28 dicembre 2007

L'attualità delle «Omelie del tempo di Natale» di Giuseppe Dossetti (Osservatore Romano)


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L'attualità delle «Omelie del tempo di Natale» di Giuseppe Dossetti

Uno spirito arreso all'amore

Emanuela Ghini

La pubblicazione delle omelie pronunciate per anni da Giuseppe Dossetti nelle varie sedi della comunità religiosa da lui fondata a Monteveglio (Bologna) nel 1956 è un dono magnifico della Piccola famiglia dell'Annunziata non solo alla comunità cristiana. Chiunque s'imbatta in queste omelie è coinvolto dalla parola calda, spoglia e viva, che non cerca di mostrarsi in una sua presunta efficacia, ma di far spazio all'unica Parola salvifica, di divenirne trasparenza.
Chi parla non si ascolta, diviene eco della Parola che corre dalla Genesi all'Apocalisse, e non ha bisogno di parole di uomini, perché le precede. Donando un'energia, una potenza, una consolazione capaci di reggere la vita. Il prezzo è l'annullamento di espressioni umane, anche le più sapienti, l'ascolto e la pura trasmissione. Esse richiedono un cuore purificato, la morte dei "pensieri", come li chiamano i padri del deserto, la preghiera, tuffo nello Spirito di Cristo, il grande orante volto al Padre per tutti i fratelli.
Le omelie di Giuseppe Dossetti verificano ciò che Evagrio Pontico ha detto nel IV secolo: "Se preghi, sei teologo". Mostrano che l'apice del discorso su Dio - in Dio - è la protensione a lui e la balbettante risposta, accogliente e sopraffatta, alla sua Parola: l'unica diffondente gioia. Qui si gioca la credibilità del cristiano.
Di questo omaggio l'omiletica di Giuseppe Dossetti non ha alcun bisogno. Ma in questo periodo torna alla mente il suono della sua voce nelle omelie ascoltate per anni nella sua comunità. Se ne usciva rigenerati, quasi che la grazia del battesimo si rendesse percepibile. Si sperimentava che solo lo Spirito parlava nel celebrante: egli non esisteva più, specchio dell'altra Realtà. Era questa a coinvolgere. Ma si era grati allo specchio.
Curate dalla Piccola famiglia dell'Annunziata, le Omelie del tempo di Natale di Giuseppe Dossetti (Edizioni Paoline) riguardano un quarto di secolo (1970-1994). Una delle prime discepole del monaco di Monteveglio, Maria Gallo, vi premette un'introduzione accurata, preziosa per orientare il lettore nei filoni delle meditazioni.
Lo spirito universalistico della comunità monastica di Giuseppe Dossetti, l'esplorazione di mondi geograficamente e culturalmente lontani dall'Europa - Thailandia, Medio Oriente, Terra Santa, India, Cina e così via - l'incontro con l'Ortodossia, l'Ebraismo, l'Islam rendono urgente la risposta alla grande domanda: "Voi, chi dite che io sia?" (Matteo, 16, 15).

La fede

Dossetti è tormentato dal dramma dell'incredulità, dal desiderio della manifestazione della luce "per tutti coloro che l'economia del Padre destina alla Chiesa, specialmente per quei grandi popoli i quali, nonostante l'intensità della loro speculazione e il loro orientamento spirituale, sembrano ancora lontani dalla conoscenza della verità e della grazia che è stata fatta agli uomini".
La fede non è frutto di volontà. Non muove da iniziativa umana. Non consegue a speculazioni, non è teologia, anche se questa, "se organizzata con senso soprannaturale di discrezione e di equilibrio, può in qualche modo aiutare". Non dipende dai segni, che richiedono interpretazione.
La fede è dono, luce dello Spirito, percezione del mistero, al di là di ogni sostegno. "È la radice delle facoltà nuove dell'uomo nuovo in Cristo". Ma brilla a intermittenza. Quanto più cresce, tanto più espone a rischi. Non è mai scontata.
La fede è difficile. È fatica. Lo provano i padri, i santi, i martiri.

L'insidia è oggi più grave per gli aspetti negativi, al limite dell'assurdo, della nostra civiltà: l'imperversare della violenza, della corruzione, del cinismo, il disprezzo della vita, la perdita di senso, la ricerca scomposta, spasmodica di surrogati alienanti, a volte mortiferi, il pullulare di idoli, l'avanzare di altre religioni, che impegnano a un confronto, al dialogo, alla testimonianza forte e semplice.
Tempo di fede nuda, che Giovanni della croce sintetizza in modo folgorante: "Il Padre pronunciò una parola, che fu suo Figlio e sempre la ripete in un eterno silenzio, perciò in silenzio deve essere ascoltata". La risposta corrisponde all'ascolto: "L'amore non consiste in grandi sentimenti, ma in una grande nudità".

