2 settembre 2008

La morte cerebrale è vera morte? Scaraffia per l'Osservatore Romano


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A quarant'anni dal rapporto di Harvard

I segni della morte

di Lucetta Scaraffia

Quarant'anni fa, verso la fine dell'estate del 1968, il cosiddetto rapporto di Harvard cambiava la definizione di morte basandosi non più sull'arresto cardiocircolatorio, ma sull'encefalogramma piatto: da allora l'organo indicatore della morte non è più soltanto il cuore, ma il cervello. Si tratta di un mutamento radicale della concezione di morte - che ha risolto il problema del distacco dalla respirazione artificiale, ma che soprattutto ha reso possibili i trapianti di organo - accettato da quasi tutti i Paesi avanzati (dove è possibile realizzare questi trapianti), con l'eccezione del Giappone.
Anche la Chiesa cattolica, consentendo il trapianto degli organi, accetta implicitamente questa definizione di morte, ma con molte riserve: per esempio, nello Stato della Città del Vaticano non è utilizzata la certificazione di morte cerebrale. A ricordare questo fatto è ora il filosofo del diritto Paolo Becchi in un libro (Morte cerebrale e trapianto di organi, Morcelliana) che - oltre a rifare la storia della definizione e dei dibattiti seguiti negli anni Settanta, tra i quali il più importante è senza dubbio quello di cui fu protagonista Hans Jonas - affronta con chiarezza la situazione attuale, molto più complessa e controversa.
Il motivo per cui questa nuova definizione è stata accettata così rapidamente sta nel fatto che essa non è stata letta come un radicale cambiamento del concetto di morte, ma soltanto - scrive Becchi - come "una conseguenza del processo tecnologico che aveva reso disponibili alla medicina più affidabili strumenti per rilevare la perdita delle funzioni cerebrali". La giustificazione scientifica di questa scelta risiede in una peculiare definizione del sistema nervoso, oggi rimessa in discussione da nuove ricerche, che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo.
Come dimostrò nel 1992 il caso clamoroso di una donna entrata in coma irreversibile e dichiarata cerebralmente morta prima di accorgersi che era incinta; si decise allora di farle continuare la gravidanza, e questa proseguì regolarmente fino a un aborto spontaneo. Questo caso e poi altri analoghi conclusi con la nascita del bambino hanno messo in questione l'idea che in questa condizione si tratti di corpi già morti, cadaveri da cui espiantare organi. Sembra, quindi, avere avuto ragione Jonas quando sospettava che la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall'interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare.
Naturalmente, in proposito si è aperta nel mondo scientifico una discussione, in parte raccolta nel volume, curato da Roberto de Mattei, Finis vitae. Is brain death still life? (Rubbettino), i cui contributi - di neurologi, giuristi e filosofi statunitensi ed europei - sono concordi nel dichiarare che la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano. Il rischio di confondere il coma (morte corticale) con la morte cerebrale è sempre possibile. E questa preoccupazione venne espressa al concistoro straordinario del 1991 dal cardinale Ratzinger nella sua relazione sul problema delle minacce alla vita umana: "Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma "irreversibile", saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica ("cadaveri caldi")".
Queste considerazioni aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri. Ma la messa in dubbio dei criteri di Harvard apre altri problemi bioetici per i cattolici: l'idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo - grazie alla respirazione artificiale - è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente. Come ha fatto notare Peter Singer, che si muove su posizioni opposte a quelle cattoliche: "Se i teologi cattolici possono accettare questa posizione in caso di morte cerebrale, dovrebbero essere in grado di accettarla anche in caso di anencefalie".
Facendo il punto sulla questione, Becchi scrive che "l'errore, sempre più evidente, è stato quello di aver voluto risolvere un problema etico-giuridico con una presunta definizione scientifica", mentre il nodo dei trapianti "non si risolve con una definizione medico-scientifica della morte", ma attraverso l'elaborazione di "criteri eticamente e giuridicamente sostenibili e condivisibili". La Pontificia Accademia delle Scienze - che negli anni Ottanta si era espressa a favore del rapporto di Harvard - nel 2005 è tornata sul tema con un convegno su "I segni della morte". Il quarantesimo anniversario della nuova definizione di morte cerebrale sembra quindi riaprire la discussione, sia dal punto di vista scientifico generale, sia in ambito cattolico, al cui interno l'accettazione dei criteri di Harvard viene a costituire un tassello decisivo per molte altre questioni bioetiche oggi sul tappeto, e per il quale al tempo stesso costa rimettere in discussione uno dei pochi punti concordati tra laici e cattolici negli ultimi decenni.

