16 ottobre 2007
Con Benedetto XVI è la Chiesa è uscita dal conformismo dei tempi moderni
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di Gianni Baget Bozzo
Con Benedetto XVI la Chiesa di Roma è uscita dall’ansia del tempo, dalla necessità di doversi aggiornare in ogni momento sulla forma che prendeva l’opinione pubblica per rispondere a tutte le domande, anche a quelle su cui non aveva competenza. Papa Ratzinger esce dall’integrismo preconciliare e dal progressismo postconciliare, perché ritiene che il mondo viva nell’incertezza e che non spetti alla fede cristiana di offrire sicurezze surrogate. Con la fine del comunismo è finita la storia come storia dell’Occidente ed è cominciata una nuova realtà in cui la coscienza umana sa che non ha certezza per il futuro. Le grandi innovazioni di Benedetto sono silenziose, si manifestano in silenzi piuttosto che in parole. È finita la ridda dei documenti delle varie congregazioni, commissioni, consigli, che aggiornavano i fedeli aggiornando l’ultimo aggiornamento. Alla Chiesa di papa Benedetto sta l’impegno di difendere la natura umana e la persona umana dalla riduzione alla totalità della scienza e della tecnica. La Chiesa si pone come limite all’invadenza del tempo, ma non pensa in chiave apocalittica alla fine del mondo. Spera nella salvezza dell’uomo dall’uso inumano delle sue possibilità e tradizioni. Papa Benedetto vuole riportare la Chiesa nel tempo eterno: per questo mette al centro del suo ministero la liturgia come espressione piena e propria dell’esistenza ecclesiale.
Il fatto che egli abbia posto un salesiano di cui ha fiducia, Tarcisio Bertone, alla Segreteria di Stato, significa il ridimensionamento della diplomazia vaticana. Essa aveva espresso figure come Agostino Casaroli e Angelo Sodano che avevano raggiunto un’autorità propria e bilanciavano l’autorità del Papa. Il segretario di Stato che dirige il corpo della Chiesa romana non viene dalla diplomazia, come i suoi predecessori. Il motu proprio che stabilisce la non interrotta validità della liturgia tradizionale in latino come liturgia vivente vuole significare che il flusso della preghiera è inarrestabile e che trascende il tempo: non si aggiorna. Non è solo per il motivo di riassorbire lo scisma di Econe, ma è per ricordare la dimensione perenne della preghiera e della Chiesa che papa Benedetto ha voluto testimoniare la perenne validità dell’antica liturgia, testimone della dimensione metatemporale della Chiesa.
E ciò ci riconduce a Genova, la città del cardinale Giuseppe Siri, che aveva del significato la liturgia e della potenza del sacro il medesimo sentimento di papa Benedetto. Così è accaduto che Genova diventasse quello che non era mai stata dopo il Concilio, cioè una diocesi la cui storia dava garanzia per la formazione dei vescovi. La tradizione siriana veniva allora considerata come marginale e potenzialmente eterodossa rispetto alla grande linea conciliare. Ora invece Genova è diventata la riserva aurea del Vaticano. Angelo Bagnasco è arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, creata da Pio XII per l’impulso del cardinale Siri. L’arcivescovo Mauro Piacenza presiede i tesori dell’arte vaticana in Roma. E, soprattutto, Guido Marini, cerimoniere della Chiesa genovese, sostituisce Piero Marini nella funzione di liturgo del Papa, mentre Domenico Calcagno diviene il vicedirigente dell’amministrazione apostolica. L’eredità di Siri torna ancora a essere benedetta. E il grande pensiero della fine della storia come categoria dell’Occidente e dell’ingresso nel tempo della tecnologia e delle grandi religioni spinge il Papa a riportare la Chiesa romana nelle sue competenze: l’annuncio del mistero divino che l’ha fondata.
© Copyright La Stampa, 16 ottobre 2007
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