioni dell’altro e trovare insieme una soluzione, chiarendo nel contempo quegli equivoci di cui si diceva in precedenza e cioè che i disvalori del secolarismo non sono figli del cristianesimo, ma esattamente il suo opposto. A mio avviso siamo ancora in tempo, perché a fomentare le violenze sono solo piccoli gruppi. Il popolo indiano nel suo complesso non la pensa così, ma può essere influenzato negativamente da chi propaga l’intolleranza religiosa.
Che cosa può fare la comunità ecclesiale internazionale?
È assolutamente necessario far avvertire alle Chiese perseguitate che esse non solo sole. Vicinanza, solidarietà, preghiera e aiuti sono indispensabili. Se i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i tanti laici di quelle diocesi avvertiranno questo clima intorno a sé, sicuramente potranno affrontare la prova molto meglio. E anche le autorità locali e internazionali saranno stimolate ad intervenire perché siano rispettati i diritti delle minoranze, compreso quello fondamentale alla libertà religiosa.
© Copyright Avvenire, 27 agosto 2008
IL FOGLIO
«PERSECUZIONE CHE NON FA NOTIZIA»
«Quello che è certo è che esiste una persecuzione contro i cristiani in India, come ce n’è una in Turchia e in altre zone del mondo, compreso l’Iraq».
A scriverlo, nell’edizione di ieri, è il quotidiano “Il Foglio”. «Le persecuzioni contro i cristiani non fanno notizia, – si legge in un editoriale sulle drammatiche notizie provenienti dall’India – forse perché contrastano con la vulgata degli occidentali oppressori e delle povere vittime inermi e innocenti del terzo mondo».
Secondo “Il Foglio” esiste una «sottovalutazione dell’opinione pubblica» di quanto sta accadendo.
«Tutti sanno – si legge ancora – l’impegno profuso in India dai cattolici a sostegno degli ultimi, che ha avuto come simbolo madre Teresa di Calcutta.
Pochi, invece, conoscono le condizioni terribili nelle quali operano le missioni e le comunità cristiane sottoposte a ogni genere di vessazione e esposte inermi alla violenza dei fanatici. Sarebbe ora che di questo si parlasse, per spirito di verità e di giustizia, e non solo in qualche trafiletto in nona pagina».
© Copyright Avvenire, 27 agosto 2008
le reazioni
«Una vergogna per l’India»
Il cardinale Gracias: «Queste vendette sono pura follia, atti barbari e perversi»
DA NUOVA DELHI
«Come è possibile che il governo non abbia previsto in tempo la situazione e preso tutte le misure per fermare questo caos ricorrente? » : le parole di condanna arrivano dal cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale dell’India, al- l’indomani delle violenze anticristiane nello Stato di Orissa. Interpellato dall’agenzia AsiaNews, Gracias ha definito le violenze « una vergogna per la nostra patria, una macchia sull’immagine dell’India. La comunità internazionale rischia di vederci come un Paese dove il governo tarda ad intervenire e dove la polizia è inefficace » .
Dal cardinale arriva anche la condanna dell’assassinio di Swami Laxamananda, della cui morte sono stati accusati i cristiani e che ha scatenato le violenze dei fondamentalisti indù. « La Chiesa indiana – ha spiegato – ha immediatamente condannato l’uccisione del Guruji. Ma la Chiesa non ha mai preso parte ad alcuna violenza. Queste vendette contro i cristiani sono pura follia » . Gli atti di violenza, ha concluso Gracias, sono « barbari e perversi»: «Il personale religioso femminile ha donato tutta la vita per promuovere lo sviluppo di quelle persone che le hanno assalite; le nostre suore hanno dato dignità a queste persone con i loro servizi sociali e sono state brutalizzate. Tutto ciò è davvero diabolico».
Parole di condanna per l’omicidio di Swami Laxmanananda sono state pronunciate anche da monsignor Thomas Thiruthalil, presidente della Conferenza episcopale dell’Orissa: « La comunità cattolica in Orissa è terribilmente scioccata dal brutale assassinio di Swami Laxmanananda e di quattro suoi compagni » . Il vescovo ha chiesto « alla popolazione di mantenere la pace e l’armonia. È il momento che il popolo di Orissa superi le differenze di casta, credo e cultura per lavorare insieme per la pace, la tolleranza, l’armonia e la solidarietà tra tutti noi » .
© Copyright Avvenire, 27 agosto 2008
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