22 settembre 2008
Tra vescovi e tradizionalisti la disputa del rito in latino: i commenti (molto di parte) di Politi e Prosperi
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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
ITE MISSA EST
Tra vescovi e tradizionalisti la disputa del rito in latino
I vescovi ripetono che tutto va bene, i tradizionalisti no. Sulla liturgia in latino nella Chiesa la tensione è palpabile
MARCO POLITI
CITTÀ DEL VATICANO
Come si sabota l´ordine del Papa sulla liberalizzazione della vecchia messa in latino.
Louis De Lestang, cattolico tradizionalista di Versailles, la racconta così: «C´è il prete che ti dice che è un problema per l´unità della parrocchia. Il curato che afferma di non saperla celebrare. Il parroco che ti risponde di avere già due o tre messe domenica mattina e di non poter fare di più». Poi ci sono le autorità ecclesiastiche che mettono a disposizione solo una chiesetta di campagna oppure un edificio più grande, ma solo una volta al mese.
La diocesi respinge le valutazioni di «tono aggressivo», ma Louis, trentatre anni, operatore turistico, sposato con cinque figli, sostiene che nell´area di Versailles i gruppi che reclamano la messa in latino sono presenti in metà delle tremila parrocchie. A volte si tratta di trenta, quaranta persone, a volte persino di seicento. C´è chi può seguire la messa tridentina ogni domenica, chi ogni quattro, chi niente.
Allora Louis e i suoi amici hanno avuto l´idea di organizzare per fine mese un convegno nazionale per vagliare l´applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, che dal 14 settembre 2007 autorizza gruppi stabili di tradizionalisti a esigere in parrocchia la celebrazione della messa preconciliare. Le adesioni stanno fioccando.
Ha ragione Louis, hanno ragione i parroci. Succede lo stesso in Italia e nelle altre nazioni europee.
I tradizionalisti, una volta mobilitati, non trovano spazi adeguati alle loro esigenze, mentre i parroci - stremati dalla mancanza di clero, dall´accorpamento delle parrocchie, dal correre di qua e di là per coprire le esigenze di migliaia di fedeli che appartengono al loro territorio - fanno fatica a organizzare una pastorale parallela per un pugno di persone. «Lasciatemi il tempo di imparare», ha esclamato un parroco toscano quando i tradizionalisti si sono presentati in canonica per la messa preconciliare.
Perché il meccanismo del documento papale ha una sua logica inesorabile.
Con Giovanni Paolo II toccava ai vescovi autorizzare il vecchio rito. L´ordine di Ratzinger trasforma invece la questione in un diritto dei fedeli tradizionalisti, a cui le parrocchie devono assicurare questo servizio. I parroci non sono convinti, sono abituati alla liturgia postconciliare molto più comunicativa, partecipativa e più ricca nell´utilizzazione dei testi sacri. Ma soprattutto i vescovi non sono per niente d´accordo con la bontà del motu proprio che di fatto permette una sorta di Chiesa parallela. Se c´è una riforma che né i vescovi né i cardinali a maggioranza volevano, è questa. Il gesuita Tom Reese, ex direttore dell´influente rivista America, annota: «Fu uno schiaffo all´episcopato».
In Italia personalità come il cardinale Carlo Maria Martini o vicepresidenti della Cei come Plotti e Corti non hanno nascosto le loro forti riserve. Il vescovo Brandolini, membro della commissione liturgica della Cei, esclamò alla notizia: «È un giorno di lutto, si affonda una delle riforme più importanti del Concilio». Se la Chiesa cattolica fosse governata come quelle ortodosse dal principio di decisione collettiva dei Sinodi, il cambiamento non sarebbe stato autorizzato.
