27 dicembre 2007

Il Papa si china sulle ferite del mondo (Messa di Natale e Messaggio Urbi et Orbi)


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In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui!

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Il Papa si china sulle ferite del mondo

Dalla Natività l’invito a non negarsi a Dio e all’umanità sofferente

La Messa di mezzanotte nella Basilica vaticana, il messaggio «Urbi et Orbi» davanti a oltre 50mila fedeli in piazza San Pietro, i saluti conclusivi in 63 lingue: nelle parole del Pontefice l’esortazione a «fare posto» al Signore nella vita di ciascuno e nella storia dei popoli, assetati di pace e di giustizia. La sfida: unire l’accoglienza del prossimo e l’annuncio del Vangelo

di Salvatore Mazza

Pace. Per tutto il mondo. Quella pace che viene dalla grotta di Betlemme «dove cielo e terra si toccano». La pace che Gesù ha portato per tutti, purché gli uomini e le nazioni non temano «di riconoscerlo e di accoglierlo».
È stato un lungo, costante invito a «fare posto a Dio» nella nostra vita, quello che Benedetto XVI ha declinato lungo tutte le celebrazioni del Natale.
Culminate con l’appello lanciato la mattina del 25, con il messaggio Urbi et Orbi, durante il quale, ricordando come è dall’incontro con Gesù che vengono la pace, la giustizia e la gioia, ha lanciato il suo appello affinché il Signore porti sollievo alle tante nazioni che subiscono la violenza delle armi, come in Darfur e in Somalia, in Iraq, in Libano e in Terra Santa, in Afghanistan, Pakistan e Sri Lanka, ma anche a quanti soffrono per tante situazioni di crisi.
Erano oltre 50 mila, martedì mattina, le persone presenti in piazza San Pietro mentre Papa Ratzinger parlava dalla Loggia delle Benedizioni, e altre centinaia di milioni quelle collegate attraverso gli 88 network televisivi, a copertura di 57 Paesi, di tutti i Continenti, 35 dei quali in diretta.
Ad ascoltare il messaggio intenso, denso, nel quale Benedetto XVI ha rilevato come «alla sete di senso e di valore che avverte il mondo oggi, alla ricerca di benessere e di pace che segna la vita di tutta l’umanità, alle attese dei poveri, Cristo, vero Dio e vero Uomo, risponde con il suo Natale». Di qui, prima dei saluti conclusivi pronunciati in 63 lingue diverse, l’invito ad accogliere «il creatore dell’uomo» fattosi uomo a sua volta «per recare al mondo la pace».
È del resto a Betlemme, aveva detto lo stesso Benedetto XVI nell’omelia della Messa di mezzanotte, celebrata all’interno di una basilica di San Pietro illuminata a giorno e dominata dal rosso dei fiori posti ai lati dell’altare, che «cielo e terra si toccano».
Nella grotta, infatti, «il cielo è venuto sulla terra, la natura stessa va incontro ad una seconda creazione, ora tocca agli uomini mettersi in cammino verso quella “stalla”», per «toccare il cuore di Dio» e «fargli posto» nella loro vita. In quella notte «è arrivato il momento che Israele aveva atteso da tanti secoli, durante tante ore buie». Il momento, aveva spiegato, «in qualche modo atteso da tutta l’umanità in figure ancora confuse: che Dio si prendesse cura di noi, che uscisse dal suo nascondimento, che il mondo diventasse sano e che Egli rinnovasse tutto». Ma per il Dio che si fa uomo non c’è posto in albergo, e quell’umanità che attende Dio «quando arriva il momento, non ha posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro – per il prossimo, per il povero, per Dio. E quanto più gli uomini diventano ricchi, tanto più riempiono tutto con se stessi. Tanto meno può entrare l’altro». In questo senso, a non accogliere Gesù è in realtà l’intera umanità, «ogni singolo e la società nel suo insieme», che non ha tempo per il prossimo, per il sofferente, per il rifugiato. Che «non ha tempo per Dio». Tuttavia «grazie a Dio» esistono «quelli che lo accolgono». E così «a cominciare dalla stalla, dall’esterno, cresce silenziosamente la nuova casa, la nuova città, il nuovo mondo. Il messaggio di Natale ci fa riconoscere il buio di un mondo chiuso, e con ciò illustra senz’altro una realtà che vediamo quotidianamente. Ma esso ci dice anche, che Dio non si lascia chiudere fuori».
Per questo, nell’Angelus del 23 dicembre, rivolgendosi ai credenti Papa Ratzinger aveva sottolineato che «nulla ci può esimere o sollevare» dall’impegno di annunciare il Vangelo, e «nulla è più bello, urgente ed importante». La missione della Chiesa, aveva spiegato Benedetto XVI riferendosi all’ormai prossima celebrazione del «grande mistero dell’amore che non smette mai di stupirci: l’amore di Dio che si è fatto uomo», non è altro che «la risposta all’invocazione 'vieni Signore Gesù'», affinché «cambi i nostri cuori e nel mondo si infondano la giustizia e la pace». «In una situazione in cui spesso non è chiara nemmeno a molti fedeli la stessa ragion d’essere dell’evangelizzazione», aveva poi aggiunto facendo riferimento alla recente pubblicazione del Documento dalla Congregazione per la dottrina della fede su tale argomento, l’accoglienza della Buona Novella «spinge di per sé a comunicare la salvezza ricevuta in dono».
È la missione di tutti i cristiani, della quale il Pontefice per primo si fa interprete nel suo lavoro di ogni giorni e coi i suoi viaggi apostolici.
E che nel 2008, oltre alle già annunciate tappe internazionali negli Stati Uniti, in Australia e in Francia, lo vedrà in visita in Italia a Genova e Savona (17 e 18 maggio), Puglia (14 e 15 giugno) e Sardegna (7 settembre).

© Copyright Avvenire, 27 dicembre 2007

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