Natale e battesimo

Vivere di fede è accogliere il battesimo, la sua rinascita, la sua illuminazione, lasciare emergere le energie divine donate, accedere mediante esse alla Parola e ai divini misteri.
Accoglienza della fede, il battesimo richiede apertura al dono: purezza di cuore, liberazione dalle passioni, preghiera, fiducia, frequentazione incessante della Parola, il Verbo che come sposo si offre a chi lo cerca. E mentre domanda purezza, distacco, umiltà, insieme li dona.
"Al di fuori di Cristo le cose non esistono e noi non esistiamo".
Se, come affermano Giovanni e Paolo, ogni realtà ha senso solo in Cristo, il battesimo opera in ciascuno l'incarnazione. "Come l'iniziativa di Dio, rispetto a tutto il mondo, sta nell'incarnazione, così l'iniziativa di Dio rispetto a ciascuno di noi sta nel battesimo, il lavacro che ci rigenera".
Natale, attualizzazione dell'incarnazione, è memoria, attualizzazione del battesimo. L'Eterno assume la fragilità della natura umana fino allo strazio della morte, per risorgere e aprire all'uomo la via del ritorno al Padre, alla sua gloria, alla deificazione.
Il Natale perciò è occasione di grazia per crescere nella fede, lungo il cammino di diminuzione, di abbassamento che segna la vita di Gesù dalla nascita alla Pasqua. È domanda di "quello che è più necessario a noi e al mondo, l'aumento della fede e l'accesso ad essa di tutti i popoli della terra".
Mistero di piccolezza, di contraddizione, di sfida a una ragione presuntuosa, che si ritiene l'unica via di conoscenza, il Natale si apre se "noi ci facciamo piccoli interiormente", cancellando desideri, aspirazioni, prospettive storico-mondane. "Bisogna operare questo rovesciamento, accettare che Dio sia venuto come è venuto: non in modo grande, con prepotenza, con potenza, ma piuttosto in modo piccolo, esiguo, umilissimo". Il Dio che regna (Isaia, 52, 7) regna nell'umiltà della sua natività, nell'estremo del suo annientamento".
Ma l'infanzia di Dio è sovranità. Cristo è unico, inconfrontabile, è il Verbo che è dal principio. "In Cristo, per mezzo di Cristo e avendo come fine Cristo, il Padre ha creato i mondi e le ere passate e future; lo spessore dello spazio, della realtà e del tempo, che dovremmo, forse meglio, chiamare i tempi".
Natale indica la via alla gloria del Padre: una "dimensione di vuoto che può essere riempita dalla grazia di Dio per una fede attuale in lui sempre più vigorosa, alta, serena. Natale è un grande mistero di umiltà: più noi entriamo in questa veduta e ci sforziamo di annullare tutto ciò che in noi chiede cose grandiose, appariscenti, trionfanti, tanto più scopriamo, nelle vie di Dio attraverso i secoli, il verificarsi sempre più profondo e ...attuale della profezia: Il Cristo è venuto così, ha fatto questa scelta e alla fine della sua vita ha fatto la scelta della croce".
Già presente nella luce di Betlemme, la croce non offusca il gaudio della nascita: il bambino fragile è il re della gloria: una scintilla di percezione di questa realtà incendia una vita. E diviene preghiera perché la manifestazione del Signore, che si attua a Natale e culmina nell'Epifania, "mistero di dilatazione e di espansione di vita", realizzi la comunione universale: l'umanità e il cosmo parteciperanno alla grande assemblea dei redenti. Natale qualifica la preghiera: accoglienza del Verbo che è luce, vita, splendore per tutta la realtà. Egli ha tutto in sé, non ha bisogno di testimonianza, ma di adesione: la preghiera si fa adorazione quando ci accorgiamo che non è nostra. Noi non abbiamo niente da dare, dobbiamo solo accorgerci che il Verbo è. "La stessa possibilità di dire è, di gridarlo, è il dono costitutivo della nostra personalità. Noi siano questo grido, di cui (il Verbo) non ha bisogno ma di cui ci gratifica, ci dona la ricchezza infinita".

