15 aprile 2008

Il compleanno del Papa nella Casa Bianca di Bush (Galeazzi)


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Il compleanno del Papa nella Casa Bianca di Bush

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

L’ottavo viaggio internazionale di Benedetto XVI (secondo i sondaggi, il pontefice più amato dagli americani) è una visita ad alto rischio alla superpotenza in guerra contro il terrorismo islamista.

«Non v’è dubbio, ci sono minacce, ma il Papa è molto tranquillo e sereno», afferma il Segretario di Stato, Tarcisio Bertone.

Joseph Ratzinger, accolto in un’atmosfera di interesse ed entusiasmo senza precedenti non solo dai 65 milioni di cattolici americani, inizia stasera un «tour de force» per esprimere a Bush la preoccupazione per i cristiani in Iraq, promuovere una «purificazione» della Chiesa Usa dopo lo scandalo-pedofilia, pregare per la pace a Ground Zero e proclamare all’Onu che tra i diritti umani ci sono anche il contrasto all’aborto e all’eutanasia e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.
La Casa Bianca condivide la sensibilità vaticana per i no all’aborto, agli esperimenti sulle staminali, al matrimonio gay, ma è in rotta di collisione con l’episcopato per la restrittiva politica sull’immigrazione e i tagli alla sanità. La stretta di mano allo Studio Ovale, spiega il cardinale Renato Martino, non significa sintonia: «La Santa Sede non può rinnegare con una visita tutta la sua politica, di rigetto della guerra e di incoraggiamento al dialogo».
La parola «speranza» sarà al centro del messaggio di Benedetto XVI, secondo il quale, spiega lo studioso George Weigel, gli Usa non sono una società post-cristiana, come in buona parte l’Europa: «Avrà parole di lode per gli Usa». L’arcivescovo Pietro Sambi, ambasciatore vaticano negli Usa, assicura che il Papa «starà molto attento a non interferire sulla campagna elettorale». Benedetto XVI si lascia alle spalle un’Italia che si risveglia da un voto dove la Chiesa ha fatto sentire la sua voce e sbarca a Washington per una «delicata missione» in cui religione e politica finiranno inevitabilmente per intrecciarsi.
E’ atteso da appuntamenti importanti per contenuti, solenni nella forma, simbolici per il messaggio: dai colloqui alla Casa Bianca all’intervento al Palazzo di Vetro, con 3 mila rappresentanti di 192 nazioni; dagli incontri col clero alla sinagoga di East Manhattan dopo polemiche sulla preghiera del Venerdì Santo, fino all’invocazione di pace nel cratere dell’11 settembre. Qui nessun discorso: solo una preghiera, con l’auspicio di una conversione dei terroristi, davanti a superstiti e parenti delle vittime. E poi due messe negli stadi di baseball con decine di migliaia di fedeli e gadget di ogni tipo (dall’orsetto Ben agli skateboards) e la cena di gala voluta dai Bush domani alla Casa Bianca per l’81simo compleanno di Ratzinger. Il papa ha ringraziato, ma ha fatto sapere di preferire il riposo in nunziatura. Intanto, oggi sarà il primo ospite straniero ad essere accolto da George W. Bush ai piedi della scaletta dell’aereo nella Andrews Air Force Base. Un privilegio motivato dal presidente Usa con il fatto che nel Papa vede «Dio», e con lui condivide l’idea di una politica ispirata ai valori e alle indicazioni dell’Onnipotente.

© Copyright La Stampa, 15 aprile 2008


I candidati democratici a caccia di voti cattolici

Hillary elogia il Vaticano e Obama loda l’astinenza sessuale

Alla vigilia della visita negli Usa di Benedetto XVI, Hillary Clinton e Barack Obama cercano i consensi dell’elettorato cattolico a colpi di lusinghe. L’ex first lady elogia Papa Ratzinger per l’impegno nella lotta alla povertà e il Vaticano per essere «il primo Stato a inquinamento zero». Obama sottolinea l’importanza dell’astinenza come strumento per combattere l’Aids. Intanto nella corsa per la nomination democratica un sondaggio American Research Group assegna ad Hillary un vantaggio del 20% (57-37%) in Pennsylvania. Su scala nazionale invece il senatore non accusa contraccolpi, visto il vantaggio di nove punti (50-41%) assegnato da Gallup, mentre, per Rasmussen, il vantaggio in Carolina del Nord è di 56 a 33%. La sfida decisiva quindi si giocherà in Indiana, l’ultimo dei grandi Stati a votare.

© Copyright La Stampa, 15 aprile 2008

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