30 dicembre 2007
Cattolicesimo e islam: verso uno storico incontro (intervista del card.Tauran all'Osservatore Romano)
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Cattolicesimo e islam: verso uno storico incontro
Gianluca Biccini
Sarà un incontro "storico" quello che si sta concretando tra Benedetto XVI e i rappresentanti dei 138 leader musulmani che di recente gli hanno scritto.
Lo annuncia il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, in un'intervista al nostro giornale nella quale spiega che è in via di definizione, per la prossima primavera, un incontro di altissimo livello per rilanciare il dialogo tra cattolicesimo e islam. La lettera "Una parola comune tra noi e voi" - com'è noto - è stata indirizzata al Pontefice nei mesi scorsi da leader musulmani di 43 nazioni.
Il 19 novembre il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha risposto a nome del Papa rivolgendo l'invito della Santa Sede a ricevere una delegazione dei firmatari. Per il porporato francese - che dal suo osservatorio privilegiato traccia un bilancio dell'anno appena concluso - è possibile cogliere da entrambe le parti segnali di buona volontà, che permettono di guardare con fiducia alla riuscita dell'avvenimento.
"L'incontro con una delegazione di alcune delle 138 personalità musulmane, in programma a Roma nella prossima primavera - egli dice -, in un certo senso si può definire storico. Nel mese di febbraio-marzo dovrebbero essere a Roma tre rappresentanti dei firmatari per la preparazione. Tra i temi in agenda: rispetto della dignità della persona, dialogo interconfessionale fondato sulla conoscenza reciproca, formazione delle nuove generazioni alla tolleranza. Ma tutto il 2008 si presenta ricco di appuntamenti: nel mese di febbraio saremo all'università Al-Azhar del Cairo; altri impegni sono previsti con la World islamic call society della Libia, con il Royal institute for inter-faith studies di Amman, con un gruppo di vescovi dell'Africa in Kenya. Vorrei anche potermi recare in Asia per conoscere da vicino le grandi tradizioni religiose di quel continente".
Quali sono stati gli avvenimenti più significativi dell'anno che si conclude?
Due in particolare mi hanno interpellato: la citata lettera aperta, in merito alla quale ho già avuto modo di esprimere pubblicamente la mia valutazione positiva; e l'incontro interreligioso di Napoli, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, che mi ha permesso di incontrare personalità religiose di numerose comunità di credenti, nonché di trattare il tema: "religioni e violenza". Poi, ho ricevuto presso il Pontificio Consiglio vari gruppi di vescovi in "visita ad limina": Laos e Cambogia, Benin, Gabon, Kenya e Giappone.
Inutile sottolineare il grande interesse di tali incontri grazie ai quali possiamo raccogliere informazioni da tutto il mondo. Dico questo perché insistiamo sempre sul fatto che il dialogo interreligioso non si realizza solo nella sede del dicastero in via della Conciliazione, ma sul terreno delle Chiese locali.
Ancora una volta si ritorna all'islam. Ci aiuti a dipanare i fili di una matassa che appare complicata: ci sono i fondamentalismi e c'è la lettera aperta. Qual è il vero islam?
Ci sono varie maniere di vivere l'islam. Se si escludono i terroristi che si servono della loro religione per uccidere - ma in realtà non è islam, è una perversione dell'islam - non mancano i musulmani di buona volontà, disposti al dialogo sincero. Mi trovavo di recente in un piccolo villaggio musulmano, vicino a Gerusalemme, Abou Gosh, dove ha sede un monastero benedettino che celebrava il centenario della dedicazione della chiesa: numerosi erano i musulmani del villaggio presenti alla solenne Eucaristia da me presieduta nonché al pranzo conviviale. Ecco un semplice esempio. È vero che, ancora per una parte dei musulmani, il dialogo interreligioso non è una realtà né una priorità. Ma è altrettanto vero che forse assistiamo a una interessante evoluzione con la lettera aperta. In effetti, i 138 firmatari rappresentano 43 nazioni. Vi troviamo teologi, giuristi e intellettuali in maggioranza sunniti, ma ci sono anche alcuni sciiti. È destinata a tutti i responsabili delle Chiese cristiane. Definisce in maniera originale il monoteismo comune a ebrei, cristiani e musulmani, con un tema principale: la comune fede nel Dio vivente, uno e unico, nel quadro del doppio comandamento dell'amore di Dio e del prossimo, caro alla tradizione giudeo-cristiana. Tutto questo rappresenta un'apertura considerevole e il dialogo islamo-cristiano viene rinvigorito da questi sforzi intesi a trovare valori comuni ai tre monoteismi.
Il 1° settembre 2007 lei si è insediato nel suo nuovo ufficio. Può dirci com'è stato l'impatto?
Direi che sono stati mesi dedicati alla scoperta degli interlocutori del Pontificio Consiglio e della documentazione. Ho conosciuto persone di buona volontà nonché problematiche complesse, che risentono delle evoluzioni e delle contraddizioni della storia lontana o recente. Mi è stato di grande aiuto potermi servire del patrimonio lasciato in eredità dai miei predecessori, i cardinali Arinze e Poupard, e dall'arcivescovo Fitzgerald. Un grazie devo anche al Pontifico Istituto di studi arabi e d'islamistica, che si è dimostrato molto disponibile. E così ho cominciato questo nuovo ministero con serenità, pronto a confrontarmi con chi lo desidera, sotto lo sguardo di Dio, per camminare assieme sulle vie del dialogo interreligioso secondo le ben note modalità: dialogo della vita, dialogo delle opere, quando possibile dialogo teologico e dialogo delle spiritualità.
