29 dicembre 2007
Nella Bibbia l'identità culturale di una nazione (Osservatore Romano)
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La nuova traduzione a cura della Conferenza episcopale italiana
Nella Bibbia l'identità culturale di una nazione
Giovanni Zavatta
Quando, nell'ottobre 1965, la Conferenza episcopale italiana (Cei) decise di progettare una traduzione della Bibbia in italiano adatta all'uso liturgico, non poté non considerare le indicazioni emerse dal Concilio Vaticano II attraverso la Dei Verbum e la Sacrosanctum Concilium. E dovette tener conto della scelta di Paolo VI di commissionare una revisione della Vulgata di Girolamo, la versione in lingua latina della Bibbia fino ad allora considerata ufficiale dalla Chiesa cattolica (il testo di riferimento era la Vulgata Clementina del 1592).
Fedeltà ai testi originali presi in considerazione dalla Vulgata e in tempi recenti dalla Nova Vulgata, esattezza teologica, modernità e bellezza della lingua italiana: tutte e tre le traduzioni della Bibbia a cura della Cei - la prima (Editio princeps) del dicembre 1971, la seconda (Editio minor) dell'aprile 1974, e soprattutto la terza, la cui opera completa sarà disponibile quasi certamente a partire dal settembre 2008 - fanno appunto tesoro di tali indicazioni, segnali di continuità con il passato e al tempo stesso di cambiamento. Nell'ottobre 1965, proprio per rispondere alle esigenze poste dalla riforma postconciliare, la Cei nominò una commissione di esperti dando il via a un'impresa che solo oggi, forse, con la terza e ultima traduzione, può dirsi conclusa.
I dettami di riferimento del Vaticano II furono la costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina rivelazione e la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia. Con esse si espresse l'auspicio che la traduzione delle Sacre Scritture fosse più fedele possibile ai testi originali ebraici, aramaici e greci ed esaltasse la lingua viva, il parlato corrente, volendo, attraverso una sua più immediata e semplice fruibilità, ricollocare la Bibbia al centro della comunità cristiana. Ma il Vaticano II andò oltre offrendo la disponibilità a collaborare interconfessionalmente nella traduzione della Bibbia per il suo uso pastorale nelle comunità locali: "Poiché però la Parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo - si legge nel paragrafo 22 della Dei Verbum - la Chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, di preferenza a partire dai testi originali dei sacri libri. Se, per una ragione di opportunità e col consenso dell'autorità della Chiesa, queste saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere usate da tutti i cristiani".
Tuttavia le nuove traduzioni dovevano anche risultare in accordo con la Vulgata, versione latina che "la Chiesa ha sempre in onore" assieme all'antichissima traduzione greca del Vecchio Testamento detta "dei Settanta". Novità appunto ma anche tradizione. Questo triplice obiettivo - fedeltà ai testi originali, all'italiano e alla Vulgata - rese il compito degli studiosi di non facile soluzione, in particolare per quanto riguardava la traduzione dei Salmi.
Il gruppo incaricato dalla Santa Sede di rivedere la Vulgata si basò sull'edizione critica commissionata nel 1907 da Pio X ai monaci benedettini. Il risultato fu raggiunto nel 1979 con la pubblicazione della Neo Vulgata. Ulteriori approfondimenti portarono al testo definitivo, la Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio, il 25 aprile 1986, dichiarata "tipica" per l'uso liturgico. Infine, con l'istruzione Liturgiam authenticam del 2001, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti stabilì che tutti i testi biblici utilizzati nella liturgia facessero riferimento agli originali presupposti dalla Nova Vulgata. Lo stile di san Girolamo fu preservato - compresa in certi casi la sua tipica resa ad sensum - ma la revisione restò fedele al testo masoretico (la versione ebraica dell'Antico Testamento), alla Septuaginta e ai codici e papiri più attendibili.
Come detto, dal 1965 la Cei stava lavorando alla versione ufficiale in italiano delle Sacre Scritture. Si scelse non di avviare una traduzione ex novo dei testi originali ma di modificare, ai fini dell'utilizzazione liturgica, la Bibbia pubblicata nel 1963 dalla Utet a cura di Enrico Galbiati, Angelo Penna e Piero Rossano. La revisione fu affidata a un gruppo di biblisti e di italianisti sotto la guida del cardinale Ermenegildo Florit.
