3 settembre 2008

Mons. Sanna: "Dalla prossima visita di Benedetto XVI un messaggio per tutte le diocesi della Sardegna" (Osservatore Romano)


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Dalla prossima visita di Benedetto XVI un messaggio per tutte le diocesi della Sardegna

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di Ignazio Sanna
Arcivescovo di Oristano

Il prossimo 7 settembre la comunità ecclesiale della Sardegna si porta idealmente a Cagliari, per dare il benvenuto a Benedetto XVI, che viene a venerare il simulacro della Madonna di Bonaria, "Patrona massima" dell'Isola. Una visita del Papa anche in una sola città sarda è sempre un evento eccezionale, che non può non suscitare sentimenti di partecipazione, di comunione, di devozione.
Le dieci ore della visita a Cagliari non permettono certamente al Pontefice di prendere contatto con la complessa realtà ecclesiale e civile dell'Isola. Fa appena in tempo a celebrare l'Eucaristia sul sagrato della basilica, a incontrare il clero e i seminaristi nella cattedrale e a salutare i giovani nel largo Carlo Felice. Il messaggio che egli rivolgerà a questa rappresentanza, tuttavia, sarà rivolto anche al popolo di Dio che vive e opera nelle dieci diocesi dell'Isola. Sarà un messaggio che accogliamo con gratitudine e sincera devozione.
Nell'ultima giornata della gioventù a Sydney il Papa ha raccomandato ai giovani presenti, e, per mezzo di essi, anche ai fedeli di tutto il mondo, di permettere allo Spirito "di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo.
Rafforzata dallo Spirito e attingendo a una ricca visione di fede, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all'edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l'amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso della loro dignità, un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall'apatia e dall'egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani".
Il Papa ci incoraggerà a coltivare la vita dello spirito e della preghiera, per poter rispondere efficacemente alle sfide della nostra stagione culturale, troppo compromessa da abitudini consumistiche e da una prevalente mentalità materialistica; a privilegiare l'attenzione alla spiritualità, per dare un supplemento di anima alle attività della nostra gente e agli impegni delle istituzioni civili. Può darsi che nell'esercizio del nostro cristianesimo, che richiede continua motivazione evangelica, ci siamo stancati e delusi, perché magari non vediamo i frutti immediati del nostro impegno. La vita cristiana delle nostre comunità, infatti, accanto a molte luci e a belle testimonianze di generosità e fedeltà, presenta anche molte ombre. Le scelte e gli orientamenti di fede si fanno sulla spinta dell'emozione, dell'influsso ambientale, della consuetudine, ma non hanno motivazioni sicure e non reggono alla prova del confronto e della tentazione. Le tradizioni religiose della nostra gente scompaiono lentamente e, forse, anche inconsciamente.
La visita del Papa aiuterà a vedere con gli occhi di Dio le vicende spirituali delle nostre comunità ecclesiali. Con lui, i fedeli della Sardegna vogliono essere ottimisti a oltranza. Vogliono chiedere al Signore che pieghi il cielo e scenda in mezzo a loro. Essi si vogliono impegnare a vincere la stanchezza del cristianesimo, ad abbandonare le vuote pratiche ritualistiche e devozionali, a purificare l'amore di Dio da manifestazioni superstiziose, ritornando allo slancio missionario della prima comunità, che apriva il cuore a Dio nella preghiera e nell'ascolto della Parola, nell'unione fraterna e nella frazione del pane (Atti degli apostoli, 2, 42). Essi si propongono di annunciare il Vangelo con la vita, condividendo le attese e le speranze della gente comune, divenendo partecipi delle loro vicende liete e tristi, e aiutandoli a scoprire il colore del cielo sulle cose della terra.