Tipico quanto è avvenuto il 23 marzo 2006 in Vaticano. Benedetto XVI convoca il collegio cardinalizio per discutere della messa in latino e dei rapporti con il movimento scismatico lefebvriano. I cardinali non hanno problemi, a certe condizioni, sulla messa tridentina ma ribadiscono che la Santa Sede deve chiedere ai lefebvriani non solo obbedienza al pontefice, ma «leale adesione» al concilio Vaticano II. Giugno scorso: la commissione Ecclesia Dei (incaricata dei rapporti con i tradizionalisti) manda ai lefebvriani un documento ultimativo, esigendo da loro obbedienza al Papa e rinuncia ad un magistero alternativo a quello papale. Nessuna parola sul Concilio. Come se il parere dei cardinali, largamente condiviso in questa materia dall´episcopato mondiale, non contasse nulla. Quando, invece, è noto che i tradizionalisti vogliono la messa tridentina, più che per il latino, per il suo spirito preconciliare. «Con papa Ratzinger stiamo tornando a Trento e a Lepanto», chiosa Giovanni Avena, direttore dell´agenzia d´informazione religiosa Adista.
Risultato, i vescovi fanno il muro di gomma ripetendo che tutto va bene e profondendosi in attestazioni di ossequio al pontefice. Chiedo al portavoce del cardinale Schönborn di Vienna come vanno le cose e il signor Erich Leitenberger assicura che «non ci sono mai stati problemi», spiegando che le richieste sono limitate e comunque ogni domenica si può seguire una messa del vecchio rito in una chiesa di Vienna e in una cappella di suore del diociottesimo distretto. Anche il nunzio vaticano monsignor Farhat l´ha celebrata un paio di volte nella chiesa degli Agostiniani e dei Francescani.
Da Treviri il direttore dell´Istituto liturgico monsignor Eberhardt Hamon fa sapere che i «vescovi tedeschi non hanno fatto resistenza» e che alla prossima riunione plenaria esamineranno lo stato delle cose. Monsignor Hamon rimarca che i cattolici tedeschi «si trovano bene» con il rito postconciliare e che il rito vecchio e quello nuovo «non sono equiparati». Perché - scandisce - «quello ordinario (di Paolo VI) è quello ordinario». Sembra una tautologia, ma non lo è. Ha il valore di un segnale. I vescovi tedeschi, peraltro, hanno elaborato precise linee guida per l´applicazione della riforma papale.
Giorni fa, ad un convegno a Roma, monsignor Camille Perl, segretario della commissione Ecclesia Dei, ha dichiarato amareggiato che la «maggioranza dei vescovi italiani, con poche ammirevoli eccezioni, hanno posto ostacoli al motu proprio di Benedetto XVI». Poi, come dicono nella patria di Ratzinger, monsignore ha avuto paura del suo coraggio e a Repubblica spiega di aver parlato per un uditorio «quasi privato» e che in merito «la Santa Sede non ha dichiarato nulla». Alla Cei non vogliono polemizzare. Si limitano a dire che le decisioni spettano ai singoli vescovi e che il tradizionalismo è un «fenomeno di nicchia». Poi rimandano all´intervento del cardinal Bagnasco del settembre 2007, che emana ottimismo sulla valorizzazione del documento papale, però mette in guardia da quanti ricercano il «proprio lusso estetico, slegato dalla comunità, e magari in opposizione ad altri».
In Italia, dopo le prime polemiche dell´anno scorso - in Cei una serie vescovi avrebbe voluto elaborare linee applicative come in Germania, ma i filo-papali lo impedirono, qualche prete annunciò che «non sarebbe tornato al passato», un gruppo di liturgisti pubblicò un manifesto di protesta - si è entrati in un tran tran soporifero. A Genova la messa tridentina la celebra don Baget Bozzo, a Milano c´è una messa in rito ambrosiano preconciliare, a Firenze per i tradizionalisti ci sono due chiese, a Palermo, a Napoli, a Bologna una. Qualche contentino in provincia. Un elenco provvisorio tradizionalista parla ancora di messe preconciliari nella diocesi di Bolzano, a Torino, Legnano, Mantova, Gorizia, Pordenone, Trieste, Udine, Padova, Treviso, Venezia, Verona, Vittorio Veneto, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Barberino, Filetto, Gricigliano, Piombino, Poggibonsi, Prato, Corigliano e Aulpi. A cui si può aggiungere un´altra dozzina di iniziative spontanee.