Il Papa nel discorso alla Curia romana ha ribadito che "tutte le religioni del mondo devono convivere pacificamente". Tenendo conto della nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede, come conciliare il dialogo interreligioso con evangelizzazione?
Dialogo interreligioso e evangelizzazione mettono in gioco il misterioso piano di Dio e la libertà dell'uomo. Da una parte, c'è il dovere che noi cristiani abbiamo di proporre al mondo il Vangelo di Cristo come Salvatore dell'umanità - "guai a me se non predicassi il Vangelo" - e, dall'altra parte, la libertà dell'uomo di accoglierlo o no. La nota dottrinale spiega bene - come del resto aveva fatto la Dominus Jesus - che per noi si tratta di condividere un tesoro, la nostra fede, con gli altri, rispettando l'altro, la sua libertà, le sue convinzioni. Ma evitando al contempo ogni sincretismo. Non diciamo "tutte le religioni sono più o meno la stessa cosa". Diciamo, invece, "tutti i ricercatori di Dio hanno la stessa dignità e la stessa libertà". Il dialogo interreligioso non può riposare sull'ambiguità. Le parti in causa devono avere le idee chiare sulla propria identità religiosa e sul contenuto della propria fede.
Come valuta il contributo che il dialogo tra le religioni può offrire all'edificazione della pace?
Armoniose relazioni tra i popoli e la diplomazia, in particolare, riposano sulla collaborazione leale degli attori della vita internazionali. Dipendono in gran parte dalla volontà di ognuno di rispettare il diritto internazionale e di adempiere gli obblighi liberamente assunti, secondo il noto principio pacta sunt servanda. Se la pace è continuamente minacciata è perché le società e i loro responsabili si lasciano condizionare dall'egoismo e dalla sete di dominio. Orbene, le religioni - meglio i credenti - possono invertire la tendenza, perché sono consapevoli che l'umanità è una famiglia che Dio vuole radunata nell'amore, che la loro lingua è la preghiera e che il loro programma è la fraternità. A tale riguardo, mi è piaciuto quanto afferma il Santo Padre nel suo Messaggio per il 1° gennaio 2008, quando, al numero 6 parlando di Dio come fonte dell'esistenza di ogni essere umano, dice: "è risalendo a questo supremo Principio che può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse per l'edificazione di una umanità pacificata".
Cosa pensa della cosiddetta "crisi dell'Occidente". La contrapposizione culturale è necessariamente anche religiosa?
La grande crisi dell'Occidente - ma non solo - è dovuta alla quasi totale scomparsa della vita interiore. I nostri contemporanei ricevono una quantità enorme di informazioni e di notizie ma non sanno poi come assimilarle: mancano il silenzio, il raccoglimento, la lettura, la meditazione, il tempo per fermarsi e ritrovarsi con se stessi. Già, qualche anno prima della prima guerra mondiale, il mio illustre compatriota, Jacques Maritain, profetizzava: "non si può capire niente della civiltà moderna se, prima di tutto, non si riconosce che essa è una cospirazione universale contro qualsiasi forma di vita interiore". Per me, questo è il problema fondamentale. Ma è anche una chance per i credenti perché siamo costretti a confrontarci coll'essenziale: Dio e il destino dell'uomo. Noi, cattolici, poi, siamo costretti a riscoprire la potenza evangelizzatrice che hanno, nella società odierna, le celebrazioni liturgiche e la vita comunitaria. Una comunità cristiana che celebra fa apparire la Chiesa qual è: "il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità del genere umano", come afferma la Lumen gentium.
Infine proviamo a capovolgere la prospettiva. Cos'è davvero utile perché le altre religioni siano incoraggiate a dialogare con noi. Ci sono gesti e parole concreti attraverso i quali agire?
Prima di tutto, i capi religiosi devono avere cura di provvedere alla formazione religiosa dei propri correligionari. Per dialogare in maniera proficua, ognuno deve essere consapevole del contenuto della propria religione e di ciò che la differenzia da quella dell'altro. Il dialogo suppone identità e alterità. Poi, è indispensabile la volontà di conoscere l'altro, di capirlo, di avere una certa conoscenza della sua storia personale e comunitaria nonché del contenuto della sua religione. Infine, non bisogna avere paura di unire gli sforzi degli uni e degli altri per testimoniare ai nostri contemporanei che "l'uomo non vive solamente di pane", ma ha anche bisogno di ragioni per vivere: le religioni sono portatrici di senso. Torniamo quindi alla lettera aperta dei 138: "se i musulmani e i cristiani non vivono in pace tra di loro, il mondo non può essere in pace". Vuol dire che la loro parola - il testo asserisce che assieme rappresentano il 55% dell'umanità - ha un peso e una efficacia per la convivenza umana. La medesima lettera afferma che ogni vera religione riposa sull'unicità di Dio, la necessità di adorarlo nonché sulla necessità di amare tutti gli esseri umani e quindi di praticare la giustizia. Allora possiamo parlarci e lavorare per sradicare le ingiustizie, le malattie, per salvaguardare il patrimonio ecologico del pianeta. Possiamo discutere sui problemi che ci dividono. Tutto questo, per esempio, potrebbe favorire un impegno comune per l'applicazione di quei diritti dell'uomo definiti nel 1948. Potrebbero essere associati a tale riflessione anche i fratelli ebrei. Così la famiglia d'Abramo potrebbe contribuire all'"effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana per l'edificazione di una società più giusta e solidale" come ha auspicato il Papa nel discorso alla Curia Romana del 21 dicembre. In realtà siamo perfettamente nella linea tracciata dalla Dichiarazione Nostra aetate che assegnava al dialogo con le altre religioni anche il compito di "promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà".
(©L'Osservatore Romano - 30 dicembre 2007)
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