27 ottobre 2008

Mons. Capovilla: "Quel giorno che elessero Roncalli" (Malavasi)


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Mons. Capovilla: "Quel giorno che elessero Roncalli"

Giorgio Malavasi

Angelo Giuseppe Roncalli è da poche ore il nuovo Papa. Da meno di un'ora si è affacciato su Piazza San Pietro per il primo saluto alla folla dei fedeli, da pochi minuti ha ricevuto il saluto affettuoso e festoso dei cardinali nella sala dei Paramenti. Poi, ad uno ad uno, gli elettori del nuovo pontefice se ne vanno e nella grande sala restano solo tre persone: il nuovo Pontefice, il suo segretario don Loris Capovilla e il suo autista e aiutante negli anni veneziani, Guido Gusso.
E' un momento singolare e per certi versi magico e spaesante. Don Loris è preoccupato, anche un po' disorientato: gli si affollano in mente mille cose da fare, da organizzare, da avviare... «Santità, devo chiamare qualcuno? C'è il radiomessaggio da fare, bisognerà far venire un latinista per sistemarlo, ma poi c'è anche...».

Il nuovo Vicario di Cristo lo ferma e gli risponde pacatamente: «Figlio mio, adesso lasciami dire in pace vespero, compieta e il rosario, e poi parleremo».
Sta in queste parole e in questo atteggiamento una delle note di fondo – viste dal vivo, da “dietro le quinte” – di quella straordinaria giornata di 50 anni fa. Ma questa è anche una delle note di fondo della personalità di Angelo Roncalli, che anche in quel momento strepitoso non cambia l'ordine della sua giornata e la gerarchia dei suoi valori: prima di ogni affanno e di ogni fasto viene la preghiera.
Lo sottolinea proprio mons. Capovilla, testimone fondamentale di quel grande evento e uno dei pochi che oggi, a distanza di mezzo secolo, può ancora raccontarlo.
E lo fa con una lucidità e una nitidezza per nulla scalfite dai 93 anni da poco compiuti. Da Sotto il Monte, dove vive da anni dopo essere stato arcivescovo a Loreto, mons. Capovilla ricorda per GV tutti i momenti di quella giornata: «Dalla mattina alle 6, quando lo salutai delicatamente e gli dissi: “Eminenza, buona e santa giornata”. Alla sera, quando mi inginocchiai davanti a lui, nella sacrestia della Cappella Sistina, e gli dissi: “Questa volta la saluto come Beatissimo Padre: mi benedica”. E lui mi rivolse buone e amabili parole, che non ho rivelato a nessuno e che porterò con me nella tomba».

Parole segrete, mai rivelate.

Un piccolo-grande segreto che rinnova, per certi versi, quello mantenuto dallo stesso Roncalli che, novello sacerdote, l'11 agosto 1904, venne ricevuto per un saluto e una benedizione dal Papa in persona, Pio X, all'indomani della prima messa che don Angelo aveva celebrato in San Pietro.
In quell'occasione Papa Sarto, di cui Roncalli avrebbe ripercorso le orme come Patriarca di Venezia e capo della Chiesa, disse parole che oggi potrebbero sembrare premonitrici. Le ricorda lo stesso mons. Capovilla: «Auguro – disse Pio X – che il tuo sacerdozio sia di consolazione per la Chiesa universale». E poi altre parole che il giovane don Roncalli serbò nella memoria per sempre, ma non trasmise ad alcuno.
Ma torniamo a quel 28 ottobre di mezzo secolo fa. «Ricordo benissimo – continua il segretario del beato Giovanni XXIII – la fumata bianca delle 17.05, e poi, alle 18.08 l'annuncio dell'“Habemus Papam”; e un quarto d'ora lui, il nuovo Papa, che appare alla finestra. Ed è contento di andare al balcone di Piazza San Pietro, perché ama incontrare le persone e parlare loro».

I fari accecanti della tv.

C'è anche un momento di disorientamento: appena affacciatosi alla finestra, Roncalli non vede nulla: i potenti fari della televisione lo accecano e il pontefice non vede la Piazza e la folla, e per un attimo non sa cosa fare. Il cerimoniere allora lo invita a proseguire e a benedire la Piazza.
«E lui racconterà poi – prosegue mons. Capovilla – che, voltatosi, vide il crocifisso che sembrava dirgli: “Angelo Giuseppe, hai cambiato nome e vestito. Ma ricordati che, se non sarai mite e umile di cuore come me, non vedrai niente, sarai cieco”. Ecco, io credo che umiltà e mitezza siano state altre note di fondo di quel giorno».
Subito dopo, Giovanni XXIII si reca nella sala dei Paramenti, dove ci sono tutti i cardinali a salutarlo: «Ed è un incontro familiare, affettuoso, festoso al punto che in tanti gli si fanno attorno e quasi lo soffocano con i loro abbracci. Così il cardinal decano si premura di dire: “Attenti, però, a non ucciderlo appena fatto Papa”».
Poi, appunto, il silenzio cala nel salone, e Roncalli chiede al suo segretario di poter rimanere tranquillo, per un po', come ogni giorno, per la preghiera: «Ogni giorno lui recitava tre volte il rosario».

Le prime parole da papa nell’agenda.

Verso le 20.30 mangia un boccone e poi comincia ad imbastire il suo primo radiomessaggio al mondo, da Papa. Verso le 22.30 va a riposarsi, ed è la mattina dopo, sul presto – ricorda ancora mons. Capovilla – che scrive le prime parole da Papa nella sua agenda. E io credo che quelle parole siano il terzo e altrettanto decisivo tratto di fondo di quelle ore e di quell'uomo straordinario».
Roncalli, che da sempre era uso scrivere piccole note spirituali e di cronaca della sua giornata, quella mattina scrisse: «Da ieri sera mi sono fatto chiamare Joannes, e oggi tutto il giorno parla di me, nome e persona. O miei venerati genitori, o mamma mia, o papà, o nonno Angelo, o zio, dove siete?, chi vi trasse a tanto onore?».
E in quelle righe – conclude il vescovo Capovilla – Roncalli testimonia quanto sia essenziale venerare e onorare le radici, la famiglia: «E' come se lui avesse posato la tiara papale sulla terra che i suoi avi avevano umilmente lavorato, lui che era stato chiamato ad essere l'Agricoltore della terra intera. Era un ritorno a quelle radici dove aveva attinto non solo il pane, ma anche il timore santo di Dio».

© Copyright Gente Veneta , n.40 del 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sant'uomo Giovanni XXIII.
Mi auguro presto Santo.
Per me comunque già lo è.