Ma in fondo ha ragione monsignor Perl. Il presidente dell´associazione tradizionalista Una Voce, l´ex magistrato Riccardo Turrini Vita, rileva: «C´è stata una modesta disponibilità ad applicare le norme. Siamo ben lontani dall´avere una messa almeno in ogni diocesi». A Roma, nel giugno scorso, è stata inaugurata in gran pompa alla Trinità dei Pellegrini una «chiesa personale» apposta per i tradizionalisti. L´anno passato hanno potuto celebrare anche a Santa Maria Maggiore. Però l´appetito vien mangiando. «Sono insaziabili», ha detto il cardinale Castrillon Hoyos, presidente di Ecclesia Dei, quando i tradizionalisti hanno chiesto di avere a disposizione sistematicamente la basilica. Nella diocesi di Novara il vescovo Corti ha rimosso tre sacerdoti che nelle loro parrocchie si erano messi a celebrare soltanto in latino, rifiutando l´italiano al grido di «non siamo juke-box». Il pasticcio ormai è fatto.
Dice il cardinale di Curia Herranz che il gesto di papa Ratzinger ha lo scopo di «aprire i cuori al senso di unità della Chiesa, per capire che ci sono tanti spazi nella casa di Dio». I critici si trincerano dietro al cardinal Martini, che da subito annunciò che non avrebbe celebrato l´antica messa: «Non posso non risentire quel senso di chiuso che emanava dall´insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora si viveva».
© Copyright Repubblica, 21 settembre 2008 consultabile online anche qui.
Politi...Politi...Politi...il pasticcio non e' stato creato dal motu proprio, cioe' dal Papa, ma da chi, da una parte, si ostina a disubbidire al Santo Padre mettendo il bastone fra le ruote a parroci e fedeli e, dall'altra, pretende l'impossibile come la concessione della Basilica di Santa Maria Maggiore.
In mezzo a questi due estremi c'e' la parola accoglienza, rispetto e amore reciproco.
Come ha detto Benedetto XVI in Francia nessuno deve sentirsi escluso dalla Chiesa ed i vescovi devono essere i primi ad accogliere TUTTI i fedeli a braccia aperte con benevolenza ed amore paterno.
Non ci sarebbe alcun pasticcio, come lo chiama Politi, se ci fosse un'applicazione puntuale ed oggettiva del motu proprio.
E' un dato di fatto che certi vescovi si oppongano strenuamente al provvedimento papale. Non nascondiamoci dietro un dito!
Gravissima la direttiva tedesca. E' un bene che una parte dei vescovi italiani si sia opposta al fatto che la Cei emanasse una sorta di regolamento.
Sarebbe stato uno scandalo inammissibile che in Italia, nazione di cui il Papa e' Primate, ci fosse una disubbidienza cosi' palese dei successori degli Apostoli a Pietro. Certo! Leggere i nomi degli "oppositori" mi ha lasciata di stucco oltre che deludermi profondamente.
Leggo, poi, con un certo fastidio:
I critici si trincerano dietro al cardinal Martini, che da subito annunciò che non avrebbe celebrato l´antica messa...
Non mi risulta che il cardinale Martini sia il Papa. O forse mi sono persa qualcosa?
E' fantastico notare come Politi, sempre critico con i vescovi, si schieri dalla loro parte quando c'e' da contestare Benedetto XVI :-)
R.
Mistero o partecipazione un dilemma che dura da secoli
ADRIANO PROSPERI
La storia della messa è quella di una imponente istituzione sociale che ha avuto un posto centrale nel cristianesimo europeo: almeno fino all´età della Riforma protestante. Fu allora che l´attacco di Lutero contro «la papistica empietà della messa» sostituì al ministero sacerdotale del sacrificio dell´altare il ministero della Parola, cioè la lettura della Bibbia. Le autorità della Chiesa cattolica risposero fissando i caratteri del rito sacro in modo rigidamente centralistico ed accentuandone gli aspetti di solenne mistero sacro. Dura da allora la divaricazione fra un cristianesimo della Parola che deve essere predicata, letta e soprattutto compresa e un cristianesimo del rito solenne offerto al fedele in una lingua incomprensibile e in un´aura di suggestivo mistero. L´immobilità sovratemporale e sovralocale del rito della messa è diventata così un carattere da proteggere da ogni intervento. Fu Bossuet a esaltare l´immutabilità del cattolicesimo come prova della sua verità contro le continue variazioni delle Chiese protestanti.
