3 settembre 2008
Il Papa: "Come per Paolo la conversione è frutto di un incontro personale con Cristo. Il Vangelo non è filosofia nè un elenco di norme morali" (R.V.)
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Benedetto XVI all'udienza generale: come per San Paolo a Damasco, la conversione è frutto di un incontro personale con Cristo. Il Vangelo non è filosofia nè un elenco di norme morali
Ci si converte a Cristo e non a “teorie filosofiche” né a “codici morali”, esattamente come San Paolo si convertì per aver incontrato personalmente Gesù, maturando quindi l’idea di servirlo e annunciarlo con ogni sua energia. E’ l’insegnamento che Benedetto XVI ha posto a conclusione dell’udienza generale di questa mattina, in Aula Paolo VI, tenuta davanti a circa 8 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis:
C’è una porta di Damasco per ogni cristiano che sia realmente tale e cioè che abbia fatto esperienza diretta e personale dell’amore di Dio per sé al punto da orientare a questo amore tutta la propria vita. Fu così per Paolo di Tarso, nemico giurato dei primi seguaci di Gesù e poi egli stesso seguace e straordinario annunciatore delle sue parole. Benedetto XVI è stato chiaro: la conversione di San Paolo non fu tanto una questione di luci accecanti e di cadute da cavallo, quanto piuttosto di un’accecante rivelazione interiore, un incontro intimo con Cristo forte al punto da modificare radicalmente e senza ripensamenti il corso della sua esistenza. E in effetti, in questa nuova e annunciata catechesi dedicata alla conversione di San Paolo, il Papa si è soffermato a lungo su come essa vada correttamente intesa, al di là di quei, come li ha definiti, “dettagli pittoreschi” - “la luce dal cielo, la caduta a terra, una voce che chiama”, riportati dall’evangelista Luca negli Atti degli Apostoli:
“San Paolo, quindi, è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto, della quale mai potrà in seguito dubitare tanto era stata forte l’evidenza dell’evento, di questo incontro. Esso cambiò fondamentalmente la vita di Paolo; in questo senso si può e si deve parlare di una conversione”.
Il Papa ha distinto queste prime fonti da un secondo tipo, riconosciuto invece come “più autentico”, ovvero le stesse Lettere di San Paolo. In esse, l’Apostolo fa più volte cenno alla sua eccezionale esperienza. Ma, sottolinea Benedetto XVI, lo fa in modo sobrio, senza dettagli. Per San Paolo, ha affermato il Papa, quello che più importa è dimostrare che con l’evento di Damasco anch’egli è stato “testimone della Risurrezione di Gesù” e che, al pari degli altri Apostoli, anch’egli ha ricevuto da Gesù “la rivelazione e la missione” di annunciare il Vangelo “ai pagani del mondo greco-romano”. Altro dato importante, poi, è che San Paolo non usa mai il termine “conversione”. Il perché il Papa lo ha spiegato così:
“Ci sono tante ipotesi, ma per me il motivo è molto evidente. Questa svolta della sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo pensiero, ma dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto”.
L’eccezionalità dell’esperienza di San Paolo non è confinata a lui e a quell’episodio avvenuto attorno all’anno 30 dopo Cristo. Essa, ha osservato Benedetto XVI, dice qualcosa di molto importante anche ai cristiani contemporanei:
“Vuol dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale. Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo (...) Anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa. Possiamo toccare il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani (...) Quindi preghiamo il Signore perché ci illumini, perché ci doni nel nostro mondo l'incontro con la sua presenza: e così ci dia una fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il mondo”.
Dopo le brevi catechesi in altre lingue, Benedetto XVI ha terminato l’udienza generale salutando, fra gli altri, i religiosi e le religiose, figli spirituali di don Orione - che, ha detto, “ricordano quest’anno significative ricorrenze giubilari” - e i Missionari del Pontificio Istituto Missioni estere.
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