11 aprile 2008

Quarant'anni dopo la «Populorum progressio». Uno sviluppo incompleto (Osservatore)


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Quarant'anni dopo la «Populorum progressio»

Uno sviluppo incompleto

di GianPaolo Salvini
Gesuita, direttore de «La Civiltà Cattolica»

Sono circa cinquant'anni che si parla di sviluppo e che si fanno piani per realizzarlo a beneficio di tutti. In realtà si è ancora distanti da una sua estensione alla maggioranza dei popoli, anche se molto è stato fatto. Rispetto all'epoca della Populorum progressio - che ci permette di leggere le questioni relative allo sviluppo alla luce della Dottrina sociale della Chiesa - molte cose sono cambiate. Oggi questi problemi sono conosciuti, documentati, c'è una discreta libertà di stampa e si è consapevoli delle possibilità tecniche disponibili per risolverli. Inoltre è cambiato il quadro generale. Viviamo in epoca di globalizzazione, che allora non era neppure pensata. Questo comporta una serie di vincoli reciproci, ma anche di interdipendenze. Nessuno dubita del profondo legame tra tutti i popoli e le loro economie: la teoria della dipendenza, popolare negli anni Settanta, che proponeva un distacco violento (anche rivoluzionario) dei Paesi in via di sviluppo dai Paesi ricchi non viene più insegnata da nessuno, almeno allo stato puro. Una crisi economica negli Stati Uniti avrebbe conseguenze molto gravi anzitutto per i Paesi poveri e poverissimi. Purtroppo si sono globalizzati anche il terrorismo e la paura.
Alcuni avvenimenti dimostrano inoltre che la storia ha più fantasia di noi. Una serie di Paesi giudicati una volta irrimediabilmente condannati, sono diventati grandi potenze industriali: Cina e India prima di tutti gli altri, anche per l'enorme quantità di popolazione che albergano. Ma anche altri: Corea del Sud e Congo/Zaire negli anni Sessanta avevano gli stessi indicatori economici. Oggi, tuttavia, la prima è una potenza economica mentre l'altro è ancora in preda alla povertà. La Corea ha investito tantissimo nell'istruzione e ha certamente sfruttato l'appoggio americano che voleva dimostrare che "di qua si sta meglio", ma questo non basta a spiegare il successo. La molla reale che fa scattare lo sviluppo ci è ancora sconosciuta.
Non c'è infatti una ricetta particolare per mettere in moto lo sviluppo. Attualmente i maggiori successi si sono avuti con la formula "industrializzarsi per esportare". Cina e India in questo si sono mostrati vincenti, attirando miliardi di dollari di investimenti mossi anche dalla convenienza di "delocalizzare" le proprie industrie in Paesi nei quali la manodopera costa parecchie volte di meno. Il fattore esportazioni si è dimostrato così vincente che la Cina ha potuto accumulare una enorme quantità di riserve, investite in buona parte in dollari, cioè in buoni del Tesoro statunitense, sostenendo così l'economia americana, ma anche esponendola a possibili grandi ricatti.
Gli altri cominciano a farci paura e così stiamo cercando di cambiare le regole del gioco. L'esempio classico è quello del commercio estero: i Paesi industriali sono sempre stati apostoli del libero commercio, presentato come la formula ideale per lo sviluppo. Ora sono i Paesi in via di sviluppo a chiedere che ci sia libero commercio. Questo è uno dei punti più delicati e sinora più difficili da riformare. Per diventare autosufficienti dal punto di vista alimentare e per assicurare ai propri agricoltori un reddito comparabile con quello degli addetti all'industria e ai servizi, Paesi europei e Stati Uniti hanno messo in piedi un costosissimo e complicato sistema di sovvenzioni ai propri agricoltori, che rende i loro prodotti imbattibili come prezzi in quanto sovvenzionati dallo Stato o dalla Unione europea. Gli sforzi in seno alla World Trade Organization per risolvere questo problema hanno portato quasi alla paralisi dell'organizzazione. Ciò significa che noi vogliamo lo sviluppo degli altri, a patto che questo non comporti sacrifici per noi.
