28 agosto 2008

Se rischia la libertà religiosa. Analisi delle parole chiarissime e misurate di Benedetto XVI (Rosati)


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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Se rischia la libertà religiosa

Domenico Rosati

Il Papa ha usato parole chiarissime e misurate: un deplorevole assassinio e una spirale di violenze colpiscono i cristiani, e le loro opere, in una regione dell’India dove pure gli insediamenti religiosi sembravano aver attecchito senza eccessivi traumi; o senza che i traumi diventassero visibili. Quanto sta accadendo nel continente indiano è infatti materia drammatica e complessa, non liquidabile con qualche frase di deplorazione. C’è bisogno di un’analisi che comprenda tutti i fattori in campo rifuggendo da visioni unilaterali e semplificate. Quelle che portano, in genere, ad alzare barriere invece di gettare ponti di comprensione e di dialogo. Qualche commento ai fatti ha dato l’impressione della riproduzione di un disco già ascoltato: il tema dello scontro di civiltà, svolto fino alle ultime conseguenze a proposito della questione islamica, specie dopo l’11 settembre, viene ricalcato a proposito di una questione induista assunta come nuova ed inedita emergenza. Da fronteggiare con l’apertura di un nuovo fronte o, chissà, di una nuova guerra preventiva, da combattere magari sul più comodo territorio di operazioni di casa nostra con qualche esercizio di caccia all’indiano? La tentazione è forte e gli ingredienti non mancano sia sul piano culturale che su quello delle utilità politiche. Tanto più che a bersaglio delle violenze sono stati presi i simboli di una presenza religiosa (e sociale) che non innalza vessilli di combattimento ma si svolge secondo una dinamica di carità e di promozione umana.
A fare d’ogni erba un fascio si rischia però di smarrire il senso della drammaticità che il problema delle conversioni alla fede cristiana, intesa nel suo messaggio di fraternità e quindi di uguaglianza tra le persone, rappresenta per chi è ancorato ad una visione del mondo marcata, all’origine, da una insuperabile incomunicabilità tra caste dissimili e gerarchicamente stabilite. Ancora una volta nella storia il Vangelo di Gesù sconvolge i pensieri e le regole dell’ordine costituito; ed ancora una volta c’è una reazione di persecuzione e di morte.

Probabilmente a questo si riferiva Benedetto XVI quando collocava l’azione della Chiesa «tra impegno missionario e affanno delle nazioni». È uno spunto che si riflette sui due versanti. Quello missionario non sopporta, non sopporta più dopo la fine del colonialismo, pratiche di proselitismo aggressivo, nelle quali sembrano distinguersi in India e altrove alcune agenzie protestanti.

Quanto all’affanno delle nazioni, non è che non veda come, all’interno delle singole situazioni, sia possibile cogliere alcune contraddizioni che permettano, quantomeno, di scongiurare nell’immediato l’epilogo cruento e quindi di procedere nella ricerca di più estese condizioni di convivenza e di collaborazione.

Sotto questo profilo è importante mettere in rilievo, come ha giustamente fatto il quotidiano «Avvenire», la contraddizione che si determina tra il ricorso a misure di esecuzione sommaria, come quelle denunciate, e il vantato carattere democratico dell’India moderna, così come è venuta emancipandosi dall’impero inglese e come è venuta a costituirsi alla luce di un insegnamento strutturalmente non violento come quello di Gandhi. La gestazione delle democrazie nelle aree un tempo soggette alla dominazione coloniale ha tempi e modi diversi da quelli conosciuti in Occidente. Se però i valori acquisiti sono davvero comuni - e tra essi in primo luogo c’è la libertà religiosa, che comprende anche la possibilità di cambiare confessione - si deve lavorare, chi può e chi deve, per colmare le distanze e non per ampliarle. L’idea dell’esportazione della democrazia per via militare ha fatto del resto le sue prove e non con esiti brillanti. L’altro percorso, quello del dialogo paziente e fiducioso che muova dalla realtà di punti di partenza dissimili e cerchi il modo di convergere su un comune concetto di umanità, non è stata sin qui né frequentata né esplorata. Una classe dirigente che si proclama democratica, come quella che oggi regge le sorti di un continente indiano in via di impetuosa crescita economica e culturale, non può non avvertire essa stessa per prima - e comunque va aiutata a farlo - il bisogno di costruire rapporti civili che rispettino in ogni caso le scelte di coscienza dei cittadini. Nessuno ha il diritto di chiedere abiure clamorose o rinunce alle tradizioni più praticate. Quando civiltà diverse si incontrano, ciascuna riceve qualcosa dell’altra; e nulla resta come prima. Tra impegno missionario e travaglio delle nazioni anche questo drammatico passaggio in India può essere davvero decisivo.

© Copyright Il Mattino, 28 agosto 2008 consultabile online anche qui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

PIME: digiuno e preghiera in unione coi cristiani dell’India
Veglia il 5 settembre alle ore 18 a Milano. Una lettera di solidarietà al card. Vithayathil, presidente della Conferenza dei vescovi indiani. Con una proposta ai politici italiani.
http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=13082&size=A
Alessia