23 ottobre 2008
Arte figurativa e Vangeli: "La luce esprime il senso nascosto delle cose" (Timothy Verdon per l'Osservatore Romano)
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Arte figurativa e vangeli
La luce esprime il senso nascosto delle cose
di Timothy Verdon
Quale rapporto sussiste tra fede biblica e immagini nell'esperienza cristiana? O, per porre diversamente l'interrogativo, vi è una "visibilità del sacro" nel sistema di fede scaturito dalle Scritture giudeo-cristiane? Non sono domande banali in una tradizione che, dalle catacombe fino a tutt'oggi continua a servirsi delle arti visive, dando per certa la capacità dell'immagine di svelare significative dimensioni della realtà spirituale a cui si riferiscono i testi sacri.
Anzi, l'utilizzo ininterrotto delle arti visive al servizio della missione della Chiesa sembra presupporre il primato comunicativo suggerito da Benedetto XVI nell'Introduzione al Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica laddove insiste che "l'immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico".
I vangeli stessi sono penetrati di un insostituibile contenuto visivo, e ognuno dei quattro testi ha infatti influito sull'arte, sebbene in modi e in misure diverse. Sovente gli artisti attingono a tutti e quattro i vangeli, sovrapponendo personaggi, eventi e interpretazioni nel convincimento dell'unitarietà delle Scritture; altre volte privilegiano elementi particolari di uno dei testi canonici, traducendo in immagine la "visione" ora di uno, ora di un altro degli evangelisti.
Alcune opere riflettono Matteo, altre Marco, Luca o Giovanni - anche se nell'insieme la produzione artistica cristiana va colta - come il Nuovo Testamento stesso - nei termini di una fondamentale unità.
Le peculiarità sono facilmente leggibili laddove i singoli soggetti corrispondono a episodi specifici a questo o a quell'altro vangelo. Ogni raffigurazione dell'Annunciazione è per definizione "lucana", ad esempio, e ogni "Adorazione dei Magi" è "matteana". Tra i sinottici, l'unico a non offrire soggetti "unici" - soggetti cioè che si trovano solo nel suo testo - è Marco; il minore impatto del suo vangelo sull'iconografia è forse collegato all'uso limitato che la liturgia ne faceva prima della riforma del concilio Vaticano ii: nell'ordinamento del Messale romano del 1955, ad esempio, testi marciani vennero proclamati in appena quattro domeniche dell'anno - una situazione, questa, che riproduceva più o meno fedelmente quella della prima edizione del Messale nel 1570, la quale a sua volta sostanzialmente riproduceva il lezionario pre-tridentino.
Un'eccezione a questa regola è il celebre mosaico in San Marco a Venezia, raffigurante il Signore glorioso che reca uno stendardo con le parole di Marco (16, 15-16) con cui, al momento di ascendere, Cristo comandava agli apostoli di andare in tutto il mondo predicando e battezzando; il mosaico illustra poi la loro obbedienza al Signore, con singole scene di battesimo intorno all'orlo inferiore della cupola. Questa inusuale specificità marciana è spiegata dal luogo per cui l'opera fu destinata: la basilica in cui si conserva il corpo dell'evangelista, San Marco a Venezia, dove il mosaico sovrasta il fonte battesimale.
Il testo evangelico in assoluto più influente è quello di Giovanni, che ha arricchito il repertorio iconografico di soggetti quali le nozze di Cana, l'incontro notturno di Gesù con Nicodemo, l'incontro con la Samaritana, la resurrezione di Lazzaro, la lavanda dei piedi, il colpo di lancia, il Noli me tangere e l'incredulità di san Tommaso. Alcuni di questi soggetti sono presenti in tutto l'arco della tradizione, dai dipinti murali delle catacombe fino al barocco e oltre - Gesù e la Samaritana, per esempio, perennemente affascinante per la sua apertura al mondo non ebraico e alle donne, nonché la resurrezione di Lazzaro, carica della speranza cristiana di vita nuova. Altri temi appartengono a situazioni culturali precise: il Noli me tangere viene sviluppato soprattutto a partire dal Trecento, nel nuovo clima d'interesse psicologico per il rapporto tra Cristo e Maria Maddalena. In maniera analoga, l'incontro clandestino di Nicodemo con il Signore emerge nell'arte della riforma cattolica focalizzata sulla ricerca personale, mentre il "colpo di lancia" vibrato da Longino appare come soggetto nel periodo barocco, affascinato dall'inerente drammaticità dell'evento.