Povertà e gioia messianica

La povertà radicale del Natale impegna tutti i battezzati, in forza dell'illuminazione ricevuta, alla responsabilità di custodire e far crescere "questa scintilla di fede per altri, conosciuti e sconosciuti, che troveremo o non troveremo sul nostro cammino".
L'impegno consegue al dono. Natale manifesta la fede, apertura al "mistero di Cristo Signore, che malgrado tutto si inserisce nell'intimo dell'umanità".
Il desiderio di entrare sempre più a fondo in questo mistero "si accumula nella storia profonda della Chiesa". Storia di fede provata, crocifissa, come tutti i santi testimoniano, da Ignazio d'Antiochia a Teresa di Lisieux, per richiamare, nella folla che nessuno può contare, due estremi per distanza di secoli e diversità di martirio. Dossetti ribadisce la necessità della morte dell'uomo vecchio, per entrare nel mistero dell'incarnazione. È di drammatico realismo la sua analisi circa il "sentirsi sempre più crocifissi da quello che noi diciamo mistero, cioè da quella presenza reale del Dio trascendente nella nostra realtà di uomini immersi nel tempo e nella storia".
Ma l'altro volto della croce, cioè del Crocifisso, è il Risorto, pure già presente nel Piccolo adorato dai pastori, il Salvatore annunziato dagli angeli come una grande gioia. Gioia della redenzione dai limiti umani, della salvezza dall'inconsistenza del nulla, dell'incontro con l'Amore che per primo ci ha amati.
Riportando all'illuminazione battesimale, Natale è invito a passare dall'illuminazione della mente a quella del cuore, accogliendo "i piccoli bagliori" della "luce interiore che è il grande sbocco della gioia". La luce del cuore va cercata nelle piccole cose, in ciò che è stolto, non in ciò che è sapiente. Va cercata nel combattimento spirituale contro la prepotenza dell'io. Va cercata per tutti e per tutto il mondo: è impossibile gioire se miliardi di persone soffrono, esultare nella luce e esse sono nelle tenere.
"Un grido parte dal cuore dell'umanità disperata e chiede le consolazioni di Dio".
Dobbiamo chiederle per noi e per tutti. Dio "ci lascia nella lotta, ma mai nella disperazione".
Così si accoglie la gioia messianica: gioia piena, pacificante e pacificatrice, che zampilla "dalla luce del cuore".

Fortiter et suaviter

Giuseppe Dossetti è stato uomo di luce e di pace. La passione di una coscienza indomita è divenuta in lui irradiazione della mansuetudine di Cristo. Chiunque l'abbia frequentato, forse anche solo avvicinato, ha incontrato la modestia, l'umiltà, la delicatezza uniche dell'uomo di Dio, posseduto da Cristo.
Nulla di caustico, di pungente, di amaro in uno spirito arreso all'Amore. Nessun compiacimento, anche inconsapevole, per un'intelligenza ammirata di sé, esposta al rischio di farsi giudice di altri, di divenirne critica, in nome di una presunta chiarezza che ferisce e respinge.
Egli ha vissuto la nota affermazione di Newman, di non sempre facile attuazione: "Gentiluomo è chi non arreca pena ad alcuno". Dove "gentiluomo" in questo caso sta per monaco, cioè per cristiano, perché il monaco per i padri del deserto è il comune cristiano.
È stato per tutti fonte di consolazione e "testimone della speranza, di quella grande speranza che anche nelle notti della solitudine non tramonta" (Benedetto XVI, Spe salvi, 32).
La straordinaria lucidità dell'intelligenza si è sposata in Dossetti con una tenerezza misericordiosa priva di remore ma capace, pur additando l'errore e il peccato, di avvolgere di una dolcezza soccorrevole, che riscatta e perdona. Di cogliere la persona - dono di pochi - nel suo cuore profondo, oltre parole e gesti. Un uomo abitato dallo Spirito, che la comunione con Cristo ha inondato della grazia luminosa e contagiosa dei miti e puri di cuore.
Soleva dire don Giuseppe Dossetti: "Ci sono uomini che cercano il discorso su Dio e uomini che vogliono conoscere la tua esperienza di Dio". Sarebbero questi ultimi, a giudizio di Maria Gallo, i primi destinatari delle omelie dossettiane, "esempio di una ricerca continua di Dio, di un'esperienza con i mezzi supremi che Dio ha dato: la sua parola, attualizzata al massimo nella celebrazione eucaristica, e la vita sacramentale che nasce col battesimo".

(©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2007)

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