Il piano dell'opera - come ha spiegato il 20 novembre scorso in una chiara esposizione il vescovo Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale italiana - indicava una serie di criteri da seguire: esattezza nel rendere il testo originale; precisione teologica nell'ambito della stessa Scrittura; modernità e bellezza della lingua italiana; eufonia della frase in modo da favorirne la proclamazione; cura del ritmo con conseguente possibilità di musicarne i testi (specie i Salmi), di cantarli, di recitarli coralmente. La prima edizione, la princeps, del Natale 1971, era composta inizialmente da due volumi: la traduzione vera e propria e le note al testo, queste ultime "non ufficiali" ma curate da Salvatore Garofalo, professore di Sacra scrittura presso la Pontificia Università Urbaniana e probabilmente, all'epoca, il più autorevole biblista italiano.
Tuttavia, la presenza di piccole discrepanze e disarmonie tra libro e libro, dovute alla fase della traduzione svolta individualmente, di alcune espressioni contorte e fuorvianti, nonché di forme arcaiche e toscanismi (la Bibbia Utet aveva attinto a piene mani dall'antica versione di Antonio Martini, arcivescovo di Firenze), costrinsero a una successiva revisione su richiesta della Santa Sede. La seconda edizione, la minor (Pasqua 1974), includeva appunto le correzioni per alcuni testi adoperati nella liturgia. Da essa sono tratti i testi delle pericopi bibliche dei lezionari liturgici e della Liturgia delle ore che sono stati fino a oggi in uso.
Da allora la traduzione Cei, grazie alla sua autorevolezza, si è andata imponendo diventando il volume biblico di riferimento per tutti. Non che in passato fossero assenti prestigiose versioni in lingua italiana delle Sacre Scritture (basti pensare in tempi recenti alla "Bibbia Garofalo") ma nella tradizione italiana, come ha ricordato dallo stesso monsignor Betori, "manca un testo biblico autorevole, non solo strumento per l'azione liturgica e la formazione spirituale ma elemento significativo dell'immagine culturale di una nazione, come accade invece per i popoli germanici e anglosassoni dove le versioni della Bibbia costituiscono un atto fondante o fondamentale per l'identità stessa della lingua". Il riferimento è soprattutto alla Bibbia di Martin Lutero, terminata nel 1534, la versione tedesca per eccellenza: prima della morte di Lutero, il testo ebbe ben dieci edizioni contenenti continui perfezionamenti e modifiche. Per l'Antico Testamento il lavoro partì dal testo ebraico della cosiddetta "Bibbia di Berlino" (1494) ma si valse anche dell'ausilio della Vulgata, della quale mantenne l'ordine dei libri, e della traduzione interlineare ebraico-latina del domenicano Santi Pagnino (1528). Come fonte per il Nuovo Testamento, Lutero si basò invece sull'edizione del 1519 curata da Erasmo da Rotterdam e realizzata affrontando il testo originale greco.
Anche la Bibbia inglese ebbe una traduzione autorizzata dalla Chiesa anglicana, fondamentale per la lingua e la letteratura. La King James version, commissionata da re Giacomo I a studiosi di Oxford, Cambridge e Westminster, e pubblicata nel 1611, prese in considerazione sia gli originali sia l'opera di William Tyndale che, come già Lutero, si era basato sul Textus receptus ovvero la successione dei testi greci stampati del Nuovo Testamento da Erasmo in poi.
Di particolare rilievo, inoltre, la Bibbia poliglotta complutense (1518), la prima edizione stampata multilingue (ebraico, latino, greco e aramaico), iniziata e finanziata dal cardinale spagnolo Francisco Jiménez de Cisneros.