(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2008)

14 commenti:

Gianpaolo1951 ha detto...

Il concetto di morte cerebrale non mi ha mai convinto.
Troppi sono gli interessi che fanno decretare la morte cerebrale di una persona – soprattutto se giovane e sana -, quando questa morta del tutto non lo è affatto.
Si sa fin troppo bene che finché il cuore batte, dentro c’è ancora vita!
Se una persona è veramente morta, gli organi sono praticamente inutilizzabili e allora…, addio trapianti e a tutto il business miliardario che ci gira attorno (altro che umanità e carità cristiana)!!!
Non vogliatemene…, ma io da sempre la penso così!

Anonimo ha detto...

Quando il dubbio diviene iperbolico, allora ciò che detta la linea di condotta diviene la moda.
Ecco quindi che adesso la morte cerebrale non è più la fine di un essere umano e quindi ogni intervento su quest'ultimo è un atto non ammissibile.
Poco conta che in tutta questa discussione non vi sia un dato uno (il caso del 92 è semmai dimostrazione del contrario), non importa che si confonda volontariamente il coma e la morte cerebrale, l'importante è imporre il proprio concetto di "vita" malgrado tutto e tutti.
Per la cronoca molti organi sopravvivono anche all'arresto cardiocircolatorio per ore, alcuni tessuti per giorni, alcune cellule per settimane (prova ne è che quando vengono disseppelliti i cadaveri questi hanno spesso capelli, unghie e barba lunga.
Non sarà il caso allora di aspettare qualche settimana prima di inumare il caro estinto? Non vorremo mica seppellirlo tricologicamente vivo nevvero?

Gianpaolo1951 ha detto...

@ ilsanta

Vero quanto Lei asserisce, solo che di unghie, capelli, barba e qualche organo di secondaria importanza, non se ne fa niente nessuno!!!

Anonimo ha detto...

Veramente, caro ilsanta, la moda non è quella di rispettare la vita fino alla naturale conclusione, ma quella di favorire sempre più, col pretesto di una certificazione formale di morte e anche della carità cristiana, una macelleria soft su corpi ancora vivi, per compiacere interessi economici e di prestigio.
Poi cosa c'entra la sopravvivenza di alcuni organi con quella della persona? Si è sempre saputo, ma la persona non s'identifica con una parte del corpo.

Anonimo ha detto...

@Gianpaolo1951

Scusa ma non credo di aver capito bene.
Per te l'organo della vita è il cuore e basta?
Vorrei sapere quanto rimarresti in vita senza fegato o senza reni o anche semplicemente senza pelle. Quelli che tu consideri organi secondari sono tanto indispensabili alla vita BIOLOGICA quanto il cuore.