Al di là di soggetti particolari, un secondo livello d'influsso sull'iconografia, sottile ma significativo, è quello del "dettaglio giovanneo". Tutti i vangeli raccontano dell'Ultima Cena, ad esempio, ma solo il quarto nota che, tra i discepoli presenti, "uno di loro stava proprio accanto a Gesù (...) quello che Gesù amava", il quale si appoggiava al petto del Signore per chiedergli il nome del traditore (Giovanni, 13, 23-25). L'inclusione di questo dettaglio, soprattutto in immagini realizzate per refettori monastici, suggeriva una chiave di lettura personalissima: guardando a Giovanni appoggiato al petto del Salvatore, ogni membro della comunità religiosa poteva identificarsi con il discepolo amato da Gesù e vicino a lui nell'ora della prova. Nell'Europa settentrionale questo commovente momento diventò un soggetto a sé, illustrato cioè fuori del contesto narrativo della Cena.
O ancora: tutti i vangeli narrano della crocifissione, ma solo il quarto riporta le parole indirizzate da Gesù a Maria e al discepolo che egli amava: "Donna, ecco tuo figlio" e "Ecco tua madre" (Giovanni, 19, 26-27). È pertanto giovannea la formula sintetica usata sin dal medioevo per rappresentare l'evento del Calvario in pittura e scultura, che riduce la scena alle sole figure di Cristo sulla croce, Maria e Giovanni. Frequentissimo nelle croci dipinte umbre e toscane dei secoli xii e xiii, questo schema predispone una lettura profonda dell'evento, invitando a vedere la croce di Cristo come elemento strutturante in un nuovo sistema di rapporti tra persone.
Molti tentativi degli artisti di visualizzare il senso nascosto di cose e di eventi riflettono l'influsso del quarto vangelo, e la dinamica articolata nel prologo giovanneo - di una "Parola" che s'incarna, permettendo agli uomini di vedere la gloria divina - si configura come traguardo interpretativo ordinario. Praticamente ogni immagine allusiva alla natura divina di Gesù trae senso dall'enfasi cristologica del quarto vangelo, che continuamente rivela il Padre presente nel Figlio; i Cristi dei catini absidali paleocristiani, bizantini e romanici, ad esempio - enormi, totalizzanti - non fanno che illustrare l'affermazione di Gesù che "chi vede me, vede Colui che mi ha mandato" (Giovanni, 12, 45; cfr. 14, 9), e l'intera categoria iconografica del Pantocrator traduce l'asserto giovanneo che "la Parola si fece carne (...) e vedemmo la sua gloria, gloria dell'unigenito dal Padre" (Giovanni, 1, 14).
Notiamo l'ancora più fondamentale influsso del quarto vangelo nel presentare Cristo come luce degli uomini splendente nell'ostile oscurità della storia (Giovanni, 1, 4-5). Oltre all'effetto genericamente "glorioso" dell'oro nei mosaici, nelle tavole dipinte medievali e nella suppellettile liturgica, si può dire che ogni utilizzo della luce nell'ambito dell'arte cristiana - nell'architettura interna delle Chiese, nelle vetrate - si apre al mistero di Cristo; una risposta contemporanea alle parole di Giovanni è offerta dall'opera del pittore Filippo Rossi, fortemente intrisa di effetti luministici.
L'uso poi della luce come protagonista nell'arte dal rinascimento al barocco investe anche soggetti non-giovannei dell'aura del quarto vangelo. Nell'Annunciazione del Beato Angelico in una delle celle del convento di San Marco, per esempio, insieme all'angelo che saluta la Vergine entra la luce: un delicato bagliore che colma lo spazio in cui l'evento si svolge, avanzando da sinistra a destra - nel senso in cui si muove il messo divino - "luce vera che illumina ogni uomo" (Giovanni, 1, 9). Anche Caravaggio, nella Vocazione in san Matteo in San Luigi dei Francesi a Roma, si servirà di luce "giovannea" per drammatizzare l'arrivo del Salvatore nell'oscura bettola dove il peccatore Matteo è seduto con compagni dissoluti: da dietro Cristo, e seguendo il suo gesto d'invito, un largo raggio solare invade l'ambiente, rendendo visibile l'affermazione del Signore: "Io sono venuto come luce nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre" (Giovanni, 12, 46).
Nel vangelo di Giovanni più che nei sinottici il Verbo della Vita diventa infatti visibile, così che lo vediamo, lo contempliamo, lo tocchiamo con mano - come afferma la prima lettera attribuita all'evangelista. Circonfuso di luce, il testo giovanneo "dà la vista" al lettore, riempiendo la Buona Novella di immagini stratificate e duttili, chiaroscurali, visionarie; chi l'apre finisce per dire, con le parole del cieco nato, la cui guarigione è raccontata nel quarto vangelo: "Adesso vedo" (Giovanni, 9, 25).
(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)
FOTO: Caravaggio, "Vocazione di San Matteo".
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