Questo carattere apologetico dell´intoccabile fissità del rito prevalse anche quando, nell´Italia napoleonica del 1808, qualcuno suggerì di cancellare dal canone della messa la preghiera «pro perfidis iudaeis» (per i perfidi giudei): il mutamento - così rispose Roma - avrebbe ingenerato nel popolo l´idea che la Chiesa «maestra di verità» ammettesse di essersi sbagliata.
La necessità di esorcizzare il rischio connesso ai mutamenti si ripresenta oggi come un carattere profondo del pontificato di Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI. Nessuno, a quanto sembra, ha rilevato una singolare contraddizione tra il discorso papale agli uomini di cultura parigini e l´invito rivolto da Lourdes la domenica successiva a favore della messa in latino.
Questa contraddizione si riassume in una sola parola: comprensione. Una sola parola, due significati: da un lato, comprensione nel senso di spirito di apertura e di disponibilità verso chi vorrebbe ascoltare la messa in latino; dall´altro comprensione nel senso letterale di intendere il significato delle parole. Nell´invito al «multiforme mondo della cultura» (parole sue), il Papa ha insistito sul valore della ricerca di Dio che si svolge attraverso l´amore della parola. La parola biblica è parola di Dio: ma «ci raggiunge soltanto attraverso la parola umana». Dunque per capire la parola di Dio occorre passare attraverso la mediazione delle parole umane che, nella differenza dei tempi e delle culture, le hanno dato la veste che conosciamo.
Il discorso del Papa agli intellettuali ha ripetutamente citato e fatto suo il suggestivo titolo di un libro di un grande studioso benedettino, dom Jean Leclercq: Amore delle lettere e desiderio di Dio. Dom Jean Leclercq fu un uomo di irresistibile simpatia e di profonda scienza filologica e storica, che pubblicò studi fondamentali sulla cultura monastica medievale. Seppe ricostruire in pagine nitide e suggestive la tensione di ricerca nello stesso tempo religiosa e filologica di chi cercava di penetrare il contenuto della Bibbia attraverso lo studio, la meditazione, la preghiera. Ma quella tradizione fu sconfitta in un momento ben preciso: dom Leclercq lo raccontò in uno dei suoi libri. Nel promemoria che nel 1513 due dotti patrizi veneziani diventati monaci camaldolesi fecero arrivare sul tavolo di papa Leone X, spiccava tra le molte proposte quella di introdurre sistematicamente l´uso delle lingue vive nella liturgia e nella cultura religiosa dei cristiani. Bisognava che chierici e laici, in genere ignoranti di latino, potessero finalmente comprendere il significato dei riti a cui partecipavano e potessero conoscere il contenuto della Sacra Scrittura. Le cose andarono diversamente: quella proposta rimase nei cassetti di Leone X.
Pochi anni dopo fu Martin Lutero a creare con la sua traduzione della Bibbia in tedesco una lingua e una cultura che furono da allora fortemente connotate dalla centralità del Libro sacro, letto, conosciuto e consultato nella vita quotidiana delle famiglie. La Chiesa cattolica scelse la strada opposta. La lettura della Bibbia in volgare venne severamente vietata. Si ricorse alla lingua latina della liturgia e del sapere teologico e giuridico come strumento di formazione e di governo riservato al clero. Non fu certo per caso se il monumento della liturgia cattolica assunse la forma del Messale Latino promulgato nel 1570 da papa san Pio V, il domenicano fra Michele Ghislieri portato al soglio pontificio dai suoi successi nella durissima repressione inquisitoriale dell´eresia. Anche le parole del Vangelo che facevano parte del canone della messa rimasero in latino. L´unico momento in cui il popolo dei laici che seguiva la messa si sentiva parlare nella propria lingua era quello della predica del celebrante.
Fu la sconfitta definitiva della cultura che attraverso «l´amore delle lettere» aveva dato corpo alla sua ricerca di Dio. Trionfarono le giaculatorie, le ripetitive, incomprensibili orazioni in latino ritenute efficaci di per sé come formule magiche, legate tra loro in combinazioni numeriche speciali (così il Rosario). Gli scritti di Erasmo da Rotterdam, rappresentante sommo di quella cultura umanistica che credeva nell´importanza del penetrare il significato delle Sacre Scritture per conoscere il messaggio mandato da Dio agli uomini, finirono all´Indice dei libri proibiti insieme alle Bibbie in volgare.