@ don Gianluigi Braga
Ritengo che il termine da Lei utilizzato, "naturale" conclusione della vita, sia quanto mai inadatto alle condizioni in cui si trovano alcuni malati terminali (non parliamo poi di chi è in morte cerebrale). Non ci vedo niente di naturale nell'essere intubati per respirare, per mangiare e per svolgere ogni altra funzione corporale.
La vera morte naturale è quella che avviene lontano da medici o ospedali. Nel momento in cui vogliamo introdurre nella nostra vita l'artificialità della medicina (beneamata x me) ci dobbiamo confrontare con qualcosa di non naturale. Chi, allo stadio terminale della propria vita, decide di farsi staccare la spina stà in realtà facendo la scielta più naturale possibile.
Lei poi dice "Si è sempre saputo, ma la persona non s'identifica con una parte del corpo." quindi una persona si dovrebbe ancor meno identificare con il cuore battente.
E' a mio avviso un errore confodere la vita biologica con l'essere "persona". Anche l'insalata che mangio a pranzo è viva, come lo era il pollo prima di essere macellato, ma non per questo riteniato sacre QUELLE forme di vita.
Ciò che distingue l'uomo da un pollo non è primariamente il muscolo cardiaco, ma il cervello.

Anonimo ha detto...

a ilsanta
Credo che Lei stia ribaltando i termini del problema. Lei parla di morte cerebrale come fosse una certezza scientifica, quando in realtà la medicina stessa ha molte incertezze. Certamente senza di essa la chirurgia sostitutiva centrata sull'espianto di organi da soggetti vivi che hanno perso la coscienza, non avrebbe avuto un seguito. I pazienti sotto ventilazione definiti arbitrariamente “cadaveri” dai medici che dichiarano la “morte cerebrale”, in realtà non lo sono né per la biologia né per la legge.

Per la biologia non lo sono perché i pazienti hanno tutti i loro organi perfettamente funzionanti. Per la legge non lo sono perché la normativa recita: “per cadavere si intende il corpo umano rimasto privo delle funzioni cardiorespiratoria e cerebrale”(Definizione di cadavere come da Circolare n. 24 del 24-06-93 esplicativa del D.P.R. 285/90).

E' noto che si conosce solo una piccola parte delle funzioni del cervello, quindi la legge 578/93 che all'art.1 dichiara: “La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo” è scientificamente assurda (Ridefinizione di morte come da L. 578/93, DM. 582/94.
Con la parola morte si accomuna artatamente il paziente vivo sotto ventilazione dichiarato in “morte cerebrale” sulla base dei protocolli di Stato, e il morto tradizionale in arresto cardiocircolatorio e respiratorio. Nel passato il morto era sempre un cadavere, nel presente il “morto cerebrale” non è un cadavere)
perché non si può dichiarare “cessata” una funzione che non si conosce.

È sempre diffile distinguere la cura "naturale" del malato, a cui è votata la medicina, dall'accanimento terapeutico, tuttavia mi sembra quanto mai semplicistico e privo di logica pretendere che la vera morte naturale possa verificarsi solo lontano dagli ospedali. Sarebbe come dire che la medicina ha cambiato il fine, non più la cura del malato, ma l'accanimento sul paziente.

Anonimo ha detto...

@don gianluigi
"Per la biologia non lo sono perché i pazienti hanno tutti i loro organi perfettamente funzionanti."
Non è vero, il cervello, che è l'organo che maggiormente ci differenzia dalle altre forme di vita, è decisamente NON funzionante in coloro dichiarati in stato di morte cerebrale. Non mi risulta ancora che la scienza affermi il contrario. Nemmeno l'articolo della Scaraffia mette in dubbio questo passaggio. Il suo articolo si basa su due casi di donne che, in stato di morte cerebrale, hanno dimostrato di poter portare avanti una gravidanza. Non si tratta di casi di "ritorno dalla morte".

"Per la legge non lo sono..."
Che per la legge esistano due gradi di morte non sposta di una virgola il concetto, anzi lo esalta. Esiste una morte della persona in quanto essere senziente (morte cerebrale), esiste la morte degli organi principali (e quindi un cadavere) esiste la morte dei tessuti (non definita a livello normativo, non per nulla tirare in ballo le norme per dimostrare ragioni tecnico/scientifiche è decisamente pericoloso).

"quindi la legge 578/93 ... è scientificamente assurda"
Basta portare delle prove convincenti per poter cambiare una teoria scientifica, l'articolo citato non ne porta alcuna.