Pur non raggiungendo tali vertici di ufficialità e autorevolezza, in Italia non mancarono in epoca tardo-medioevale capolavori autentici in lingua corrente che ebbero vasta diffusione tra la popolazione. È il caso della Bibbia del monaco camaldolese Nicolò Malermi (Venezia 1471), realizzata a partire dalla Vulgata, probabilmente la prima stampata in una lingua moderna e riprodotta in diciannove edizioni nel solo XVI secolo. Da ricordare anche la traduzione del fiorentino Antonio Brucioli, del 1532, influenzato fortemente da Lutero, e soprattutto quella del calvinista lucchese (ma nato a Ginevra) Giovanni Diodati, del 1607, che operò sui testi originali: da un punto di vista stilistico la sua Bibbia viene considerata uno dei capolavori del XVII secolo e, nelle numerose edizioni rivedute e corrette, resta il testo in italiano di riferimento per il mondo evangelico.
Bisogna arrivare alla seconda metà del Settecento per trovare una traduzione di così grande impatto, prestigio e diffusione in ambito cattolico. Ne fu autore (1771-1776) monsignor Antonio Martini, poi arcivescovo di Firenze che, partendo dalla Vulgata e tenendo conto delle versioni ebraica dell'Antico Testamento e greca del Nuovo Testamento, corredò il testo di copiose note teologiche e pastorali. La sua Bibbia ebbe quaranta edizioni nel solo XIX secolo.
La Vulgata di san Girolamo quindi, terminata nel lontanissimo 405, è stata sempre e comunque fondamento delle traduzioni più complete e affidabili. Alla base, oltre a una precedente raccolta denominata Vetus Latina, i testi originali in ebraico, aramaico e greco e l'autorevole versione "dei Settanta" dell'Antico Testamento. Non sorprende dunque che, soprattutto a partire dal Concilio di Trento (1545-1563), la Vulgata sia stata riaffermata come l'unica versione della Bibbia autorizzata dalla Chiesa cattolica. "Ciò che fu scoraggiato - precisa Betori - non furono le traduzioni ma la lettura delle traduzioni prodotte nel mondo protestante. Soprattutto, delimitando i soggetti abili al testo sacro, si voleva dissuadere da un uso individuale che comportasse di fatto una lettura senza riferimento ecclesiale e quindi legata alle forme del "libero esame"".
Pio XII, nell'enciclica Divino afflante spiritu (1943), chiarì come l'autenticità della Vulgata proclamata dal Concilio di Trento avesse valore giuridico e non testuale: l'opera cioè risultava esente da eresie e da errori dottrinali ma poteva, anzi doveva, essere "provata e confermata per mezzo dei testi originali". Era necessaria una versione moderna per "esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri". Il Vaticano II e Paolo VI concretizzarono tale intenzione attraverso le costituzioni Dei Verbum e Sacrosanctum Concilium e il progetto della Nova Vulgata.
La Conferenza episcopale italiana è partita proprio dalla pubblicazione della Nova Vulgata (editio altera del 1986) per affrontare l'elaborazione della terza e ultima traduzione della Bibbia. Un cammino che si è rinnovato, forte di maturate esperienze. Il gruppo di lavoro, costituito nel maggio 1988, è stato guidato in periodi successivi dai vescovi Giuseppe Costanzo, Wilhelm Emil Egger e Franco Festorazzi ed era composto da biblisti, liturgisti, italianisti e musicisti. Si è trattato, anche in questo caso, non di una traduzione ex novo ma della revisione delle due precedenti edizioni della Cei, avvalendosi dei suggerimenti forniti da esegeti specialisti dei diversi libri della Bibbia. La revisione è durata 12 anni. Nell'aprile 2000 i testi sono stati consegnati alla segreteria generale per un'ulteriore rilettura e per dare omogeneità agli interventi nei Vangeli e una maggiore uniformità dell'onomastica. Anche i vescovi hanno contribuito inviando osservazioni ed emendamenti, due terzi dei quali sono stati accolti. La recognitio (per l'uso liturgico) della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, effettuata per volontà di Benedetto XVI su tutto il testo biblico, è stato l'ultimo atto prima dell'approvazione definitiva della presidenza Cei il 17 settembre 2007.
I nuovi Lezionari liturgici festivi sono utilizzabili dal 2 dicembre scorso, prima domenica di Avvento, mentre per l'intera Bibbia si dovrà aspettare settembre 2008. Solo allora la terza traduzione della Cei potrà entrare nelle case di tutti gli italiani.
(©L'Osservatore Romano - 29 dicembre 2007)
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