Quella messa in latino fu il monumento solenne di una religione ieratica e misteriosa, suggellata da una lingua sacra che risuonava sempre uguale in ogni parte del mondo. Grazie a quel messale di Pio V antichizzazione e incomprensibilità sono stati per secoli i caratteri di una peculiare forma del sacro, ricca di suggestione proprio perché deliberatamente celata nel mistero. Per questo suo valore simbolico è apparsa lungamente intangibile e i mutamenti del rituale e del testo sono stati del tutto eccezionali. Basti pensare alla celebre questione della preghiera «pro perfidis iudaeis». La sua abolizione voluta da papa Giovanni XXIII fu l´antefatto della riforma liturgica approvata dal Concilio Vaticano II il 4 dicembre 1963. Il principio fondamentale di quel decreto conciliare fu espresso con parole come «partecipazione» e «comprensione». Con la Costituzione apostolica Missale Romanum (3 aprile 1969) papa Paolo VI promulgò la nuova edizione del Messale Romano secondo il Concilio Vaticano II. E fu allora che la dissidenza dei tradizionalisti trovò il suo leader nell´arcivescovo francese Marcel Lefebvre.
Da qui è cominciata la fortuna contemporanea del tradizionalismo che oggi si riaffaccia con l´intervento pronunziato a Lourdes dall´attuale pontefice. Dunque tutto sembrerebbe nato dalla volontà di riassorbire la lacerazione di un piccolo drappello il cui leader fu già condannato da papa Giovanni Paolo II nel 1988. E tuttavia la contraddizione fra il messaggio di Parigi e quello di Lourdes fa intravedere un problema più grande, quello che nasce quando si vogliono battere contemporaneamente due strade opposte: da un lato la ricerca del dialogo con gli intellettuali attraverso l´appello alla tradizione dell´umanesimo, dall´altro l´erosione progressiva di alcuni momenti fondamentali delle scelte conciliari del Vaticano II. Non possiamo sapere come si combineranno tra di loro e quali successi incontreranno. Ma intanto quello che accade intorno alla liturgia è un fatto molto importante che va in una precisa direzione. Alla religione che il Concilio Vaticano II ha voluto fondare sulla adesione consapevole e creativa di una comunità che quando prega comprende ciò che dice e ciò che legge e che alla messa dialoga con un celebrante rivolto verso di lei, si oppone sempre più spesso l´antica religione dei tempi di guerra e di intolleranza riassunti nella figura e nell´opera di Pio V. Dopo la questione della «conversione» degli ebrei, dopo la restaurata preminenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, questo nuovo intervento sulla messa in latino sembra aggiungere un´altra robusta maglia al tessuto delle scelte concrete di governo che, atto dopo atto, vengono configurando la linea del papato di Benedetto XVI: un pontificato di un uomo che ama la cultura e si muove a suo agio negli ambienti intellettuali ma che cerca - a suo modo - di interpretare il presente. E qui, di fronte a una società incerta e impaurita dalla crisi dei riti e dei simboli fondamentali della modernità come sono indubbiamente quelli della Borsa di New York, le azioni della messa di Pio V potrebbero rivelarsi ancora redditizie. Il legame storico che nel Settecento Voltaire vide tra la Borsa di Londra e l´indifferenza in materia di religione (come ha raccontato Carlo Ginzburg), stavolta potrebbe funzionare ancora una volta ma in senso opposto. Forse è questo l´investimento a cui pensano oggi le autorità della Chiesa cattolica.
© Copyright Repubblica, 21 settembre 2008 consultabile online anche qui.
Non ci siamo proprio, caro Prosperi!
Non c'e' nessuna contraddizione nelle decisioni e nei discorsi del Papa.
Tutto in Benedetto XVI si incastra come in un mosaico: l'apertura al mondo della cultura e ai fedeli che amano la liturgia tradizionale fa parte dello stesso "disegno" che si concretizza nel titolo della sua prima enciclica "Dio e' amore".
Nessuno e' escluso dalla Chiesa, tutti devono trovare il proprio spazio e la liberalizzazione della Messa tridentina non e' un passo indietro rispetto al Concilio ma un passo avanti verso l'unita' e la riconciliazione.
