16 settembre 2008

Il filosofo Pierre Manent: "La Ratio del professor Ratzinger" (Valensise)


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La Ratio del professor Ratzinger

Il filosofo Pierre Manent spiega l’ironia e i “deliziosi effetti” del cantico francese di Benedetto XVI e ci dice che “l’unica scuola di pensiero che ormai rivendica la ragione come regola per guidare la vita è proprio la chiesa cattolica”

di Marina Valensise

Ad ascoltare la lectio magistralis di Joseph Ratzinger al Collège des Bernardins, c’era anche Pierre Manent, il discepolo di Raymond Aron che oggi è uno dei filosofi della politica più sensibile alla critica della modernità che esista in Francia. Da autore di saggi chiave sul liberalismo, da studioso versatile in grado di commentare il De Officiis di Cicerone o la Teoria dei Sentimenti morali di Adam Smith, passando per la Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino, Manent ha trovato “d’una ironia deliziosa” che fosse proprio il Papa, “cioè colui che agli occhi del moderno razionalismo rappresenta la superstizione, la rinuncia alla ragione, il sacrificio dell’intelletto, a riportare in primo piano la questione della ragione”. Cattolico liberale, e però neotomista e filo straussiano, Manent è convinto che le principali correnti filosofiche contemporanee non abbiano fiducia nella ragione: “Sono anti razionaliste o irrazionaliste. Oggi, invece, l’unica scuola di pensiero che rivendichi la ragione come regola per guidare la vita umana è la chiesa cattolica. E il merito di far rientrare questa idea classica nella riflessione contemporanea spetta proprio a Benedetto XVI”.
E’ questo l’effetto paradossale della lezione del Papa a Parigi, la capitale del razionalismo positivistico. Una lezione di teologia dove le origini del monachesimo occidentali rivelano le radici della cultura europea e il nostro debito di civiltà nei confronti del cristianesimo, ma servono soprattutto a mettere in guardia la coscienza contemporanea dalla minaccia d’una libertà soggettiva priva di trascendenza e votata all’atomismo e di un fanatismo religioso prigioniero dell’intolleranza integralista.

“L’essenziale della lezione del professor Ratzinger” dice Manent “consiste in una deduzione complessiva del dispiegarsi della cultura europea, perlomeno nelle sue dimensioni fondamentali, a partire dal Quaerere Deum, dalla ricerca di Dio. E’ questo l’aspetto più singolare del discorso del Papa al Collegio dei Bernardini. Benedetto XVI è partito dal monachesimo occidentale e ha mostrato come la ricerca di Dio, per il modo in cui Dio era annunciato nella Bibbia e nel Vangelo, implicava un nuovo rapporto fondatore nei confronti del linguaggio, della scrittura, della comunità”. Insomma a partire da due sole parole, “quaerere deum”, il Papa è riuscito a suscitare l’intero modo di procedere dell’uomo europeo. “E’ impressionante”, commenta Manent. “Nel momento stesso in cui entrava nel cuore della sua dimostrazione, vale a dire in quel rapporto che il cristianesimo instaura tra scrittura e comunità, il Papa ha dimostrato che non può esserci un fondamentalismo cattolico, per il semplice fatto che le scritture sono un sistema di testi strettamente legato a un insegnamento religioso. Un sistema che trova senso solo nella relazione che suscita in seno alla comunità di credenti. Certo, volendo possiamo anche evidenziare con quale delicatezza Benedetto XVI abbia implicitamente distinto la Bibbia dal Corano, sottolineando subito e con molta nettezza la ragione per la quale il cristianesimo, a differenza dell’islam, non può essere considerato una religione del Libro”.

Senza ripetere lo scandalo destato dal discorso di Ratisbona, basta una lettura attenta per capire come Ratzinger abbia insistito sulla peculiarità del cristianesimo per rintracciarne la matrice teologica della cultura europea.
“Interpretazione e dialogo sono gli elementi chiave sottolineati dal Papa. La scrittura, ha inoltre spiegato Benedetto XVI, non è separabile dalla comunità che essa stessa suscita e forma. Il Papa ha poi sottolineato che quando nel nuovo testamento si parla di scritture si intende un insieme di testi dal carattere molto diversi, la cui unità si concretizza soltanto in una comunità capace di interpretarli. In questo senso, credo che il Papa abbia mirabilmente indicato una precisa relazione tra la comunità e il logos. Una relazione che appartiene al cattolicesimo, e che mutatis mutandis, continua a sostenere lo sviluppo europeo, anche quando si allontana dai dogmi cattolici dell’obbedienza e della fede”.

E’ questo a rendere il discorso di Benedetto XVI estremamente interessante agli occhi di Manent. “Apre una prospettiva che rinnova la nostra visione d’insieme dello sviluppo occidentale, dando un contributo alla riflessione non solo dei cattolici, ma di quanti sono interessanti a capire cosa vuole dire l’Europa; perché offre una sintesi non eclettica tra l’Europa che ha ricevuto la filosofia e l’Europa che ha ricevuto il cristianesimo”. Così anche nella laica Francia, patria del volterrianesimo, la religione forse è tornata al cuore della riflessione filosofica e politica. Il che se da un lato non basta a contraddire l’idea di un paese largamente decristianizzato, dall’altro, secondo Pierre Manent, contribuisce a dare alla chiesa una nuova forza relativa: “Quando tutte le famiglie spirituali sono in via di estinzione, il Partito comunista non esiste più, il movimento del Maggio ’68 si è ridotto a una riunione di ex combattenti abbastanza patetici, la debolezza della chiesa diventa una forza relativa, perché rispetto allo stato medio della nazione, mostra una presenza e un’attività e talvolta persino un’intelligenza che lasciano ben sperare”.
Manent loda la posizione di Sarkozy. “E’ stato molto bravo: ha appena sfiorato la questione del rapporto tra fede e ragione, ma ha insistito sul carattere centrale che la ragione riveste per la democrazia. Oggi la legittimità democratica non si fonda più su una base razionale, ma su una affettiva, come dimostra il sentimento aggressivo dell’eguaglianza, il fatto che ciascuno vive come vuole, perché lo vuole, e perché lo vale, dunque legare la difesa della ragione fatta da Benedetto XVI al bisogno di democrazia, è una scelta giudiziosa. Sarkozy ha fatto capire quanto sarebbe assurdo privarsi del contributo che le religioni possono fornire al dibattito pubblico. E’ un’affermazione audace ma giudiziosa, con cui ha iniziato a dare un contenuto all’idea di laicità positiva”. Alla domanda se sia un punto di non ritorno, Manent non si sbilancia: “Non saprei dire se sia una svolta storica, credo però che molti avvertono che l’irrigidimento laicista non è più ragionevole, che è arrivato il momento di afferrare con intelligenza l’apertura al contributo pubblico delle religioni. Quando la nazione, e non solo la Francia ma anche le altre nazioni d’Europa, sembra molto impoverita, e prevale la sensazione di atonia, depressione e sterilità, si avverte quantomeno il bisogno di utilizzare tutte le nostre risorse per ridarle vitalità. E anche se il cristianesimo è indebolito, il cattolicesimo, la religione e la fede restano una risorsa anche per i non cattolici. Non c’è più ragione, infatti, di continuare a guardare con sospetto e intolleranza la chiesa cattolica che non ha più né il desiderio né i mezzi di essere essa stessa intollerante”.

© Copyright Il Foglio, 15 settembre 2008 consultabile online anche qui.

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