27 dicembre 2007

I Martiri ed il Natale: la vittoria sull'odio e sulla morte (Rondoni per "Avvenire")


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I MARTIRI E IL NATALE

LA VITTORIA SULL’ODIO E SULLA MORTE

DAVIDE RONDONI

Cosa c’è da festeggiare ? Cosa ci dovrebbe rallegrare in un martirio?
Eppure la Chiesa mette la festa del primo martire, di Stefano, subi­to dopo quella della nascita di Gesù. Subito dopo, per così dire addosso alla festa di massima gioia, ecco la festa che ha colore del sangue, del sacrificio. Come a voler dire che l’u­na non si capisce senza l’altra. Co­me a indicare che la festa della na­scita di Gesù si completa, si realiz­za, insomma si compie nel gesto di quel ragazzo, Stefano.
Ma che razza di gesto fu? Oggi sen­tiamo spesso parlare di martiri. È pa­rola che è rientrata in un vocabola­rio fin troppo ricco di nuove e anti­chissime figure dell’orrore. E viene il più delle volte accostata a immagi­ni, a sentimenti di guerra. Invece il gesto di Stefano, come ha voluto ri­cordare ieri Benedetto XVI, non a­veva dentro nemmeno un’oncia d’o­dio. Qui sta la grande differenza. E si comprende il legame con il Natale. Si tratta di un gesto d’amore com­pleto.
Come solo l’imitazione di Cri­sto, che morì ucciso amando i suoi assassini, può mobilitare. Nemmeno un’ombra di odio attraversa il cuore del martire cristiano. Nemmeno un’ombra di guerra. Lo ha ripetuto ieri il Papa, nel suo ennesimo gesto di chiarore e di pace.
Ricordando an­che che il gesto di Stefano, la sua di­sponibilità non è cosa che si è per­duta nei secoli passati. Ma oggi ac­cade, nuovamente, terribilmente, in tante zone del mondo.
Sono tanti i martiri cristiani dei no­stri giorni. Sono gli eroi di nessuna guerra. Sono gli eroi di un’offerta. E di un segreto entusiasmo. Non sono obbligati da nessuno, non sono re­clutati come kamikaze, ma sono mossi da quella certezza d’amore per Dio e per gli uomini che ha pre­so l’evidenza di un bambino, poi di un giovane uomo eccezionale. In­somma l’evidenza di Gesù è dive­nuta più cara della vita. E a chi chie­de di negarla danno la loro vita a te­stimonianza suprema di quel che hanno visto e udito. Perciò, come ha detto ieri il Papa, l’amore per Dio e per gli uomini nel martirio arriva ad­dirittura a diventare 'amore per i nemici'. Non si indica con questo u­na bizzarra distorsione del senti­mento. Come si può amare chi ti uc­cide? Ma la testimonianza resa fino alla fine, la testimonianza al Dio che ama gli uomini, che li vuole liberi, è il più grande e chiaro gesto d’amo­re. Rivolto a tutti, compreso a chi brandisce l’arma che taglia il filo del tuo respiro.
Stefano lo sapeva. I tanti martiri di oggi lo sanno. La loro morte non rientra nella strategia di qualche po­tenza umana che vuole piegare la re­sistenza di qualcun altro ricorrendo allo choc del kamikaze. Nessuna strategia di conquista. Solo il ripe­tersi di quel primo martirio. Di quel­la offerta dinanzi all’odio e alla ce­cità. Così che tutti i giorni in cui c’è un martirio cristiano è come se il giorno della Nascita di Gesù venisse vicino. È come se ad ogni martirio – dei secoli passati e del presente – la nascita di Dio accadesse lì accanto. Come se al giorno del sacrificio e del sangue, del dolore di perdere la vita o di vederla andare via da chi si ama, si facesse vicino il giorno, l’istante della nascita e della definitiva com­pagnia di Dio agli uomini.
E i martiri infatti sono coloro che con più certezza, con una speciale chia­rezza hanno visto e compreso il Na­tale. Sono coloro che hanno giocato tutto sulla certezza del Natale. Per loro il Natale e il giorno della loro morte avevano la stessa luce. Lo stesso amore. Così grazie al loro sa­crificio anche noi vediamo più a fon­do nel mistero buono di quella Na­scita.

© Copyright Avvenire, 27 dicembre 2007

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