Domanda per Repubblica: ci sono ben due articoli critici verso il Papa. Come mai non ne leggo nemmeno uno a favore?
Troppo comodo...
R.
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14 commenti:
I vescovi italiani non si oppongono apertamente, Raffaella. Ovvio, fanno parlare certi loro vaticanisti e intellettuali di riferimento.
Ti consiglio la lettura sul blog di Rodari del pezzo del 20/09:
Chi vuole e chi no (dentro la Chiesa) che Pio XII diventi beato
Vi è un punto che, a mio avviso, si lega con le resistenze alla messa in latino.
http://www.paolorodari.com
Buona giornata
Alessia
Cara Raffaella, di articoli di questo genere ne vedremo ancora parecchi, è normale, c`è chi non digerisce che la Chiesa sia viva e che la componente viva, entusiasta e giovane sia composta anche, non oso spingermi sino a dire sopratutto, da giovani, famiglie, legate alla Tradizione e al rito antico.
E chi ha problemi di digestione si trova anche all`interno della Chiesa.
Costoro credevano di avere definitivamente espulso fuori dalla Chiesa questi rappresentanti di un`epoca finita e dimenticata, pezzi da museo insomma, pensavano aver costruito la Chiesa nuova, dimentica del suo passato anzi sprezzante del suo passato, eh beh no!
Scoprono che queste anticaglie hanno fatto dei piccoli, crescono e si moltiplicano, e amano sempre con fedeltà la Tradizione, la Chiesa cattolica, il Successore di Pietro, sono restati, hanno resistito e preso cura della Tradizione, questo tesoro della nostra Chiesa .
Quando poi leggi :
"Trionfarono le giaculatorie, le ripetitive, incomprensibili orazioni in latino ritenute efficaci di per sé come formule magiche, legate tra loro in combinazioni numeriche speciali (così il Rosario).
Ti aggrappi per comunque andare sino alla fine dell`articolo e poi scoppi a ridere!
buongiorno, care amiche.
Per quello che riguarda il mio angolo visuale devo dire che se resistenze ci sono al MP(ma di cose traumatiche nella mia diocesi non ne ho viste né sentite) ci sono per pigrizia e non perchè questo o quel sacerdote si riconosce in quello che Martini ha detto. Insomma non si ha voglia di mettere mano a quella che viene considerata una bega. Il che è molto diverso da quello che dice Politi.Poi sono d'accordo con Alessia, ci sono vaticanisti e commentatori che fungono da ventriloqui di altri, almeno a me sembra evidente.
Repubblica sappiamo com'è, cara Raffaella, non c'è niente di stupefacente: credo che sul terreno dell'informazione religiosa abbia la stessa capacità di analisi della realtà che dimostra in altri campi. Prossima allo zero.In compenso sul terreno militante non ha rivali.
Intanto sta per uscire un libro che raccoglie tutte le prescrizioni necessarie per la celebrazione del rito tridentino:
Elvis Cuneo - Daniele di Sorco - Raimondo Mameli
INTROIBO AD ALTARE DEI
Il servizio all'altare nella liturgia tradizionale
prefazione di S. Em.za Rev.ma Card. Dario Castrillon Hoyos
postfazione di p. Konrad zu Loevenstein
Edizione Fede & Cultura
Uscita prevista: ottobre 2008
Per informazioni e prenotazioni: edizioni@fedecultura.com
Buon giorno a voi. Se, come giustamente nota Raffaella, le differenti posizioni concerneneti l'applicazione del Motu Proprio si esasperano (penso a coloro che a Roma hanno chiesto S. Maria Maggiore per la celebrazione col rito Tridentino, ma anche alle dichiarazioni del Card. Martini), allora siamo ben lontani dal cogliere la reale volontà di Papa Benedetto su tale questione. E in quanto al presunto tradimento dello "spirito del Concilio", credo che ormai sempre più larghi strati di cattolici (e non) stiano finalmente maturando (con un sano sguardo retrospettivo) la consapevolezza che il vero problema sono state certe interpretazioni spericolate del pensiero dei Padri Conciliari. Da ultimo, credo però che la presenza delle cennate, numerose "posizioni estremistiche", da una parte e dall'altra, sull'applicazione de Motu Proprio rendano indifferibile ed urgente l'emanazione di criteri direttivi in materia per rimettere ordine e soprattutto chiarire il reale intento che è a base del Motu Proprio stesso. Carla
può darsi, Carla, che tu abbia ragione e che il MP necessiti di linee applicative o come vogliamo chiamarle. Ma, onestamente, leggendo il MP e la lettera di accompagnamento del Santo Padre, è onesto dire che non fossero chiari? A me sembra che fossero chiarissime. Allora il problema è che, per diverse ragioni, non si vuole capire. E se non si vuole capire non so se ulteriori documenti illumineranno cervelli che non vogliono essere illuminati.
