31 dicembre 2007
Buon Anno, Buona Speranza nell'annuncio dell'amore di Dio (Don Antonello Iapicca per "I segni dei tempi")
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Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questa riflessione di Don Antonello Iapicca per "I segni dei tempi":
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Buon Anno, Buona Speranza nell'annuncio dell'amore di Dio
Buon anno? Certo, a tutti.
La speranza, il motore dell'esistenza, anche per questo 2008 che si affaccia alle nostre vite, ha il volto di Cristo, incarnato in quello mite e fermo del Santo Padre, in quello dei due milioni che ieri hanno partecipato all'incontro per la famiglia organizzato a Madrid. E in quello di un uomo che, in questi tempi, sconvolge gli assetti e gli equilibri, ovunque appaia. L'uomo al quale lo Spirito Santo ha consegnato un dono per ogni uomo di questa generazione, un carisma innestato nel cuore stesso della Chiesa, il Neocatecumenato che sta ispirando un profondo rinnovamento dell'Iniziazione Cristiana, fondandosi in una seria riscoperta della ricchezza del Battesimo.
La speranza incarnata in Pietro e Paolo e nel Popolo Santo, in Benedetto XVI e in Kiko Arguello, e nel Popolo che mostra i segni della vita celeste, il Popolo dissetato dal vino nuovo dell'amore di Cristo, più forte del peccato e della morte.
E' la forza dello Spirito, lontano anni luce dalle alchimie del politicamente corretto, delle dichiarazioni che pesano e ripesano parole, virgole e accenti. Il volto profetico di chi osa gridare il nome di Cristo vittorioso sulla morte in una piazza stracolma di gente, incurante di telecamere o di giornalisti appostati a scovare una parola o una frase per avvelenare l'impeto purissimo dello Spirito.
Ecco l'immagine che ci dà speranza all'alba di questo nuovo anno: Pietro che conferma l'impeto dello Spirito che si incarna in un Popolo nuovo. Il Papa affacciato alla sua finestra, parole lucide, nette, a sigillare quanto lo Spirito ha ispirato nel gelo di questo inverno della ragione che tutti ci attanaglia. "Vale la pena impegnarsi per la famiglia" ci ha detto Benedetto XVI. Vale la pena dunque riscoprire il battesimo, la fonte da cui ricevere, giorno per giorno, la vita e l'amore per vivere in pienezza la vocazione celeste alla quale siamo chiamati, nella famiglia e per la famiglia.
Vale la pena essere voce di chi grida nel deserto, dar voce alla Parola che, sola, risponde all'anelito e al desiderio più profondo dell'uomo.
Una voce che grida, che non si lascia intrappolare in discorsi e parole usurate, ecco l'immagine dell'incontro di ieri a Madrid. Le parole del Papa, il grido di Kiko, il Popolo della gioia. Diceva il Papa nella notte di Natale che "Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto". Il canto che è risuonato nella Piazza di Madrid, Risuscitò!
Ecco, "vale la pena" perchè Risuscitò!, Cristo è risuscitato, e ci attende per un destino di Gloria. E le famiglie innumerevoli accorse alla Plaza de Colon, testimoni gioiosi di una vocazione santa, che nessuna massoneria, nessun sofisma del demonio potrà mai distruggere.
Per questo la speranza, oggi come duemila anni fa, sorge da un annuncio, l'unico, capace di destare le anime intorpidite nei cavilli dei sofismi, del laicismo o del clericalismo. L'annuncio semplice e secco di un destino che che tutti ci riguarda e che a tutti appartiene. Il destino di Gloria che trapassa il muro dell'indifferenza e dell'egoismo e ci obbliga, finalmente, con la schiena al muro, ad essere liberi. Liberi di scegliere la felicità per la quale siamo nati, e che solo occorre accogliere nella semplicità e nello stupore dei pastori giunti alla mangiatoia di Betlemme. E liberi anche di scegliere la nostra carne, il nostro sentire, i nostri appetiti, così ben celati da ragionevolissimi percorsi intellettuali.
Nel freddo di una piazza colma di duemilioni di persone un grido ha squarciato l'omertà di una generazione che non ha posto per Dio: ci diceva infatti il Papa nella notte di Natale che "nell’albergo non c’è posto. In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro – per il prossimo, per il povero, per Dio. E quanto più gli uomini diventano ricchi, tanto più riempiono tutto con se stessi. Tanto meno può entrare l’altro".
La speranza di cui ci ha parlato Benedetto XVI è dunque un grido che ci sconvolge e ci mette in moto, e parole come quelle di un angelo, il messaggero che consegna all'umanità smarrita la volontà di Dio. E, come duemila anni fa, si rinnova il mistero della stalla di Betlemme, dove lo Spirito Santo ha deposto il Figlio di Dio. Dio è cacciato fuori da questa generazione ma, come diceva il Papa nella notte di Natale, rientra per una stalla. E la stalla di questo nuovo anno è per noi il luogo indicato dall'angelo, una piazza colma di famiglie vive e gioiose per aver creduto all'annuncio della Chiesa, una piazza trasformata nel corpo stesso di Cristo, un Dio bambino come le famiglie cristiane di quet'epoca avvelenata. Le famiglie perseguitate da Erode, deboli e inermi, ma ricolme di vita celeste. E' questa la speranza, è questa la stalla, la mangiatoia che l'angelo ci ha indicato: l'amore di Dio capace di di trasformarci e di far sante le famiglie, perchè Dio stesso è famiglia e comunità di persone. La famiglia, la comunità, il Popolo santo di Dio. Ecco il segno che ci è dato anche quest'anno, che lo Spirito ha indicato e che il Papa ha confermato.
Nella notte di questa storia che ci angoscia, di tristezza e peccato, di morte e disperazione, brilla per noi una luce: la Croce gloriosa di Cristo. La Croce che ha perdonato, che ha amato, che ha dischiuso il Cielo per tutti gli uomini: "Il nuovo trono – la Croce – corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. Questo nuovo palazzo è così diverso da come gli uomini immaginano un palazzo e il potere regale. Esso è la comunità di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova. Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona – è questa la vera regalità. La stalla diviene palazzo – proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola-chiave cantano gli Angeli nell’ora della sua nascita: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” – uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo" (Benedetto XVI, Omelia nella Notte di Natale, 2007).
La stalla e la Croce, la nostra vita crocifissa con Cristo, e per questo gloriosa; ecco la speranza che ci illumina, che ci rallegra, che ci fa affrontare questo nuovo anno senza timore. Un nuovo anno migliore, perchè un nuovo anno con il Signore della Vita. Il mistero della nostra vita ricoperta di ferite, di cadute, di angoscie, eppure salvata, redenta, santificata. Lo stesso mistero apparso ieri a Madrid in un uomo avvinto dallo Spirito, a tratti quasi perso nell'emozione e nello stupore, un uomo incapace di frenare l'impeto ardente dell'amore che brucia, la potenza nella debolezza, così scandaloso perchè così autentico e divino. Lo stesso mistero che percorre le nostre vite sorte dall'annuncio del vino nuovo, della vita nuova, quellache portiamo dentro ogni giorno, che ci fa estranei al mondo, stranieri nella nostra Patria, un popolo diverso da tutti gli altri popoli. Il popolo della Speranza.
"Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra. Con l’umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l’umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo. Amen" (Benedetto XVI, Omelia nella Notte di Natale, 2007).
Don Antonello Iapicca
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