5 settembre 2008
Un'ingerenza sottile e pacifica, dovere nel caso dei diritti (Maraone)
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VIOLENZE ANTI-CRISTIANE IN INDIA: RACCOLTA DI ARTICOLI
UN DOVERE NEL CASO DEI DIRITTI
UN’INGERENZA SOTTILE E PACIFICA
ELIO MARAONE
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali. Ciascuno di essi ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Basterebbe rammentare questi due articoli, il primo e il diciottesimo, della Dichiarazione universale (cioè valida per tutti, e questo dato va sottolineato) dei diritti dell’uomo per illuminare la gravità della violazione di quei diritti, in particolare nel recente quadro della persecuzione dei cristiani. Il pensiero corre dunque all’India contemporanea, e soprattutto a quello Stato dell’Orissa dove la situazione va forse lentamente migliorando, e la vampata di fanatismo indù sembra in parte placarsi, ma certo non è spenta del tutto. Per onorare i martiri dell’Orissa, per sostenere il coraggio dei superstiti, per avvicinare il tempo della riconciliazione e della pace in India si tiene oggi, memoria liturgica della Beata Teresa di Calcutta, la giornata di preghiera e digiuno indetta dalla Conferenza episcopale italiana. Come abbiamo già scritto su queste colonne, c’è per tutti il dovere, quali fratelli di fede e fratelli nella stessa umanità, di accompagnare con la solidarietà ( che comincia con la preghierà e con il digiuno, ma non si arresta lì) la testimonianza dei cristiani perseguitati. In India, appunto, ma anche in Iraq, in Pakistan, nel Darfur, e in diverse altre regioni del mondo. Quindi, e va ribadito, non è soltanto l’India, il gigante democratico, il Paese della tolleranza e della non- violenza gandhiana, a esser scivolato «nella vergogna», come ha detto Oswald Gracias, cardinale arcivescovo di Mumbai. Anche altrove la violenza a sfondo religioso, o sedicente religioso, punta ad ostacolare e infine ad eliminare la missione dei cristiani. Però in India la situazione appare più allarmante, si vorrebbe dire più piena nell’esercizio dell’ingiustizia, perché lì permane anche la discriminazione delle persone, considerate non tutte «libere ed eguali», ma collocate, già alla nascita, su una scala di valori fissati dall’appartenenza alle caste. Una vergogna, appunto.
Ma non è soltanto l’India dei violenti e di chi ha permesso le violenze a doversi vergognare.
Una vergogna più sottile, ma non meno umiliante, dovrebbero provare quanti, e sono numerosi tra mass media e associazioni umanitarie e governi e istituzioni internazionali, non sono intervenuti per fermare le persecuzioni dei cristiani, o quantomeno per denunciarne a gran voce l’ingiustizia. E questo non sappiamo se per viltà ed indifferenza o piuttosto per deriva, diciamo, ideologica, appartenente a quella 'cristianofobia' che specialmente in Europa vuole negare l’importanza dell’eredità cristiana.
Che fare? Partendo dal riconoscimento dell’unità della famiglia umana e dall’attenzione all’innata dignità di ogni individuo, la comunità internazionale, secondo quanto indicato dal Papa all’Onu il 18 aprile scorso, dovrebbe «intervenire con i mezzi giuridici previsti» quando singoli Stati si manifestino incapaci di difendere i diritti dell’uomo. Qualcuno grida alla paventata limitazione della sovranità nazionale, ma ha torto, perché i diritti non sono soggetti al dibattito politico-ideologico e non vivono nella speculazione astratta in quanto fondati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo. Per evitare, come ha ricordato il Papa , il «danno reale» provocato «dall’indifferenza o dalla mancanza di intervento » essi pertanto esigono di essere universalmente e concretamente protetti. Ma, va ricordato, nemmeno questo basterebbe se mancasse quella capacità di discernimento che consente di distinguere il bene dal male, e di orientare anche l’azione degli Stati.
© Copyright Avvenire, 5 settembre 2008
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