Il Santo Padre l'ha detto chiaro: nessuno è di troppo nella Chiesa e anche se ci sono sensibilità diverse occorre imparare ad accettarci e a convivere. Non è il caso di farla lunga come fa Prosperi scomodano il nonno in carriola a partire da Lutero.Non mi scandalizzo che non tutti sono d'accordo con il MP, mi imbufalisco però se le critiche e le resistenze si fanno furbe ed oblique, utilizzando media compiacenti e superando quello che Enzo Bianchi ha chiamato "leale dissenso". Appunto, è necessaria la lealtà.
I giornalisti poi che che un giorno sì e un giorno sì sparano contro la Curia romana come sentina di tutti i vizi, perdono ogni credibilità , se mai ne hanno avuta, quando utilizzano questo o quel parere di prelato di curia (le rane dalla bocca larga)per inserirlo nel loro brodo disinformativo e ideologico.
Con un poco di buona volntà i problemi potrebbero essere superati ma bisogna averla la buona volontà, come un atteggiamento leale e cristiano.
Carissime, buongiorno! Noto con picere ( è una battuta ), che c'è chi ancora gioca sull'equivoco, per quanto riguarda il MP. Fermo restando e ne sono convinta che l'ecumenismo passa anche da lì e ricordando che Benedetto XVI proprio durante il viaggio in Francia ha detto che nessuno è di troppo nella chiesa, mi preoccupa il fatto, che ci siano ancora alcuni disposti a mettere in discussione l'unità del Corpo Mistico di Cristo, solo per partito preso contro questo Papa, per pigrizia io aggiungerei per un eccessivo attaccamento al potere ed anche per la mancanza di conoscenza della lingua latina all'interno della stessa chiesa che è raccapricciante lascio da parte ogni luogo comune riguardo al Concilio perchè tanto li conosciamo ormai anche fin troppo bene. Insisto col dire che fin dall'inizio chi non ha voluto capire l'importanza ed il senso del MP lo ha fatto di proposito e la scusa peraltro banale e poco credibile del fatto che le direttive non fossero chiare, è stata l'ennesima scusa per perdere o prendere tempo. Amici del Blog, sappiamo che questo MP non sarebbe andato giù a parecchi e questa ne è la dimostrazione lo vediamo anche negli articoli riportati; chi tira il Papa da una parte e chi dall'altra ma, esiste una commissione che si deve occupare di questo argomento e di far applicare il MP in modo corretto e senza abusi; dia questa commissione le direttive necessarie per l'attuazione. Ho la bruttissima impressione che a certi sig.ri vescovi ed anche a qualche cardinale non importi nulla dell'unità della chiesa ma, soltanto il modo di creare difficoltà e neanche tanto piccole, a chi a preso a cuore in tutto e per tutto proprio questo traguardo. Con profondo rammarico e tristezza, devo prendere atto che le pessime idee che avevo 20 anni fa su certi personaggi, sono avvalorate anche oggi da questi fatti e che il tanto declamato spirito cristiano di cui spesso certi si riempiono la bocca, a certi livelli non esiste.
Proprio per questo però, quel 19 Aprile del 2005 sono convintissima che l'elezione fu guidata dallo Spirito Santo; perchè altrimenti chissà.......................