L'economia di oggi è molto finanziarizzata, cioè l'economia finanziaria sembra prevalere su quella diretta alla produzione di beni e di servizi. È una realtà che non esisteva nella misura attuale all'epoca della Populorum progressio (che ne accenna soltanto marginalmente). Questo fatto pone grossi problemi di gestione di queste masse finanziarie, di regole (che non esistono), e anche di etica, in quanto si tratta di denaro che si muove - virtualmente - soltanto per produrre altro denaro e non risponde, quindi, al concetto cristiano tradizionale che legittima il possesso del denaro quando è frutto del lavoro. La realtà è assai complessa, perché è vero che esiste un colossale movimento speculativo che danneggia i Paesi piccoli, ma i movimenti finanziari hanno anche fornito ai Paesi in via di sviluppo i capitali necessari allo sviluppo stesso. Senza capitali ogni sviluppo è illusorio. Ma si potrebbe almeno cercare di distinguere i commercianti dagli speculatori (si pensi al petrolio), anche se è impresa ardua.
Un certo sviluppo c'è stato per tutti, ma alla grande maggioranza degli abitanti del globo sono toccate soltanto le briciole. La teoria della marea che fa innalzare tutte le barche non si è dimostrata vera, perché alcune barche sono bucate o così zavorrate che restano sul fondo. Neppure la teoria dello "sgocciolamento" (trickle down) ha funzionato. Il mercato ha cioè bisogno di correttivi, perché da solo non ce la fa.
Usando i dati dell'Undp - il programma di sviluppo delle Nazioni Unite - riportati nei Rapporti sullo sviluppo umano, dal primo - pubblicato nel 1990 - a quello del 2007-2008 si sono fatti progressi spettacolari, anche se disomogenei. La percentuale di popolazione dei Paesi poveri che vive con meno di un dollaro al giorno è passata dal 29 per cento al 18 (nel 2004). La vita media si è allungata di tre anni e la mortalità infantile è scesa da 106 a 83 morti per 1.000 nati vivi. A completare il primo ciclo di istruzione primaria è oggi l'88 per cento dei bambini e bambine, mentre nel 1999 era ancora dell'83 per cento. Nello stesso decennio 1999-2004 il numero di quanti vivono in povertà estrema è diminuito di 135 milioni. In realtà, se si va ad approfondire le statistiche, si vede che sono soprattutto Cina e India che hanno alzato le medie. L'Africa subsahariana, che pure dà segni di ripresa, è ben distante da questi risultati. Oltre un miliardo di persone vivono ancora ai margini della sopravvivenza e 2,6 miliardi con due dollari al giorno.
In genere si può dire che la povertà assoluta sia diminuita; si allunga la vita media in tutti i Paesi, più bambini e bambine vanno a scuola, un numero maggiore di persone ha accesso all'acqua potabile e un po' meno gente soffre la fame. È invece aumentata la povertà relativa, cioè la distanza tra chi sta bene e chi sta male, o meglio tra chi sta bene e chi sta meno bene. E questo fa aumentare di molto l'insoddisfazione percepita. Tutto ciò aumenta le tensioni internazionali e interne: le guerre le fanno i poveri relativi, non quelli assoluti, che hanno ben altro a cui pensare, e non hanno neppure i mezzi per combattere. Anche se possono diventare terreno di reclutamento per fornire disperati all'élite che scatena le guerre e le rivoluzioni.

(©L'Osservatore Romano - 11 aprile 2008)

1 commento:

Scenron ha detto...

Alcuni link, carissima Raffaella :D

Sul viaggio in America:
http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=528859

http://www.borsaitaliana.it/bitApp/news/ansa/detail.bit?id=63057

http://www.instablog.org/ultime/18320.html

Sul discorso al Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:
http://www.tendenzeonline.info/apcom/view.php?s=20080411_000079.xml

http://www.grnet.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1072&Itemid=0