"Con la parola morte si accomuna artatamente ..."
Ha appena detto che a livello normativo c'è una distinzione netta non vedo di cosa si debba dunque preoccupare.

"È sempre diffile distinguere la cura "naturale" del malato, a cui è votata la medicina, ..."
Spiacente di deluderla, la medicina è votata alla cura del paziente e basta, alla cura "naturale" sono votate molte di quelle pratiche oggi in voga che di medico scientifico hanno poco o nulla.

"mi sembra quanto mai semplicistico e privo di logica pretendere che la vera morte naturale possa verificarsi solo lontano dagli ospedali ..."
Se lei tira in ballo il termine naturale dovrebbe darne anche una spiegazione.
Cosa c'è di "naturale" in un respiratore artificiale, in un catetere o in una semplice iniezione?
Inoltre vorrei farle notare che non ho mai identificato la cura medica (innaturale ma, almeno x me, graditissima al momento del bisogno) con l'accanimento terapeutico.

Anonimo ha detto...

Una cosa che mi ha sempre incuriosito è sapere quali siano le evidenze scientifiche che certificano che la morte cerebrale è morte a tutti gli effetti. La Scienza sa benissimo che le "evidenze" possono essere interpretate dallo scienziato, e talvolta in modo errato. Perché qui siamo intorno ad un serpente che si morde la coda: il concetto di "morte cerebrale" (“scientifico”) per avvallare quello di "morte" (“etico-biologico”). Invece sappiamo bene che la morte cerebrale è d'avvallo "etico" per il prelievo di organi che deve essere sempre a cuore battente, altrimenti l'organo è inutile. Il riconoscimento della morte cerebrale può essere svolto in Italia perfino da semplici tecnici, e la durata dell'accertamento è solo 6 ore! Questa pratica, unita all'imbroglio del silenzio-assenso, è barbara e fa talora somigliare i nostri ospedali a delle macellerie di Stato.
Sarebbe invece più corretto che si desse interamente all'individuo la responsabilità di "definire" la propria morte, se "cerebrale" o "cardiocircolatoria", e se autorizzare o no la donazione d'organi. Ma la disinformazione dilaga, e molti di noi vivono ignari del proprio destino di "donatori per forza".

Anonimo ha detto...

I trapianti sono. "una moda per compiacere interessi economici e di prestigio"?

Be' probabilmente anche curare un diabetico o un bimbo con una malattia genetica. Mi terrorizza il fatto che nei siti "contro la predazione degli organi" si propagandino medicine alternative (spesso incompatibili tra di loro) senza uno straccio di base scientifica, l'idea di fondo è la stessa.

Che prove ci sono che la morte cerebrale è la morte? Be', quarant'anni in cui nessun morto cerebrale non è resuscitato. Casi come quello della donna citata sono se vogliamo una specie di trapianto: si è usato i suoi organi per proseguire una gravidanza, ma lei come persone non c'era più. Il suo utero, i suoi polmoni, il suo cuore erano vivi, ma come quelli di organi che vivono in un'altra persona. Per la biologia e' un insieme di organi, tenuti artificialmente insieme da macchine, non un organismo.

E' un concetto ottocentesco e meccancistico della vita, la vita è più della somma di organi. E il cervello è uno dei fulcri di questo. Oltre ad essere ciò che ci consente di avere un "io", di pregare, di ricevere un'anima. Che, se è immortale, in quel momento è già altrove.

Anonimo ha detto...

Vorrei esprimere la mia solidarietà alla Scaraffia per il coraggio con cui ha espresso le sue idee.
La Chiesa deve fare ancora tanta strada, tanta. E' più cristiana lei di tanti preti. L'uomo non può sostituirsi a Dio nel dare né nel togliere la vita. Dobbiamo essere tutti più umili e imparare ad accettare questa realtà anche se talvolta scomoda.