A un mondo che vuole fare a meno di Dio, il Papa ricorda che Dio è il Signore della storia. A un pluralismo religioso che tende a omologare sentimento religioso con fede cristiana, ricorda che Gesù non è un maestro di morale ma l'unico salvatore dell'umanità e che la Chiesa cattolica è l'unica Chiesa di Cristo. A un mondo che cerca di ridurre l'esperienza religiosa a sentimentalismo, irrazionalità, superstizione, ricorda la ragionevolezza della fede e la pratica spirituale di un popolo di Dio, che prega e pensa. A un mondo che subisce l'eclissi delle differenze, per cui non si distingue il giorno dalla notte, il bene dal male, l'uomo dalla donna, la famiglia dalla convivenza, il Pontefice ricorda che l'uomo non può cambiare l'ordine che Dio ha impresso nella natura delle cose. A coloro che teorizzano un'organizzazione della società "come se Dio non ci fosse", contrappone l'impegno ad agire "come se Dio ci fosse". La scienza, la tecnica, la ragione operano secondo le proprie leggi, ma queste non sono mai in contrasto con la legge di Dio.
Il Papa non si stanca di denunciare il terribile dramma della frattura tra Vangelo e cultura, nonché il pluralismo culturale oggi imperante, dovuto a diverse concezioni dell'uomo e del mondo, a diversi ideali di realizzazione umana, che relativizza e talvolta anche marginalizza la proposta cristiana. Ormai, la proposta cristiana non è la proposta per eccellenza, che dà il volto a una società, a un'epoca. È una delle tante proposte che deve convivere accanto a molte altre proposte che rivendicano il diritto di cittadinanza. La difesa e la promozione dei valori non negoziabili, come la vita, la famiglia, la libertà dell'educazione, vengono contestate come una forma di autoritarismo e di fondamentalismo. Molti valori di cultura, di chiara matrice cristiana, quali per esempio la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza, la dignità della persona umana, si sono staccati dalla loro fonte, per acquisire delle giustificazioni immanenti e razionalistiche che, per un verso, ne hanno facilitato l'universalizzazione, ma, per un altro verso, non ne hanno e non ne garantiscono la consistenza. Altri valori di provenienza dalla cultura radicale - quali la cultura del piacere, la dilatazione del desiderio, l'ateismo pratico, il soggettivismo esasperato - allargano la propria sfera d'influenza e insidiano le basi sicure e stabili dell'organizzazione di una società.
Un aspetto sul quale la parola di Benedetto XVI sarà particolarmente illuminante è l'educazione del sentimento religioso. La religiosità popolare è molto diffusa tra la nostra gente ed è quasi la custode delle tradizioni della fede e della pietà. Essa, però, per essere e rimanere valida scuola di preghiera e di manifestazione della fede, deve essere sempre animata dalla Parola di Dio.
Tra le tante parole che si propongono per dare significato alle azioni della nostra vita bisogna saper distinguere quelle vere e autorevoli da quelle false e ingannevoli, e la Parola di Dio è l'unica che non inganna. Abbiamo sempre bisogno della luce e della guida della Parola di Dio. Questa non è mai la stessa, bensì sempre nuova e sempre diversa, e, come lo scriba del Vangelo, estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (Matteo, 13, 52).
Va tenuto presente che la religiosità in quanto tale è sempre legata a esigenze dell'animo, ad atteggiamenti di subordinazione alla divinità, che spesso sconfinano in ritualismi e pratiche superstiziose. Soprattutto presso i molti santuari si coagulano questi atteggiamenti impropri, che, per quanto possano gratificare speranze, attese, sentimenti, ricordano spesso l'intervento severo di Gesù nello scacciare i venditori dal tempio (Matteo, 21, 12-13). Per ridare vigore spirituale e solido fondamento biblico alla devozione popolare, e per evitare che essa meriti il severo rimprovero di Gesù, allora, bisogna raccordarla meglio con la Parola di Dio, e, in ultima analisi, bisogna purificare la pratica della preghiera.
"Pregare - scrive Benedetto XVI nella Spe salvi - non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell'angolo privato della propria felicità. Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore che ci fa capaci per Dio e, proprio così, anche capaci per gli uomini. Nella preghiera l'uomo deve imparare che cosa egli possa veramente chiedere a Dio, che cosa sia degno di Dio. Deve imparare che non può pregare contro l'altro. Deve imparare che non può chiedere le cose superficiali e comode che desidera al momento, la piccola speranza sbagliata che lo conduce lontano da Dio. Deve purificare i suoi desideri e le sue speranze".

(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2008)

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