22 ottobre 2008
Joseph Ratzinger: "Ma il cristiano non spera solo in un «mondo migliore»" (da Escatologia-Morte e vita eterna)
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IL LIBRO:
Joseph Ratzinger, "Escatologia - Morte e vita eterna", Cittadella 2008
l’inedito
Ma il cristiano non spera solo in un «mondo migliore»
«Il paradiso cattolico non si riduce ad alcun tipo di teologia politica, la cui realizzazione sia affidata all’uomo» Anche la vita eterna e l’immortalità dell’anima vanno interpretati secondo la tradizione
DI JOSEPH RATZINGER
Dalla prima edizione del volume sono passati 30 anni e nel frattempo il cammino della teologia non si è fermato.
Nel momento in cui il libro fu scritto, due profondi capovolgimenti stavano coinvolgendo gli sviluppi riflessivi riguardo al tema della speranza cristiana. La speranza veniva compresa come virtù attiva – come azione che cambia il mondo, azione dalla quale sarebbe scaturita una nuova umanità, un « mondo migliore » . La speranza divenne in tal modo politica, la sua realizzazione sembrava essere affidata all’uomo stesso. Il regno di Dio, attorno al quale tutto il cristianesimo ruota, sarebbe diventato il regno dell’uomo, il « mondo migliore » di domani: Dio non sta « in alto, ma davanti » . Se qui il pensiero teologico è sfociato in una corrente di riflessioni filosofiche e teologiche divenuta man mano sempre più forte, un secondo sviluppo si colloca interamente nell’ambito più proprio della teologia, anche se il contesto storico- culturale vi ha giocato a suo modo un ruolo altrettanto importante. La crisi della tradizione, che nella Chiesa cattolica assunse toni virulenti in corrispondenza del Vaticano II, portò all’esigenza di strutturare la fede partendo esclusivamente dalla Bibbia, prescindendo dalla tradizione. Si concluse allora che nella Bibbia non si trovava il concetto dell’immortalità dell’anima, ma solo la speranza nella risurrezione.
L’«immortalità dell’anima» doveva essere congedata come platonismo, si era sovrapposta alla fede biblica della risurrezione. Grazie a una curiosa filosofia che stabiliva l’impossibilità della presenza del tempo al di là della morte, si spiegò che la risurrezione doveva avvenire nella morte stessa. Questa teoria ha conquistato velocemente anche il linguaggio della predicazione, tanto che in molti luoghi la celebrazione di preghiera per un defunto è stata chiamata « cerimonia della risurrezione». Non vorrei ancora una volta intercettare qui l’intera controversia, anche se desidero ribadire ancora una volta qual era e qual è tuttora per me la cosa più importante. Innanzitutto non è questione di concettualità o di « platonismo » ma di una concezione strettamente teo-logica della nostra vita oltre la morte – della nostra « vita eterna » , nel senso dell’insegnamento di Gesù. Noi viviamo dunque poiché siamo associati alla memoria del Signore. Nella memoria del Signore noi non siamo un’ombra, un semplice « ricordo » , stare nella memoria del Signore significa invece: vivere, vivere in pienezza, essere del tutto noi stessi.
Ai Sadducei, i quali con una storia astrusa miravano a convincere come fosse assurda la fede nella risurrezione, Gesù dà risposta non con disamine antropologiche, di qualunque maniera esse siano, bensì con un rimando alla memoria di Dio: «A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore» (Mc l2,26s). Come tale questa concezione teologica è al contempo una concezione dialogica dell’uomo e della sua immortalità. Nella mia Escatologia mi ero confrontato con entrambe le correnti, senza dimenticare i temi importanti per un manuale, i temi di tutta la tradizione del credere, sperare e pregare, temi di cui la storia della Chiesa è ricca. Per quanto riguarda il primo tema, mi sembrava importante che l’escatologia non si lasciasse ridurre a nessun tipo di teologia politica. Ho ritenuto di potermi limitare all’essenziale dando un’indicazione del problema e ho cercato di evidenziare il significato permanente della speranza nell’azione propria di Dio entro la storia, azione che sola concede all’agire umano la propria unità interna e trasforma dall’interno ciò che è transitorio in ciò che non passa. Ma un confronto più preciso con la questione della risurrezione nella morte era indispensabile.
© Copyright Avvenire, 22 ottobre 2008
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