Anonimo ha detto...

a Gianni Comoretto

Lei ha citato una riga di un mio intervento che riprendeva un concetto precedente senza contestualizzarlo.

A me terrorizza il fatto che persone come Lei si pongano solo la domanda a cosa servono i trapianti? E quanto bene producono? Senza porsi minimamente il problema se venga rispettata la vita di chi viene espiantato. E anche quando medici sollevano dubbi sulla definizione di morte cerebrale, bollano questi ultimi di essere ancorati a un concetto ottocentesco e meccanicistico di vita;
non fa niente se "già nel 1989, quando la Pontificia Accademia delle Scienze si occupò della questione, il professor Josef Seifert, rettore dell'Accademia Filosofica Internazionale del Liechtenstein, avanzò forti obiezioni alla definizione di morte cerebrale. A quel convegno, quella di Seifert fu l'unica voce dissenziente. Ma anni dopo, quando il 3-4 febbraio del 2005 la Pontificia Accademia delle Scienze si riunì di nuovo a discutere la questione dei "segni della morte", le posizioni si erano capovolte. Gli esperti presenti – filosofi, giuristi, neurologi di vari paesi – si trovarono d'accordo nel ritenere che la sola morte cerebrale non è la morte dell'essere umano e che il criterio della morte cerebrale, privo di attendibilità scientifica, debba essere abbandonato".
Bel modo di essere scientifici!

Anonimo ha detto...

Vi consiglio la lettura di un illuminante articolo scritto da Eraldo Ciangherotti sul secolo xix di oggi

Anonimo ha detto...

"Senza porsi minimamente il problema se venga rispettata la vita di chi viene espiantato."
Mi scusi ma lei continua a girare attorno ad un concetto che, anche se da Lei non condiviso, Comoretto ha espresso chiaramente. Pertanto Le chiedo, quando secondo lei una persona è morta e quando possono essere espiantati gli organi? Senza questa risposta è troppo facile accusare di meccanicismo le idee altrui riparandosi dietro convinzioni fumose.

"Gli esperti presenti – filosofi, giuristi, neurologi di vari paesi – si trovarono d'accordo nel ritenere che la sola morte cerebrale non è la morte dell'essere umano..."
Qual'è allora il criterio di morte?

"il criterio della morte cerebrale, privo di attendibilità scientifica, debba essere abbandonato."
Poichè nel campo della scienza bisogna provare ciò che si dice e la sola fede non basta, sarebbe interessante verificare nello specifico quali prove scientifiche siano state addotte.
Dire che il criterio della morte cerebrale è "scientificamente inattendibile" senza dire il perchè, equivale a non dire nulla.
Ricordo ancora che nell'articolo che ha dato il via alla discussione, non c'è una sola prova che dimostri che persone in morte cerebrale si siano mai riprese....

Anonimo ha detto...

la signora scaraffia ha ottenuto un risultato fatto di lacrime e dolore per moltissime persone vere, ancora vive. Persone che e soffrono nelle corsie di orpedali, dove vengono sottoposte a qualunque tipo di (giusta, per carità) forma di analisi (parilamo di analisi spesso invasive, faticose, dolorose e logoranti) necessarie per verificare la conformità iniziale, e il successivo perdurare nel tempi dell'attesa, alle linee guida sui trapianti della comissione etica. Si tratta di una procedura che, per chi ha la disgrazia di essere ammalato in modo altrimenti irreversibile, puo' essere molto crudele. Una persona che amo è in attesa di trapianto e sto mio malgrado vivendo quello che significa. Le donazioni dopo l'articolo della Saraffia hanno subito un drastico calo. Questio significa che persone in carne ed ossa sono morte e moriranno. Vale la pena per le proprie speculazioni provocare la sofferenza e distruggere la speranza di migliaia di persone e dei loror familiari? Io al suo posto non riuscurei a poggiare la testa sul cuscino ed addormentarmi senza pensieri.