Sì, il problema è che la confusione sull'applicazione del Motu Proprio è alimentata, oltre che da attegiamenti estremistici da ambo le parti interessate, dai media, che vedono in questa situazione una ghiotta occasione in più per attaccare (con i soliti commenti frutto di pregiudizi) l'attuale Pontificato. Ragione di più per sottolineare con apposite linee guida i contenuti del Motu Proprio, che , in efetti, come giustamente fa osservare M. Teresa, è di per sè chiarissimo, ma in un contesto "normale" . Ebbene, dell'attuale contesto (anche fuori dall'Italia) tutto si può dire fuorchè che sia "normale". Carla
In Germania, pochi giorni fa, il card.Lehmann, ha rilasciato un'intervista alla Faz, in cui afferma che Ratzinger (testuale) la pensa diversamente da lui. La rivista berlinese Cicero ha stilato una classifica dei teologi tedeschi e ha messo il papa al primo posto, secondo il protestante Huber, terzo Lehmann, quarta la vescova divorziata Kassman e solo quinto Kung.Lehmann controlla ancora la conferenza episcopale tedesca, nonostante la sua malattia.Cordialmente, Eufemia
"La Chiesa cattolica scelse la strada opposta. La lettura della Bibbia in volgare venne severamente vietata"
C'è ancora qualcuno che crede a queste sciocchezze? E' incredibile.
Già il fatto che un cardinale si permetta di chiamare il Papa per cognome la dice lunga sul livello di questi signori.
cara Eufemia, un diavoletto mi possiede, temo: il quinto posto di Kung mi smuove al riso. Spero che per la delusione non prenda la rincorsa per dare la testa contro il muro.Con la testa dura che si ritrova nemmeno un muro in titanio reggerebbe.
"Non mi risulta che il cardinale Martini sia il Papa. O forse mi sono persa qualcosa?
E' fantastico notare come Politi, sempre critico con i vescovi, si schieri dalla loro parte quando c'e' da contestare Benedetto XVI :-)
R. "
Veramente non risulta neanche a me e ti assicuro Raffaella che quel giorno lo ricordo benissimo!!!! Hai ragione ogni mezzo è buono per certe persone pur di raggiungere lo scopo che è sempre lo stesso : attaccare o criticare il Papa!
E' incredibile come il trasformismo, sia la tattica usata con più abilità dai soliti noti al posto della vera informazione!
Mi sembra scontata una cosa: "Repubblica", così come moltissimi altri organi di informazione, perseguono l'obiettivo, neanche troppo mascherato, di insinuare il dubbio sui fondamenti della fede. Lo scopo finale è quello di fare della religione un guscio vuoto, una sorta di "spiritualismo personale" che di cattolico ha solo il nome e, forse, qualche credenza superficiale. Per il resto bisogna arrendersi al fatto (sono parole di un altro articolo di Repubblica, pubblicato qualche mese fa) che i cattolici fanno scelte "laiche". Cioè si comportano come tutti gli altri.
La cosa a mio avviso sconvolgente è che una parte del clero - e segnatamente la parte formata negli anni 70-80 - non solo non fa nulla per arginare questo subdolo attacco alla nostra santa fede, ma sembranoa addirittura favorirlo, appoggiandosi al principio progressista (filosoficamente assurdo) per cui, una volta fatta una cosa, è impossibile tornare sui propri passi. Il risultato è che la persona media ha del cattolicesimo un'idea da giornaletto ateo di quarta categoria (limitata ai concetti di crociata-inquisizione-oscurantismo-sessuofobia).
In un quadro del genere, dove alla religione di Cristo si è sostituita la religione del Progresso e della Modernità, è chiaro che gli atti di questo Papa appaiono destabilizzanti e si fa di tutto per sminuirli, per accentuare il divario tra il Papa e "la base" dei fedeli (come se la Chiesa fosse un partito politico!).
La nuova generazione di cattolici, per fortuna, sta capendo che in questo modo la fede non può più avere posto nel mondo moderno (non aveva detto S. Pio X che il risultato ultimo del modernismo è l'ateismo?) e si sta impegnando nella fondamentale opera di riscoperta della Tradizione. Che, ricordiamolo, per la Chiesa è una delle due fonti della Rivelazione, equivalente alla sacra Scrittura. Credo fermamente che, restando uniti e procedendo con costanza nella direzione indicata dal Papa, riusciremo a risolvere definitivamente questa crisi. I tempi solo Dio li conosce.
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